Tutti commentano con amarezza la sentenza del tribunale militare di Verona, per l'assoluzione dei due superstiti imputati della strage di Fragheto. Ma nessuno ricorda che la stessa sorte ebbero molto, moltissimo tempo fa gli imputati italiani.
Pubblico qualcosa sul tema, da un mio articolo della serie de "I giorni dell'ira" apparso sul settimanale di Rimini "il Ponte", il 4.11.1990.
(All'indice di "Rimini ieri. Cronache dalla città".)
Nella settimana santa del '44, tedeschi e repubblichini danno la caccia ai partigiani tra i monti della Valmarecchia: siamo a Fragheto, frazione di Casteldeci. Candido Gabrielli, classe 1921, vede arrivare i partigiani che portano con loro un soldato germanico. "Lo scontro tra partigiani e tedeschi... durò tre o quattro ore", e si risolse con la fuga dei partigiani, sopraffatti dalle truppe hitleriane. Il tedesco prigioniero riesce a scappare, raggiunge il suo Comando che decide un'azione di rappresaglia contro la popolazione di Fragheto, rea di aver ospitato i partigiani. I nazisti passano casa per casa, "uccidendo vecchi, donne, bambini". Le case vengono incendiate. E' il venerdì santo.
La domenica di Pasqua, mons. Luigi Donati si unisce a Ponte Messa ad un gruppo di persone che stava andando a Fragheto: "Ci siamo trovati di fronte ad uno spettacolo terribile, raccapricciante. [...] La maggior parte delle case bruciate aveva il tetto di lastre che era crollato seppellendo persone e cose, lì sotto il fuoco ardeva ancora". A chi gli chiedeva notizie, nei giorni successivi, sulla ferocia di tedeschi e repubblichini, abbattutasi a Fragheto, mons. Donati rispondeva: "Mi vergogno di essere uomo".
Scheda. Le vittime civili furono 33, tra cui "un bimbo di 18 anni", come scrisse Guglielmo Marconi nelle sue memorie (p. 139 di Vita e ricordi sull'8ª brigata romagnola, Maggioli, 1984). Nello stesso testo (p. 96, nota 93), è riportato un bollettino militare sullo scontro armato tra partigiani e tedeschi, prima dell'eccidio: "Dopo quasi tre ore di combattimento i tedeschi lasciavano sul terreno più di cento [uomini] tra morti e feriti, mentre i nostri reparti si ritiravano con soli quattro morti e due feriti leggeri". Poi, "i tedeschi fucilarono trentatré persone della popolazione locale, unicamente responsabile dell'esser stata vicino al luogo del combattimento". In altre parti del testo di Marconi, si parla di responsabilità di "brigatisti italiani" (p. 104) e di "sete di sangue dei fascisti" che "si scagliò anche sui pochi civili, vecchi, donne e bimbi del luogo... senza che fossero colpevoli di atti di guerra" (p. 105).