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Franco Scaldati e il gruppo di Peppino Impastato

Creato il 08 giugno 2013 da Casarrubea
Manzella, Franco Scaldati e Giuseppe Cucinella

Manzella, Franco Scaldati e Gaspare Cucinella

Un raro ‘pezzo’ di dissacrazione del senso dell’onore offeso e della collaborazione che Franco Scaldati, recentemente scomparso, aveva con il gruppo di Peppino Impastato e, in particolare, con il poeta di Cinisi Gaspare Cucinella  e il pittore Pino Manzella che di questo gruppo faceva parte attiva, autore di questa breve memoria.

*

“…e vireva cinìsi a Cinisi cantari…
e  luci luciri
…e masculi e fimmini bruciari”

Quando lessi questi versi di Franco Scaldati ne La guardiana dell’acqua mi venne il dubbio che potessero riferirsi a noi, al gruppo di Peppino Impastato, i cinesi o i Mao-Mao come, con spregio, ci chiamavano allora. Quei cinìsi a Cinisi che cantavano e quei masculi e fimmini che bruciavano potevamo essere i ragazzi e le ragazze del circolo “Musica e Cultura”, quelli che organizzavano concerti e che bruciavano di passione politica, la gioventù bruciata di Cinisi.

Tramite Gaspare Cucinella, qualche anno prima, Scaldati aveva portato nel nostro circolo [fondato da Peppino Impastato],  Il pozzo dei pazzi ancora in fase di allestimento, una specie di prova generale prima della “prima” di Palermo. Ed era stata una ventata di poesia, allegria, malinconia che aleggiò per molto tempo fra di noi: quando ci volevamo fare quattro risate i più bravi imitavano le surreali battute tra Aspanu e Binirittu che riguardavano le rispettive madre e sorella.

ASPANO:   Binirì…ti l’àiu cuntatu mai quannu

     iv’a ficcari cu to suoru e stav’ anniannu?

BENEDETTO:   …e iu t’u cuntavu quannu to matri pi scummissa

   si nfilò na vutt’i cientu litra nna fissa?

ASPANO:     se … m’u cuntasti Binirì … però a scummissa  

   ‘a vincìu  to suoru ca si nfilò  nna fissa  

   a ciminiera ru vapur’i Napuli

BENEDETTO:     No Aspanu  … to matri a vinci’a scummissa     

   Ca ripò ci’arrinisciu a nfilarisi nna fissa

   l’esercit’amiricanu assem’o sirgenti turcu

ASPANO:     No Binirì … ‘un t’u ricordi buonu. To suoru

     Vinciu. Ca ripò nna fissa si nfilò

     a truppa  tirisca e pur’u  capitanu  

BENEDETTO:     Può essiri puru ca  ‘un m’u ricuordu … però

   ci’u vitti trasiri n’cul’a to matri un  trenu

   miecciu c’’un tintu   metropolitanu

“Quando portammo in giro Il pozzo dei pazzi – ricorda Gaspare in macchina mentre torniamo dai funerali di Scaldati – lo spettacolo era sempre diverso, le battute cambiavano ogni sera, s’ inventavano al momento”. E infatti ricordo che al circolo rimase famosa la battuta del trenu miecciu cu trentacincu vacuna  che non c’è più nella versione finale. E la moglie di Gaspare ricorda quella volta che Franco, durante la recita, cadde con il fiasco in mano che andò in frantumi e lo ferì seriamente, perché il vino era vino e alla fine della recita i due attori puzzavano come due veri clochard avvinazzati.

O quella volta che Aspano passava troppo spesso davanti a Binirittu coprendolo alla vista del pubblico e Binirittu come se fosse una battuta del copione gli disse: “Aspanu, u cuinnutu chi si, a finisci ‘i caminarimi ‘i ravanti?”. E Aspanu:” Si tu chi ci scass’a minchia e mi camini ‘i rarrieri!”. O quella volta che, in un paese dell’interno, cominciarono a recitare per strada, lontano dalla scena, e la gente iniziò a raccogliersi attorno sempre più numerosa accompagnandoli fino al palcoscenico che, spesso, era un angolo di strada con quattro sacchi stesi come biancheria, davanti ad una facciata particolarmente malandata.

Ma torniamo ai cinìsi di Cinisi. Un giorno con Gaspare andammo a trovarlo in quello studiolo al primo piano in Corso Finocchiaro Aprile, vicino al tribunale. In quell’occasione parlammo di Peppino, dei Cento Passi, fummo d’accordo sul fatto che c’era molto altro da dire  su questa storia e mi disse dell’intenzione che aveva di scrivere qualcosa su Peppino. E allora ne approfittai e glielo chiesi. Insomma quei cinìsi di Cinisi era solo un gioco di parole o significava altro? Mi guardò alla sua maniera con gli occhi stretti tra la barba e le folte sopracciglia e sorrise ironico: e quella fu la sua risposta. Io capì che ai poeti non bisogna fare certe domande e mi convinsi che si, i cinìsi di Cinisi, masculi e fimmini che bruciavano, la gioventù bruciata di Cinisi, eravamo proprio noi, i Mao-Mao.  

E poi, infine, la grande occasione. Una recita di poesie di Gaspare Cucinella nel nuovo teatrino che avevamo sistemato vicino alla stazione di Cinisi. Sapevo che Scaldati era sempre alla ricerca di posti in cui sperimentare e sviluppare il suo teatro, così lo chiamammo per consegnare una targa-ricordo al suo vecchio compagno di scena. Lui non si era fatto pregare. Era stata una bella serata, i due attori non si vedevano più così spesso, erano contenti d’incontrarsi. A Scaldati era piaciuto quel teatrino piccolo ma accogliente. Riparlammo di Peppino, voleva incontrare i suoi vecchi compagni, forse in quel teatrino si poteva fare qualcosa. Per conto mio avevo stampato alcune copie de Il pozzo dei pazzi e le avevo date ai nostri soci- attori che si erano divertiti molto a leggerle. Era un tentativo, destinato al fallimento, di far crescere quella compagnia di attori dilettanti ma appassionati, di andare oltre L’ eredità dello zio canonico per arrivare ad un teatro popolare, dialettale ma più contemporaneo. Quando presentai Scaldati al presidente dell’Associazione bastarono poche battute e dal suo sguardo capì che la distanza era incolmabile. Quella sera abbiamo sfiorato la fortuna di avere Scaldati che preparava un nuovo spettacolo a Cinisi e l’abbiamo persa. E l’abbiamo persa per l’ignoranza e l’arroganza, che spesso  felicemente si accoppiano, di uno dei tanti sedicenti Fellini di cui pullula la nostra provincia.

In autostrada, allo svincolo di Capaci, chiedo a Gaspare se con lui ne aveva mai parlato, di quel progetto su Peppino. Si, gliene aveva parlato ma lui pensa che alla fine Franco non ne aveva fatto più niente. Io, invece, spero che la scintilla poetica fra Scaldati e Cinisi non si sia limitata a quei cinìsi di Cinisi che cantano e masculi e fimmini che bruciano e che in mezzo alle sue carte ci sia ancora un’ ultima poesia dedicata a Peppino.

 Pino Manzella

  


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