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"I did not ask to be born, but once born, I will fight to live. All life is precious - even mine."
Ogni attore sogna di poter assaporare il gusto del palcoscenico: la presenza del pubblico e il fragore degli applausi sono qualcosa che la macchina da presa non è in grado di riprodurre e la stessa proiezione del lavoro teatrale sul grande schermo potrebbe sembrare quasi un tradimento, all'unicità e alla naturalezza di una performance sempre sottilmente diversa: fermo restando che il filtro della sala cinematografica non potrà mai bissare le emozioni di una visione dal vivo, concedere la fruizione dell'opera anche ai tanti spettatori che non hanno potuto goderne in altro modo è un'opportunità che merita il sacrificio, più che mai nel caso del Frankenstein diretto da Danny Boyle.
Dopo il grande successo al National Theatre di Londra nel 2011, la versione del mito creato da Mary Shelley secondo Nick Dear(scrittore di teatro ma anche sceneggiatore dei film per la tv Byron e Persuasion), con Benedict Cumberbatch e Johnny Lee Miller a interpretare alternativamente il ruolo del Dottore e della sua creatura ha visitato moltissime sale cinematografiche in Europa e nel mondo, ma solo quando ormai si erano perse le speranze la Nexo Digital ha finalmente reso possibile una distribuzione italiana.
Per un regista come Danny Boyle, abituato a sporcarsi le mani con le distorsioni di una realtà caotica e disturbata e personaggi che vessati dai ritmi confusi della massa diventano puntini alienati nello spazio, lavorare con un classico letterario tanto intimamente costruito come quello di Mary Shelley e per di più vestendo gli stretti abiti del palcoscenico era una sfida non indifferente, ma nel sodalizio con Nick Dear il suo Frankenstein riesce non solo a preservare intatto il fascino del romanzo ma anche a dar voce alla poetica di Boyle senza tradire sè stesso.
Epurato il testo di numerosi personaggi di contorno(sparisce l’amico Clerval ma soprattutto l’avventuriero Walton)e trasformati i suoi punti deboli in passaggi vincenti(tutta lo spazio riservato a De Lacey è riveduto al meglio), Frankenstein rinuncia alla simmetrica struttura del testo originale per fare della creatura il centro della narrazione, con lo scienziato che testimonia il risultato della sua folle ricerca per poi abbandonare rapidamente la scena per tutta la prima ricchissima parte dello spettacolo: la vita del mostro senza nome inizia con una nascita che rievoca più l'immagine di un grembo materno che gli impulsi elettrici tradizionalmente usati dallo scienziato, inizia a scorrergli in tutto in corpo facendone vibrare gli arti e i muscoli, finchè l'essere adulto nell'aspetto e neonato nell'animo scopre di essere padrone di sè stesso e di dover vivere perennemente in sospeso fra bene e male.
Rifiutata per il suo orribile aspetto e gettata in pasto alla crudeltà dell'uomo colui che è stato creato inizia un estenuante viaggio alla ricerca del suo creatore, mentre il caos della rivoluzione industriale irrompe sul palco con una rumorosa locomotiva steampunk e un gruppo di laboriosi operai che non può non ricordare il "Pandemonium" della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra 2012(diretta dallo stesso Boyle).
Essenziale per la messa in scena, supportata da una grande piattaforma girevole e scarne scenografie, la spettacolare istallazione luminosa che sovrasta il palcoscenico scandisce il ritmo della storia, mischiando l'artificiosità elettrica della vita della creatura ai battiti di un cuore che pulsa di sentimenti e sensazioni straordinariamente umane.
Quanto il diverso è curioso, spontaneo, appassionato e vendicativo tanto il Dottore è freddo, razionale, incapace di interagire con i suoi cari e di dimostrare amore a qualcuno tranne che a sè stesso: il cuore e la mente, due facce della stessa medaglia estranee e lontane dalla società come se Victor avesse rinunciato allo spettro delle sue passioni, quelle pure dell'infanzia e quelle oscure dell'età adulta, per donare tutto al prodotto del suo ingegno e svuotarsi.
Nell'interpretare entrambi i ruoli grazie al "reversed cast" Benedith Cumberbatch e Johnny Lee Miller danno sempre e comunque il massimo, ma anche se le Performance del secondo sono ottime e ricche di sfumature( quando viene chiesto alla creatura di Miller perchè pretenda da Frankenstein la creazione di una compagna sentirlo urlare "BECAUSE I AM LONELY!" è da brivido), è comunque il collega a riuscire a far interamente suo lo spirito del Dottore e del suo doppelgänger: la sua prova per la creatura è interamente giocata sulla fisicità del personaggio, l'iniziale incapacità di articolare i movimenti e usare la parola e la scoperta della natura e dei suoi sapori, rumori e delizie; un processo di apprendimento che inizia con l'imitazione( copiando letteralmente le mosse e gli atteggiamenti del "mentore" De Lacey) e prosegue nel sogno, quando nella scena forse più bella e intensa del testo di Nick Dear la creatura immagina di poter condividere(in una danza dai ritmi spagnoleggianti della ottima musica degli Underworld) la propria solitudine con un'anima gemella altrettanto diversa e orrenda, cercando disperatamente di raggiungerla per avere il calore di un abbraccio destinato a svanire nel labirinto dell'onirico.
Lo standard si mantiene elevatissimo anche nella prova di Cumberbatch come Victor Frankenstein, quando la ricerca dello scienziato degenera da semplice passione per la scoperta a spaventosa follia in un delirio di onnipotenza che mai si scompone neppure di fronte alle legittime domande dell'essere da lui creato e della donna che, se pur in misterioso distacco, l'uomo sostiene di amare( "my mind is superb!", è tutto quello che ha da dire anche di fronte alla tragedia più grande).
Elizabeth Lavenza è interpretata con la giusta dolcezza dalla nuova Bond Girl Naomi Harris e anche i pochi altri attori sulla scena svolgono un eccellente lavoro, per quanto faccia effettivamente uno strano effetto vedere il padre di Victor(George Harris, conosciuto come Kingsley Shacklebolt nella saga di Harry Potter) e lo stesso fratellino William essere interpretati da attori di colore: chi scrive non è certo razzista, ma dovendo collocare l'azione in un particolare momento storico la manovra rischia di togliere credibilità e verosimiglianza, confermando una tendenza particolarmente diffusa nelle produzioni anglosassoni contemporanee ma forse non troppo illuminata( ribadisco ancora che NON è una questione di razzismo, ma di verità storica).
Senza disdegnare alcuni momenti di sincera ironia, in cammino su una strada lastricata da interrogativi familiari che non si stancheranno mai di pretendere risposta e con un finale commovente anche in amarezza e disillusione, il Frankenstein di Danny Boyle è un'esperienza totale che sfinisce emotivamente e fisicamente ma che in cambio dell'impegno restituisce luce e meraviglia: seguire Victor Frankenstein e la sua creatura fino alle fredde estremità del polo non ci spaventa e saremmo persino pronti a riprendere il viaggio e ricominciare: dei brividi di questa storia immortale non ne abbiamo mai abbastanza.
Ps: lo so, lo so, ormai sto diventando ripetitiva, ma non è mica colpa mia se Voi-Sapete-Chi è sempre bravissimo dovunque lo si metta.
2) Auguro un felice Halloween a tutti voi, ma colgo l'occasione per ricordarvi un piccolo ma trascuratissimo dettaglio che al momento di scegliere il costume per la festa viene spesso dimenticato: Frankenstein non è il mostro ma il DOTTORE. Felice Halloween a tutti!
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