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“Franklyn” di Gerald McMorrow

Creato il 26 aprile 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

franklyn

Franklyn è un film religioso, un elogio della fede, cioè del credere nell’esistenza di un’entità superiore (Dio, il destino o comunque si voglia chiamarla) i cui disegni non ci è dato comprendere né giudicare, ma che possono prevedere degli esiti per noi positivi pur facendoci passare attraverso il necessario scatenarsi di eventi negativi. O almeno, questo è ciò che il film sembra dirci all’apparenza. In ogni caso, per svolgere il suo discorso filosofico-religioso, Franklyn si serve del tema del disagio mentale, che caratterizza almeno tre dei suoi quattro personaggi principali, le cui vicende, inizialmente parallele, finiranno per entrare drammaticamente in contatto.

La pellicola appare divisa spazialmente tra una Città di Mezzo non ben collocata cronologicamente, buia e caratterizzata da una grottesca iconografia gotico-steampunk, e la Londra contemporanea, in cui predominano i valori cromatici chiari.

La voce narrante del protagonista della parte della storia che si svolge a Città di Mezzo, John Preest, lega le sequenze appartenenti a questi due diversi ambiti comparendo nel sonoro qualche momento prima che le coordinate spaziotemporali passino da Londra a Città di Mezzo.

Narrativamente, il film procede mostrandoci le vicende di quattro personaggi principali, vicende che fino a  due terzi di film –  escluso l’episodio del “pedinamento”, di cui parleremo in seguito  – non hanno punti di contatto. Una di esse, come abbiamo già detto, si qualifica immediatamente come diversa dal punto di vista visivo, tanto da sembrare addirittura ambientata in un’altra dimensione. Il montaggio parallelo tra queste diverse vicende è molto frammentato.

Il primo accenno al tema del disagio psichico viene introdotto a pochi minuti dall’inizio quando, a Londra, ci viene presentato il personaggio di Emilia Bryant [Eva Green] durante una sequenza ambientata in uno studio psichiatrico. Emilia è una giovane bohemiènne disadattata che ha dimestichezza coi tentativi di suicidio. Capiamo presto che le ragioni del suo disagio sono legate a questioni di ordine familiare. E’ una studentessa d’arte e si occupa di audiovisivo: sta lavorando su un progetto che prevede di pedinare uno sconosciuto per la città e filmarlo. Lo sconosciuto però si accorge di essere seguito, ed Emilia è costretta ad abbandonare il progetto e ad intraprenderne un altro, centrato su se stessa: filmerà il suo ennesimo tentativo di suicidio, salvataggio da parte degli infermieri compreso.

Dopo questo ultimo tentativo Emilia, grazie all’incontro con un inserviente dell’ospedale – una persona evidentemente al corrente dei disegni del destino: anzi, sembra esserne un facilitatore (volgarmente, lo chiameremmo un angelo: alla fine del film lo vedremo sparire, una volta portata a termine la sua missione) – inizia a prendere in considerazione il fatto che per lei potrebbe esserci un destino positivo in attesa, che un suo suicidio potrebbe spezzare. Da quel momento in poi, Emilia comincia a vedere le cose in maniera diversa, inizia a sognare il proprio incontro con l’uomo della sua vita, che identifica con lo sconosciuto che pedinava e filmava. Tutto ciò la porterà ad avere finalmente la forza di affrontare le origini del suo disagio e in, questa maniera, di affrontare la sua vita in modo responsabile, per quanto ciò sia difficile.

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Lo sconosciuto che Emilia segue per le vie di Londra è Milo [Sam Riley], che ha lasciato la sua promessa sposa il giorno delle prove per il matrimonio. Veniamo a sapere che non è la prima volta che gli succede una cosa del genere. Anche questo è, con tutta evidenza, il sintomo di un disagio.

Milo si accorge da lontano di una ragazza che lo segue (in realtà, Emilia) e ciò gli fa tornare in mente un amore d’infanzia (che scopriremo essere immaginario): è convinto che sia questa sua vecchia fiamma, Sally [Eva Green], a seguirlo per la città. Sally è comparsa nella vita di Milo in un momento difficile, quando egli perse il padre da bambino. Anche l’origine della psicosi di Milo sembra essere dunque dovuta a vicende familiari luttuose.

Crescendo, Milo non è mai stato in grado di confrontarsi con la realtà fino in fondo: alla fine ha sempre deciso di evitare di impegnarsi e di tornare alle sue fantasie, alla sua Sally. Sally lo ha aiutato, dapprima, a superare il dolore per la morte del padre, ma in ultima istanza gli ha impedito di vivere veramente. Ad un certo punto, però, Milo si rende conto che Sally è una sua proiezione: è lei stessa, per così dire, a comunicargli che è ora che si separi da lei e che si trovi una compagna reale. Franklyn sembra dunque dirci che anche un evento negativo come la psicosi può in ultima analisi rivelarsi positivo se si rivela funzionale al raggiungimento di un fine favorevole: è per via di Sally che Milo non si è mai impegnato con altre donne e si trova lì in quel momento, è per via di Sally che Milo incontrerà Emilia (che tra l’altro ha le stesse fattezze di Sally, poiché Sally preconizzava Emilia: entrambe hanno la faccia del destino), la sua donna del destino.

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Anche David Esser [Ryan Philippe] – il John Preest di Città di Mezzo – è precipitato nel disagio psichico a causa di un evento familiare luttuoso (oltre ad esserne stato predisposto dall’aver partecipato ad alcune missioni di guerra come soldato). Ciò lo ha portato a ribellarsi apertamente alla visione religiosa del padre, il quale invece è sempre stato propenso ad accettare anche gli eventi più dolorosi come parte di un disegno più alto e ineffabile. David è il personaggio la cui psicosi appare più forte, profonda e strutturata poiché in grado di generare un universo di senso alternativo, che la pellicola ci mostra come altro dal punto di vista figurativo.

David fa dunque propria una battaglia contro la religione e il destino: a volte sembra riconoscere l’esistenza del fato ma in ogni caso egli vi si ribella, perché non comprende e non accetta tutto il male necessario per arrivare a una singola conseguenza positiva. Nel finale, David si renderà conto di essere suo malgrado parte di quel male necessario al destino per realizzare i suoi disegni. Riconoscendosi egli stesso come un ingranaggio del fato, David si sente sconfitto: il suo mondo perde di senso (Città di Mezzo e i suoi abitanti, gradualmente, scompaiono) e non gli resta che scegliere di morire. Non riconosce al destino un senso (l’unico senso, per lui, era quello della sua psicosi), non una finalità: semplicemente egli ne riconosce la forza e ammette la sconfitta.

Peter Esser [Bernard Hill], il padre di David, è invece una persona religiosa, che ha imparato a credere e a sottomettersi ciecamente al destino (certo, egli lo chiama Dio). Eppure – e qui sta il dubbio che in realtà Franklyn sia un film essenzialmente, dolorosamente materialistico – Peter sarà il personaggio che, pur essendo il più pio o forse l’unico tale, alla fine della storia avrà perso di più (due figli e una moglie, che lo aveva abbandonato) senza aver guadagnato nulla. Il suo Dio lo ricompenserà nell’altra vita, forse.

Edoardo Necchio


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