Ultima domanda, proviamo a voltare verso la musica le tre domande di J.P.Sartre verso la letteratura: Perché si fa musica? E ancora: qual è il posto di chi fa musica nella società contemporanea? In quale misura la musica può contribuire all’evoluzione di questa società?
Silvia: Credo che l'unico lato positivo di tutti gli attacchi che vengono oggi fatti alla cultura sia proprio il porsi queste domande. Si fa musica per comunicare, per oltrepassare le parole ed utilizzare un altro linguaggio per condividere emozioni. Per piacere e per rivolta. Proprio per questo chi fa musica ha delle difficoltà da superare: la sordità di chi non sa ascoltare, il fastidio di chi non vuole ascoltare, la paura di chi sa che ascoltare può voler dire mettere in discussione e suscitare critiche. E credo che il piacere, la critica e la comunicazione possano aiutare l'evoluzione della società.
Ho visto proprio oggi una risposta esaustiva a queste domande in un articolo di Martha Nussbaumm su Internazionale in cui lei critica i tagli alle università umanistiche dimostrando come non possa esistere democrazia senza la capacità critica e di pensiero che gli studi umanistici (e dell'arte in generale) sviluppano, e proprio da questo articolo prendo in prestito alcune righe per concludere la mia risposta: “Stiamo inseguendo i beni materiali che ci piacciono, e ci danno sicurezza e conforto: quelli che lo scrittore e filosofo indiano Rabindranath Tagore chiamava il nostro “rivestimento” materiale. Ma sembriamo aver dimenticato le capacità di pensiero e immaginazione che ci rendono umani, e che ci permettono di avere relazioni umanamente ricche invece di semplici legami utilitaristici. Se non siamo educati a vedere noi stessi e gli altri in questo modo, immaginando le reciproche capacità di pensiero ed emozione, la democrazia è destinata a entrare in crisi perchè si basa sul rispetto e sull'attenzione per gli altri. Questi sentimenti a loro volta si basano sulla capacità di vedere le altre persone come esseri umani e non come oggetti.”
Irene: Io faccio musica perché mi permette di essere creativa, perché mi dà piacere, perché dà qualità al tempo che passo da sola ma anche a quello che passo con gli altri. Mi permette di esplorare l’universo delle emozioni, può farmi ragionare, portarmi indietro nel tempo o nel futuro, può raccontarmi qualcosa che prima non sapevo. Perché ci interessa la cultura? Perché ci permette di andare fuori da noi, verso altre persone, altri mondi. Perché è performativa, nel senso che trasforma noi stessi e la realtà che ci circonda. Ci sono veramente infiniti motivi per cui amare la musica.
Il posto dei musicisti nella società contemporanea è uno dei peggiori. Suonare in giro ed essere giustamente retribuiti per moltissimi è un miraggio. Spesso si studia tantissimo, si fanno ore di prove, per guadagni miseri. Per molti l’insegnamento diviene scelta obbligata per arrivare a fine mese. Se sono meno fortunati finiscono a fare lavori di tutt’altro tipo, che garantiscono più stabilità. Negli anni passati quasi la totalità delle persone che lavoravano ad Ikea Bologna in realtà svolgeva professioni artistiche. Chi insegna si trova di fronte ad enormi difficoltà ad accedere ad un posto nel pubblico e spesso si rimane lo stesso precari. Nel privato si viene pagati poco, con contratti co.co.pro. (cioè senza nessuna garanzia ma con una tassazione come se fosse un lavoro stabile). Il pubblico non investe, nel libero mercato vige la legge della libera concorrenza e dei prezzi al ribasso. Per dare un’idea di quanto siamo lontani dal rispetto dei diritti delle professioni artistiche basta leggere lo statuto sociale degli artisti con cui l’Europa invitava gli Stati membri a confrontarsi: https://docs.google.com/View?id=ddb564b_4ktr6g38x
Mi fermo ma questa situazione mi fa molta rabbia, anche perché, e rispondo all’ultima delle tre domande, questa disciplina è talmente versatile e potente che possiamo trovarla declinata in milioni di situazioni differenti e da molteplici punti di vista. “La Musica” come oggetto disincarnato non esiste, ci sono sempre dei soggetti che le permettono di vivere e che le attribuiscono dei significati. Può avere una caratteristica fortemente sociale, permettendoci di comunicare delle idee e delle emozioni e di stare insieme agli altri; è una disciplina che insegna ad imparare, come fanno alcune metodologie alternative di insegnamento come ad esempio il metodo Suzuki; ci permette di esplorare la realtà con altri sensi; spesso è stata catalizzatore di energie, creando intorno a sé comunità politiche – sociali. Ma non voglio idealizzarla né darle potere salvifico: sono sempre le persone che fanno la differenza.
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