Se la strada di Francesco incrociasse quella di Valdo
Francesco, allora. Papa che viene «quasi dalla fine del mondo» e che impersona una Chiesa, quella cattolica, che cresce soprattutto in Africa e in Asia, tiene nelle Americhe e si ridimensiona in Europa. Le tendenze non sono nuove e risultano ben note a chi intreccia i dati demografici con quelli delle conversioni e del «ritorno» a una partecipazione alla vita religiosa più assidua e convinta. Francesco viene da lontano ma sembra volersi presentare soprattutto come «vescovo di Roma», pastore di una comunità piuttosto che «Pontefice», fratello in un cammino di fede invece che sommità di una istituzione gerarchica. Il tempo dirà se queste intuizioni, avvalorate da un linguaggio e da gesti che hanno toccato anche molti non cattolici, segnano un reale cambiamento oppure se confermano antiche e controverse distinzioni. Ad esempio quella tra «Chiese» — quella cattolica e quelle ortodosse — e «comunità ecclesiali», ovvero il variegato mondo protestante. Non è una questione di nomi ma di sostanza delle relazioni tra fratelli e sorelle in Cristo.
La novità però c'è stata e il mondo ecumenico sembra averla rilevata tributando al papa Francesco un saluto fraterno e un credito di fiducia. La domanda è se l'intenzione positiva di un Papa che sa rallegrarsi dell'incontro con chi è diverso da lui segnerà una nuova primavera ecumenica dopo anni in cui le relazioni tra i cristiani si sono raffreddate e talvolta letteralmente congelate. Tra un'assemblea ecumenica internazionale e l'altra —l'ultima a Sibiu nel 2007 — accade molto poco e in molte realtà la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani o «il tempo per il Creato» celebrati ogni anno rispettivamente a gennaio e settembre finiscono per l'essere i soli momenti di scambio tra cristiani di diverse tradizioni. Un ecumenismo delle feste comandate che non compensa la mesta routine dei giorni feriali nei quali cattolici, protestanti e ortodossi sembrano marciare ciascuno per la propria strada, disposti al massimo a scambiarsi qualche sguardo. Francesco da Assisi fu uomo del dialogo per eccellenza e la storia lo rese coevo di un altro riformatore, Valdo di Lione. I due non si incontrarono mai ma spesso furono confusi perché l'uno e l'altro predicavano la povertà e amavano una Chiesa in cammino, la cui forza non era nei crocifissi dorati ma nei calzari con i quali percorrevano le strade dell'evangelizzazione. Ciascuno a modo suo: all'interno delle istituzioni della Chiesa il primo, forzatamente all'esterno il secondo, ben presto bollato come eretico e perseguitato. Nella loro diversità, Francesco e Valdo furono facce «altre» di una Chiesa trionfante e orgogliosa del suo potere spirituale e materiale. Papa Francesco viene dall'Argentina e conosce i pronipoti di Valdo che nel XIX secolo lasciarono il Piemonte per cercare fortuna in America latina, perché con alcuni di essi ha intessuto rapporti di fraterna amicizia. Un'altra domanda è se quel dialogo potrà continuare anche in Italia e persino a Roma, dove più abissale è il divario numerico che separa la comunità valdese e quella cattolica. Le valutazioni della realpolitik ecumenica non lo incoraggiano ma lo spirito evangelico di Francesco e di Valdo lo suggeriscono con forza.
Paolo Naso in “Jesus” dell'aprile 2013