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Piccoli Dottor Frankenstein crescono: “Frankenweenie” di Tim Burton è il carnival dei mostri. Il film è il rifacimento, come lungometraggio di pupazzi in stop-motion, del suo splendido cortometraggio live actiondel 1982, che rendeva omaggio ai primi due “Frankenstein” della serie Universal degli anni '30. Infatti si chiama Victor Frankenstein il ragazzino geniale che non si rassegna alla morte dell'adorato cane Sparky e lo risuscita costruendo una versione casalinga del folle apparato elettrico (spark: scintilla) dei film frankensteiniani. Sia il corto sia il lungometraggio, ça va sans dire, sono in b/n.Il presente film implica una visione marcatamente diversa per chi conosce il cortometraggio e chi no. Mentre il secondo gruppo non avrà problemi a godere la storia come un tutto, il primo dovrà passare un momento di perplessità iniziale, per un ottimo motivo: la genialità del cortometraggio era di essere girato dal vero, con la voluta naïveté dei trucchi a dargli una disarticolatissima risonanza. Passare da questo all'animazione sembra buttar via la parte migliore dell'esperimento. Controprova: entrambi i “Frankenweenie” sono aperti da un brevissimo film-nel-film, un film di mostri stile anni '50 girato da Victor - che qui è chiaramente un alter egodel giovanissimo Burton - e “interpretato” da Sparky truccato da dinosauro; un film amatoriale con i trucchi più casalinghi possibili (un paio di guanti da cucina diventano due teste di dinosauri che si battono in primo piano). Questo è esilarante nel cortometraggio, giacché realizza una naïveté di secondo grado rispetto a quella iniziale, che contemporaneamente annuncia e per così dire celebra. Invece nel lungometraggio l'ingenuità del trucco va perduta nel contesto della perdita del realismo fotografico. Ma tutto ciò Burton lo sapeva assai bene: non poteva realizzare il remake semplicemente ampliando e “colorando” la storia del 1982 (lo fa solo in un punto, la partita di baseball, e infatti è inutile). Ecco allora il colpo di genio: laddove il cortometraggio si concentrava totalmente sulla coppia Victor-Sparky (gli altri personaggi sono sfondo, nonostante un nome come Shelley Duvall), il lungometraggio dilata la visuale “pantografando” la frankensteiniana passione elettrica di Victor per contagiarne tutti i ragazzi della scuola, che diventano dei piccoli Dottor Pretorius (“Stanotte... noi riporteremo in vita i morti!”). La “mostruosità gentile” di Victor si allarga, non più tanto gentile, all'intera città. Presentati gloriosamente con la scena della lezione di scienze a scuola (aperta dallo stesso movimento di macchina, partendo dallo scheletro verso sinistra, che si vedeva nel cortometraggio), i compagni di scuola di Victor sono tipici piccoli mostri burtoniani. Come Edgar, un figuro che sembra uscito dai disegni di Chas Addams, o (l'invenzione più bella di tutte) la pallida bionda languorosa che tiene in braccio un gatto inquietante - il Signor Baffino - e conserva in un kleenex i suoi escrementi, che hanno un valore profetico: una figuretta che appartiene di diritto al mondo di Jack Skeleton. Complice involontario, un professore di scienze che è la copia esatta di Vincent Price, parla con accento straniero, dice che dalle sue parti sono tutti scienziati (la Transilvania!). E che viene licenziato da una riunione di genitori: ecco la solita antipatia di Tim Burton per la massa stupida e conformista, sempre pronta a trasformarsi in una mob di linciatori. Per Burton gli scienziati pazzi sono sempre un passo più in là della mediocrità generale. Così in una notte di tregenda tutti gli allievi della scuola diventano creatori di mostri - in primis il cupo studente americano-giapponese Toshiaki, il cui doppiaggio rende magnificamente l'inflessione nipponica nell'intonazione delle frasi (Tim Burton ha sempre fortuna col doppiaggio italiano dei suoi film). Si alzano in volo i lugubri aquiloni cacciatori di fulmini di “Wife of Frankenstein”, e per loro tramite la scintilla elettrica di una vita insana si trasmette ai cadaveri di animaletti defunti. I morti risorgono, nuove specie mostruose vengono create. Naturale che ciò offra a Burton l'occasione per indulgere ancora una volta all'evocazione del proprio immaginario infantile. Se l'esperimento di Toshiaki fornisce logicamente l'occasione di un omaggio ai kaju eiga giapponesi, vorrei aggiungere che la trasformazione dei Sea Monkeys in mostriciattoli operata da un altro ragazzo non è solo un evidente omaggio a Gremlins. Più che una citazione è una madeleine: le bustine di Sea Monkeys (esattamente come riprodotte nel film, col disegno di una famiglia acquatica sorridente) erano una presenza fissa nelle pagine di annunci di folli gadget in vendita su riviste come “Famous Monsters of Filmland” di Forry Ackerman - la Bibbia della prima giovinezza di Burton, e di tanti di noi.In questa esplosione frankensteiniana che distrugge la noiosa festa della città si consuma quello che resta il grande tema burtoniano: la rivolta del bambino (magari interiore) contro l'autorità degli adulti. Non per nulla compare una ragazzina malinconica che da grande sarà come la dark di “Beetlejuice” - e guarda caso le dà la voce nell'originale l'interprete di quel personaggio, Winona Ryder. Alla fine del film il padre di Victor, che lo aveva criticato, gli dice in tono di scusa: “Qualche volta gli adulti non sanno di che cosa parlano”. E' il succo della filosofia morale di Tim Burton.
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