Human Scapes, Oak Editions, Dronegazers. I nodi vengono sempre al pettine, quindi, dopo molto tempo, ho di nuovo fatto quattro chiacchiere con questo signore. Buona lettura e sostenete lo Human Scapes Festival, se vivete da quelle parti.
Io sono contento di averti intervistato ormai sette anni fa e poterlo rifare oggi, perché è un po’ come averci visto bene. E mi fa piacere vedere come alcuni dei tuoi progetti e delle tue idee abbiano trovato realizzazione. Ad esempio, il binomio musica-immagine, che è una cosa che ti interessa sin da quando eri studente. C’è un filo che collega quel Francesco allo Human Scapes Festival?
Francesco Giannico: In questi sette anni sono successe tantissime cose: tanti dischi, due trasferimenti, un figlio, la nascita del collettivo, ora associazione, “Archivio Italiano dei Paesaggi Sonori” e della sorellastra, l’etichetta “Oak Editions“.
Come tu dici, il binomio musica-immagine è stato (e lo è ancora) un mio vecchio interesse dai tempi della tesi; ricordo che all’epoca ero fortemente attratto dall’uso della musica di Zbigniew Preisner all’interno del cinema di Krzysztof Kieślowski; certo non parliamo di sonorità elettroacustiche, anzi, ma di alcune caratteristiche auditive che vanno oltre il genere, come il colorismo timbrico e un accompagnarsi alle immagini discreto, non onnipresente, poco hollywoodiano insomma; in realtà non è nemmeno una accompagnarsi, ma un significato terzo, come direbbe Chion, che ci viene offerto dal contrappunto musica-immagini. C’è quindi direi un filo abbastanza forte tra questi miei vecchi interessi, che che sono sicuramente ancora vivi e attuali, e lo Human Scapes Festival, che nasce proprio per enfatizzare questo binomio musica-immagini.
Sì, io penso che lo Human Scapes Festival rifletta molte tue specificità, sia per quanto riguarda la sua incarnazione leccese (vedi il tuo lavoro con AIPS), sia per quanto riguarda il rapporto musica-immagini, vedi la sua incarnazione barese. Una curiosità extramusicale, prima, però: come avete fatto a coinvolgere così tante realtà? Due città, cineporti…
È stato un processo lungo che ha riguardato una certa evoluzione burocratica del collettivo Archivio Italiano Paesaggi Sonori. Siamo passati infatti dall’essere un collettivo nazionale alla forma giuridica di associazione per poter partecipare a bandi di concorso pubblici in ambito culturale ed avere così più occasioni di promuovere le attività che facciamo.
Dopo alcuni tentativi andati a vuoto siamo riusciti ad avere il supporto di Apulia Film Commission a Bari, città nella quale mi sono casualmente trasferito da Roma. Poco prima c’era stata l’esperienza della mappatura sonora del borgo antico della città barese e quindi qualche conoscenza pregressa ci ha consentito di individuare più facilmente alcuni attori sul territorio che potessero agevolarci nell’idea, come ad esempio l’associazione Trans Tv e il fondo oggetti smarriti, che è alla base dello Human Scapes festival: un immenso archivio video costituito da circa 50 ore di filmati amatoriali e familiari girati in 8mm, Super8 e 16mm in un arco temporale che va dalla fine degli anni ’40 alla fine degli anni ’80.
Mentre si svolgeva Bari Sonora, durante la performance collettiva finale, veniva utilizzato uno di questi filmati che montai per l’evenienza. Subito dopo pensai che potevamo estendere il concetto di rapporto sinestetico di cui parlava Michel Chion, ponendo come assioma l’espressione guida “suoni della memoria” coniata dalla curatrice Daniela Cascella. In questo modo, pensai, possiamo dar vita ad operazioni artistiche complesse a cavallo tra due mondi, quello cinematografico e quello della sound art che apre i propri archivi e le proprie memorie legate ai luoghi.
Qualcuno però potrebbe legittimamente chiedersi come fanno a parlarsi un luogo ed un filmato. La risposta è un po’ filosofica probabilmente, ma credo realisticamente che non siamo fatti per confutare la memoria e quello che le gravita intorno; si tratta di un luogo idealizzato che invece si tende a priori ad esaltare, perché ci rassicura e ci spinge ad andare avanti. È anche in questo solco di bellezza inconsapevolmente accettato che s’inserisce l’opera di catalogazione dei paesaggi sonori portata avanti dall’Archivio Italiano dei Paesaggi Sonori, in cui le città fanno rivivere i loro centri storici (e non solo) a costo zero, semplicemente con i campioni audio che inconsciamente “emettiamo” ogni giorno.
Ecco. Già dovendo recensire il tuo Luminance l’anno scorso, complice sin da subito la copertina, mi ero trovato a pensare al rapporto tra la tua musica e la memoria. La memoria che si deteriora, la memoria che deforma, la memoria come rifugio: temi che nel “giro sperimentale” degli ultimi anni tornano in varie forme, come giustamente ha sottolineato Cascella. Questo discorso sulla memoria è uno di quelli che ci aiuta a capire la tua musica, oltre che la tua attività “curatioriale”?
Sai, tutto sommato non credo che la mia musica sia così difficile da capire, anche perché c’è maggior consapevolezza rispetto a qualche anno fa nei confronti di alcune sonorità e il genere nello specifico è anche abbastanza frequentato, per così dire, da tanti nomi che si affacciano sulla scena ogni anno che passa. E poi alla fine della fiera credo di fare un’elettronica che è molto accessibile rispetto a tante produzioni che si rivelano certamente più sperimentali e ardite; sulla memoria, è vero, m’interessa, ma come realtà inconfutabile nella sua bellezza estatica, come fattore cristallizzante che stabilizza la mente dell’ascoltatore/spettatore su un loop o un frame; lo annebbia oppure lo sintonizza a seconda dei casi. È chiaro che siamo naturalmente sempre li ad elucubrare di psichedelia; poi come al solito c’è chi si avvicina al genere in modo più dark, chi intraprende derive folk e chi gioca una partita più sul piano dello spettacolo che della musica incisa. A me in questo periodo interessa più fissare un momento nella mente di ognuno e la memoria in questo aiuta molto.
Io non sono totalmente d’accordo con te, nel senso che secondo me tu hai una tua complessità (anche teorica, come si capisce da questi nostri scambi), solo che sai essere molto immediato ed emozionare. Ti va di fare un passetto indietro, a questo riguardo, e di parlarmi di quel piccolo caso che fu la collaborazione con Uggeri e Mauri? Così diciamo due cosette anche su Uggeri, che suonerà allo Human Scapes e credo sia uno dei primi field recorders miei coetanei che ho incontrato lungo il cammino. Il suo Un’Estate Senza Pioggia si riferisce all’estate del 2003, quindi parliamo di gente che fa questo da più di dieci anni…
Ti ringrazio per la complessità emozionale. Scherzi a parte, di Matteo Uggeri penso che sia un altro che in quanto a complessità non scherza, ovviamente in senso positivo, una complessità interessante da scoprire, che fa uso di field come dici, ma ci tiene tanto alla qualità audio complessiva. E poi mi piace moltissimo il suo piglio, quello di chi apparentemente non si prende sul serio ma che in realtà dietro ci mette un sacco d’impegno; ebbi modo naturalmente di accorgermene già ai tempi della collaborazione alla quale facevi riferimento, Pagetos uscito per Boring Machines, con Luca Mauri alla chitarra, io al pianoforte e Matteo a fare praticamente da collante, ma non solo. Per lui mi tiri addirittura fuori un’annata 2003… e già, dici bene; gli anni passano e credo che questi ultimi in particolare siano gli anni di chi come Matteo e la generazione giù di lì stia cercando di concretizzare effettivamente quanto ha costruito in modo anche sudato fino a questo momento anche grazie all’attenzione di riviste come la tua che sono nel giro più o meno dallo stesso tempo.
Dopo Pagetos, ci sono stati due album come Luminance e Litania. Terrei a parte le collaborazioni (Allegretti, Nelson), perché vorrei soffermarmi ancora un attimo su di te, perché in effetti quando parli di accessibilità non dici una bugia. È come se avessi trovato un suono più puro, meno giocato su disturbi/glitch. In questo, senza voler fare paragoni altisonanti (voglio solo farmi capire) e sapendo che fate dischi diversi, mi hai ricordato un po’ Fennesz nel tuo mostrarti progressivamente “meno digitale”. Me la passi?
Te la passo con piacere e sebbene Fennesz sia oramai sostanzialmente una sorta di “rockstar” dell’elettronica, e probabilmente in Italia assieme ad Alva Noto uno dei più conosciuti nel genere, è forse quasi inevitabile per chi come me è vissuto in questo periodo e si è cimentato a far questo tipo di elettronica, essere influenzato dalle sue sonorità. Il primo grande amore non si scorda mai, si potrebbe sintetizzare; poi naturalmente le ibridazioni fanno parte del gioco e del percorso evolutivo che ognuno di noi compie (in qualsiasi settore aggiungerei non solo artistico); chi rimane fermo sulle sue convinzioni senza lasciarsi il beneficio del dubbio o parla in modo assoluto mi spaventa, la possibilità di non cambiare mi terrorizza.
In definitiva, quindi, mi sono tenuto un po’ di possibilità aperte; le collaborazioni, ad esempio, mi danno come hai già intuito l’opportunità di sperimentare cose anche molto diverse dal mio genere abituale e anche d’imparare qualcosa da musicisti che hanno approcci per me insoliti. Se prima si è parlato di accessibilità dell’ascolto, per rimettere tutto in gioco e sparigliare le carte, potrei in effetti farti ascoltare qualcosa di due nuovi lavori work in progress che vorrei finalizzare tra fine 2014 e nuovo anno: uno è frutto di una collaborazione con un musicista americano che fa cose completamente fuori dalla mia gittata, l’altro è una sperimentazione tout court e che avrà anche un packaging particolarissimo, ma è ancora veramente presto per parlarne, ci sono un sacco di dettagli da definire.
Quel che è certo è che tu hai delle caratteristiche di solito difficili da trovare insieme. Sei un solista, ma sei anche un uomo squadra. Se guardiamo AIPS, se guardiamo le cose che hai pubblicato su Oak con Alessio e se guardiamo lo Human Scapes Festival, vediamo come i nomi coinvolti sono tanti, ma sono anche quasi sempre gli stessi. A tuo avviso la nascita di questo network sperimentale italiano è stata un fenomeno dal basso oppure la tessitura tua e di Alessio ha pesato in alcuni passaggi?
Le reti collaborative mi hanno sempre attratto e in ambito artistico ancora di più. Con tanta gente oggi che si occupa di arte pubblica, relazionale, dal basso… ci si rende conto che la musica e la sperimentazione sonora occupano uno spazio sempre un po’ più defilato in qualche modo rispetto ad altri, sebbene secondo me qualcosa si sta lentamente smuovendo.
I nomi coinvolti nello Human Scapes Festival ti sono quasi certamente familiari perché appartengono banalmente a questa rete che cerca da qualche anno di farsi conoscere e questa volta non con soli workshop e live performances spaiate, ma con un festival dedicato .Sulla questione della spinta iniziale, trovo che sia difficile dire quanto questi fenomeni (il nostro è certamente un micro-fenomeno dal punto di vista delle ricadute e in termini di numero di persone coinvolte) accadano per volere di una o più persone.
Come ho già avuto modo di dire in altri contesti, era secondo me nell’aria che si facesse qualcosa in ambito soundscaping, elettroacustico e che virasse leggermente più dal lato dell’esperienza artistica, dunque un po’ meno legato ad alcuni ampollosi processi accademico-musicali e più focalizzato sulla spinta contemporanea del messaggio crossmediale, un messaggio trasversale, a mio avviso moderno e, se vuoi, in qualche modo anche “ecumenico” nel suo tentativo di accogliere gente a digiuno di field recordings, drones e via dicendo. Alessio ed io abbiamo avuto la fortuna di tradurre quest’urgenza, come direbbero a teatro, in una realtà che è divenuta sempre più concreta. Un collettivo, poi un’associazione, una label, ora un festival. Una piccola, lenta ma direi senz’altro più che soddisfacente evoluzione.
C’è una live performance allo Human Scapes che ti incuriosisce più delle altre? Come hanno lavorato gli artisti coinvolti sulle immagini? Improvviseranno magari sulla base di un canovaccio pre-esistente?
Più che una singola perfomance, sono molto incuriosito dal vedere il risultato complessivo tra le diverse interpretazioni live, sondare le differenti sensibilità artistiche di fronte ad un materiale video così vario.
Già dal materiale delle cineinstallazioni sono emersi elementi molto interessanti. Gli artisti hanno lavorato seguendo una linea tematica: si va ad esempio da un tema come “vacanze al mare” ad una sua interpretazione che può avvenire, come da programma, o nel momento di cineinstallazione o durante il live.
È stata data agli artisti massima libertà: Annalisa, la nostra addetta alla supervisione video, ha selezionato il materiale, Alessio lo confezionato e preparato per gli artisti affinché ne traessero la giusta ispirazione. Naturalmente le soundtrack per le cineinstallazioni sono lavori più da studio mentre ci sarà d’aspettarsi sicuramente molti più momenti improvvisativi durante i live.
Bene, siamo andati avanti a lungo e vorrei pubblicare questo nostro scambio a brevissimo, di modo che la gente s’incuriosisca per tempo. Ho un’ultima curiosità, un po’ giocosa ma anche un po’ seria. Qui stai parlando davanti a un pubblico ridotto, ma a suo modo edotto. La sfida, per un evento come il vostro, forse è anche convertire qualcuno, magari qualcuno più prossimo al vostro modo di vedere la musica, non uno che ne sia completamente digiuno. Avete pensato a quest’aspetto? Puntate a fondere i pubblici delle varie realtà coinvolte, in una sorta di arricchimento reciproco? In bocca al lupo!
Siamo forse tutti un po’ profeti nel momento in cui decidiamo di non avere a che fare con la musica pop o produzioni main. La conversione è un atto complesso che pochi accettano di buon grado neanche fosse perdere la fede per una squadra di calcio, ma l’avvicinamento lento e cauto, quello sì, è un atto che possiamo e dobbiamo tentare a mio avviso anche se ci tengo a sottolineare che non partiamo con un’iniziativa con l’intento di fare proseliti ed evangelizzare alcuno. È chiaro che in un’ operazione come lo “Human Scapes Festival” l’unione di due realtà (non così distanti a dire il vero) può avere effetti benefici in termini di numeri di pubblico, ma speriamo anzitutto che l’evento susciti l’interesse e la curiosità che auspichiamo, perché siamo profondamente convinti della bontà del concept e soprattutto della qualità degli artisti e delle produzioni che vedrete/ascolterete. Una chicca che forse non ho sottolineato abbastanza è che tutti gli eventi live, le cineinstallazioni e i talk sulla musica elettroacustica del conduttore radiofonico Nicola Catalano sono tutti gratuiti, una ragione in più per evitare di rimanere senza posto a sedere nella sala cinema del Cineporto di Bari il 21 Settembre. Crepi ovviamente il lupo e grazie per lo spazio che The New Noise ci offre.
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