L’asse franco-tedesco traballa. La Francia ha deciso di farla finita con l’austeritá. Basta, tuona il ministro delle Finanze Moscovici, «stiamo chiedendo di porre in atto delle politiche di crescita da almeno un anno, tutta questa austeritá impedisce la crescita». Affermazioni nettamente in frizione con quelle di Schauble, controparte tedesca costretta a tenere dritta la barra in vista della corsa al terzo mandato della Merkel per settembre. È tempo di giocare a carte scoperte, ormai.
La Francia sta assistendo inerme alla decrescita lenta ma incessante del proprio PIL, pur essendo riuscita quest’anno a scampare le sanzioni di Maastricht per non aver rispettato i vincoli del rapporto deficit-PIL. I suoi bond a dieci anni sono stati venduti a un prezzo record in negativo. E il tasso di disoccupazione resta alto in un paese che dovrebbe essere la seconda economia dell’Eurozona.
Hollande non ha perso tempo per lanciare una frecciata alla Merkel, affermando che, viste le elezioni tedesche in settembre, la Cancelliera «non puó di certo dare l’impressione che le importi maggiormente il destino dell’Europa, che dei tedeschi. E cosí, prosegue il presidente francese, il rischio è che la Germania possa voler aspettare l’esito delle elezioni per andare avanti nel progetto di unione bancaria». L’insofferenza europea e nazionalpopolare per l’austera Merkel non rimane confinata al territorio francese. La demonizzazione di Angela nell’Eurozona ha trovato alleati forti ad Atene come a Nicosia, nelle cui strade di certo non si pensa al leader tedesco con benevolenza. Ma fa sempre un certo effetto vedere che in Francia, terra dell’<amitié franco-allemande>, il partito socialista denunci la Merkel approvando un documento di partito contenente parole infuocate. Tensioni e mal di pancia contro una Cancelliera «dall’egoistica intransigenza», accusata di bloccare la crescita in Europa attraverso la sponsorizzazione di politiche di esclusivo interesse dei tedeschi, per portare acqua alla sua campagna elettorale e all’equilibrio di bilancio del suo Stato.
Il velo di ipocrisia generale si rompe di fronte alla scena del primo ministro francese, Monsieur Ayrault, che twitta allegramente dell’importanza dell’asse bilaterale franco-tedesco mentre i suoi elettori, quelli piú estremi del Front de Gauche, scendono in piazza capeggiati da Melenchon per ribellarsi alle politiche di austeritá e alla forte influenza dei big della finanza. Giá dai tempi del Merkozy si ponevano le basi per le prime crepe in quell’asse che metteva assieme una Germania prospera e una Francia impantanata nella stagnazione economica. Hollande aveva saggiamente evitato i pre-meeting informali bilaterali che Nicolas soleva fare prima di ogni summit europeo. Il socialista ha preferito coinvolgere personalmente Spagna e Italia e nonostante ció sta soffrendo una pesante impopolaritá, dovuta ad altri scandali che hanno scandito la vita del suo governo, come l’affare Cahuzac. Forse sará sempre piú difficile che i due paesi convergano per portare avanti ulteriori «politiche del Reno».
La Francia sembra spostarsi sempre piú a sud e i tedeschi sembrano voler andare avanti per conto proprio, senza pagare i debiti e gli sprechi degli altri. Sull’Economist si racconta che negli anni della riconciliazione franco-tedesca (1962) Adenauer e De Gaulle si incontravano alla Cattedrale di Réims e la sedia di De Gaulle era piú alta di quella di Adenauer. I tedeschi, peró, non criticarono la mossa, dicendo che se ai francesi spettava il dominio politico, ai tedeschi sarebbe sempre rimasto quello economico. Chissá se oggi una simile differenza di taglia passerebbe ancora inosservata, in nome di uno spirito di riconciliazione forse dimenticato.
Ylenia Citino