Beffardamente, durante l’ascolto, ci si accorge che il paesaggio sonoro dinamico è in realtà un paesaggio sonoro statico, poiché ogni giorno che passa diventa più simile a se stesso.
La Città Eterna e le sue odissee metropolitane. Quella che potrebbe essere – anzi è – quotidianità per tanti avventurieri capitolini è anche l’ultimo approdo della poetica “foto-musicale” di Francesco Giannico. Su cosa sia la foto-musica Riccardo Piacentini sta da tempo dedicando studi, compendiati a dovere con “I suoni delle cose”, quindi il termine, per vostra fortuna, non l’ho inventato io. Oltretutto alla versione limitata di questo disco (che esce per Time Released Sound) sono state associate una serie di foto (appunto) scattate nel luogo suddetto: la metro di Roma. Ma Giannico non si è preoccupato solo di questo. Ha voluto dare importanza anche alla ricaduta di questo suo lavoro all’interno di un contesto più consono alla sua sound art, con l’installazione che tra l’altro verrà ospitata al 90dB Winter Edition. Quello che però si può sentire subito ascoltando Metrophony è quanto Francesco sia disinvolto. Già numerose collaborazioni gli hanno permesso di affrontare questioni strumentali di diverso tipo e adesso possono essere messe a frutto. C’è il piano, ma non c’è il Theo Allegretti dell’elegante Flow Signs, c’è la batteria, ma non c’è lo Zac Nelson di Les Nomades Paysages, c’è la chitarra, ma non c’è il Luca Mauri di Pagetos, insomma: il bagaglio è ricco e se ci leggete avrete già capito a cosa alludo. In filigrana il “sound-report” – più che un’aneddotica altrimenti smarrita – mette con merito in risalto ciclicità e funzione degli eventi, da impronta sonora a similitudine astratta. Il chiacchiericcio come accompagnamento, il vagone sulle rotaie come ostinato, le porte automatiche come contrappunto, l’annunciatore elettronico come “liriche”, e così di nuovo. Sebbene sotto forma di un’elettroacustica meticolosa, trasognante, puntellata con quel dronegaze che piace a noi, i contenuti di Metrophony sembrino innocui, il conflitto tra quel “paesaggio sonoro dinamico e statico” che Giannico ha portato alla luce (e per portare qualcosa alla luce dai sotterranei dalla fermata “Conca D’Oro” ne devi fare di scale) mostra invece l’interrogativo critico: se “… ogni giorno che passa diventa più simile a se stesso”, cos’è che differenzierà ancora i “suoni della memoria” da un “sistema di abitudini”?
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