Artista/Gruppo: Frank Marino
Titolo: Full Circle
Anno: 1986
Etichetta: Justin Time
Rieccoci dopo tanto tempo, scusate l’assenza ma ero preso tra Sofocle e Platone… Ma ritorno col botto, suggerendo l’ascolto di un chitarrista dalle tante sfaccettature ma soprattutto dalla immensa tecnica. La storia di Frank Marino è legata a doppio filo al nome della sua band, i Mahogany Rush. Canadese il gruppo, canadese anche lui, di origini italiane tanto che per esteso il suo nome è Francesco Antonio Marino.
Un pazzo è dir poco. E la sua vena di follia si srotola lungo le note che accalappia, stringe, comprime, con una velocità pazzesca. Stile che posso riassumere con una metafora: immaginate una diga, viene aperta una condotta e in un metro quadro di buco si riversa l’impeto e la forza dell’acqua. Il fiume sono le note che Frank Marino strozza grazie anche a un’eccezionale utilizzo del pedale, l’acqua che fuoriesce d’impeto sono le mille coloriture armoniche che crea con la sua forza tecnica. Provate a ad ascoltare alcuni suo album e vedrete che in certi tratti non riuscirete a distinguere un Sol da un Mi bemolle.
Diciamo che Frank Marino è un’esperienza che ogni amante del rock veloce, ma ancor più chi vuole avvicinarsi a chitarristi ipertecnici, deve almeno una volta provare. Insomma, un album di Frank Marino è come un giro sulle montagne russe, chi non lo ha fatto almeno una volta?
Bene, il preambolo era d’obbligo, perché a dire il vero intendevo parlare di Frank in modo diverso, alternativo come lui. Ma la mia scelta è caduta sua una produzione datata, Full Circle, e attorno a questo album non ho trovato poi un granché.
Ritengo però interessante la nascita del mito di Frank Marino e del suo esser stato investito dalle Muse del rock. Infatti si narra che da ragazzino Frank facesse larghissimo uso di droghe sintetiche, funghetti, lsd, ecc. Da un suo cattivissimo viaggio fruttò per noi ascoltatori una vera fortuna. Perché fino ad allora Marino era uno dei tanti apprendisti batteristi sulla scena nord americana, ma una volta ricoverato in ospedale utilizzò la chitarra per passare le giornate. E così, una volta dimesso, ebbe la sensazione di esser un gran chitarrista.
La storia gli darà ragione, e somiglia molto a quella della sparizione di Robert Johnson, che scomparve negletto e tornò fenomeno. Qui si tratta d’altro, semplicemente un tentativo di rendere epico ciò che non fu. E lo stesso protagonista lo ha spiegato più volte, cercando con la sua estrema umiltà di mitigare le sfumature fantasiose riguardo gli albori della sua carriera di musicista. C’è anche un’altra storia, questa veramente fantasiosa e categoricamente smentita dal protagonista. Frank Marino non ha mai nascosto la sua passione per Jimi Hendrix.
Facendo leva su ciò, alcuni giornali negli anni ’70 fecero circolare la voce che lui fosse la reincarnazione di Hendrix. Sta di fatto che quando Jimi morì, era il 1970, Frank era nato da 16 anni, e qui entra in gioco la favola: secondo tali sicofanti, l’anima di Hendrix entrò nel corpo di Marino a seguito di un suo incidente stradale.
Storia, legenda, imitazione, una cosa è certa: nei primi album dei Mahogany Rush, Jimi Hendrix sopravvive e viene di continuo rievocato. Questo grazie alla tecnica chitarristica di Marino, che non ha mai nascosto di ispirarsi al grande musicista di Seattle, mantenendo sempre le dovute distanze.
Tengo a precisare che questo giovane cinquantenne di oggi è sempre stato un diavolo di velocità, un “Guitar Hero”, un “Guitar Monster”, come si suol dire. A lui per esempio si è ispirato moltissimo Steve Vai. A sua volta Marino offre un intero bagaglio di conoscenze musicali, dal rock a blues e jazz, e di gusti che sarebbe un peccato non citarne alcuni. Si parte dal già osannato Hendrix e si arriva a Beatles, Doors, Johnny Winter, Allman Brothers, per arrivare al jazz di Count Basie (!), Coltrane, Charlie Parker.
Mi sorprendo a notare che sono pressappoco gli stessi miei gusti, e quando alcuni anni fa, braccato dai ragazzi di Heavi-Metal.it, Frank parlò di questi suoi gusti, disse: «Noterai che non sono certo simili fra loro, io amo la varietà. La musica di oggi non è poi cosi diversa penso, è solo molto più prevedibile. In effetti non ti saprei dire qualche nome in particolare, non ne ascolto molta…». Per Giove, quanto ci somigliamo, ho pensato, e quanto ha ragione. Allora emerse anche una gran critica, che detta da uno di noi potrebbe sembrare la solita melassa di improperi gratuiti, detta dal protagonista suona come una spiacevole verità: «Non abbiamo mai suonato in Italia nemmeno quando sono venuto in Europa in passato. Semplicemente non abbiamo mai avuto offerte». Chiara la critica ai promoter locali.
Era il 2005 e da poco era uscito RealLIVE!, non so se in questi ultimi sei anni Marino abbia poi ricevuto la tanto agognata offerta di suonare nella terra dei suoi avi. Comunque approfitto e lancio l’idea all’Auditorium Parco Della Musica di Roma: dopo aver portato nella capitale gente come Paco De Lucia, McLaughlin, Al Di Meola, Jeff Beck, e lo stesso Johnny Winter, perché non portare anche Frank Marino? Vi assicuro che sarebbe un successo senza precedenti, perché il ragazzo ne ha di estimatori anche in questo paese.
Passando a Full Circle. Data 1986, album identificativo di una certa passione per la psichedelìa di Marino, ad alcuni non è piaciuto molto a me molto. In assoluto domina l’estrema cura per le partiture, in alcuni tratti sembra Frank aver tratto ispirazione da gruppi come i Dire Straits, ma questo è un altro discorso. L’unica particolarità-curiosità che sono riuscito a raccogliere da questo lavoro, è che si tratta della sua prima produzione curata esclusivamente da lui stesso. Apprezzo molto di più altri lavori meno tecnici e più passionali, ma dopo averlo ascoltato in tutte le salse, direi che merita tanta attenzione e una critica più che positiva. Il mio voto è 7,7.