Frantumi

Da Auroita @Vincenzo_Durso

La critica letteraria non si affida mai alle troppe eccedenze positive che può dare una prefazione di un’opera. Il senso di un commentatore non è quello di essere imparziale? Vedere il bello e il cattivo tempo che ammanta uno scritto.
Parto dal principio, perché mi affido alla clemenza del mio intelletto. Quando ho creato questa rubrica, con il senso di seguitare le imprese di Frusta Letteraria, intendevo anche essere militante nelle recensioni; tuttavia, promettendomi di non distruggere sogni, speranze, e soprattutto non sostituendomi al lavoro dell’editore. Professione che di questi tempi mi ripugna, perché ha voluto creare illusioni nei poveri scrittori che, essendo pubblicati, hanno già la convinzione di giungere sul podio dei vincitori. Non è così.
Ci tenevo a dirlo perché sono magnanimo con chi mi propone di criticare la propria prosa. Aggressivo su chi mi incoraggia a leggere la propria poesia. Il motivo è molto semplice: ho rivolto la mia ricerca erudita nella poesia, cercando in ogni modo un mio personale orizzonte poetico, riuscendo a costruire, tassello dopo tassello, versi che toglievo dalla mia bocca e davo in pasto alla carta. Il che la dice lunga sul perché io non consideri Alda Merini un poeta, ma un’ottima scrittrice.
Antonio Oliva, classe 1985, è di Ariano Irpino (AV) laureato in Filologia Moderna presso l’università Federico II di Napoli. Parto col dire, riprendendo un concetto che mi sta a cuore, che la «Poesia è esposta al ludibrio della massificazione, allo sterile versificare, alla contaminazione con i sistemi di potere attraverso la logica del ritorno economico di molti ambiti editoriali e mediatico, la ricerca del consenso, l’appiattimento che ingeneroso sembra non poter offrire di meglio al soggetto pensante e creativo che intensi trattamenti di omologazione e di assoggettamento».
La poesia quindi ha cambiato faccia. Etica e morale sono viandanti a ritroso, per meglio dire, hysteron proteron virgiliane non concesse, che ai nostri tempi si guardano con diffidenza negli scritti. La poesia non ha più la bellezza di un tempo, intesa come culto d’utilità, ma soprattutto come potenza espressiva tale da far innamorare il lettore. Insomma, i poeti hanno perso la captatio benevolentiae dell’ascoltatore e, di conseguenza, si è cercato di estendere questo concetto alle approssimazioni scherzose e al ruolo della musicalità, giungendo più che altro alla captatio malevolentiae – ben accetto il fonosimbolismo, in senso stretto ovviamente, nella poesia, ma che non deve essere il solo. La silloge poetica Frantumi di Antonio Oliva non ha che l’egotismo di mostrare al lettore la sua dimensione artistica, e al contempo il tentativo di creare una realtà. Ma, dove finisce lo scrittore e comincia il contatto con il lettore? Qual è l’importanza dei suoi versi? Noi non ci stiamo più, / coi picconi e i goleador, / ben vestiti e pavidi, / qualcuno si vergogna, qualcuno no… Cattivo, brutta, brutto, bella, / ci vuole di più per diventare una stella…
L’autore, dunque, forse con convinzione, oppure no, fa riecheggiare i propri versi in un neolirismo che tanto ha danneggiato la poesia – e che io apertamente combatto da sempre. Certamente il ruolo positivo dato da Antonio Oliva è di dare freschezza alla concezione neolirica, ma certamente si tratta di una rivisitazione da un punto di vista musicale, che lascia tuttavia troppo spazio alla comunicazione chiara e semplice della sua realtà disillusa, ma ben lontana dall’essere passionale e motivata, come quella crepuscolare: Passerà molto tempo, / amico mio, / prima che io e te / cavalcheremo di nuovo insieme…
Ripeto l’invito che faccio a ogni poeta che ha interesse nell’essere Poesia (perché non basta farla per definirsi tali): «Il lettore deve essere, come lo scrittore, prima di tutto poesia. Deve stimolarsi, lasciarsi andare, viaggiare, e correggersi. L’equilibrio è tutto. Bisogna far comprendere in maniera sottile il messaggio mediante retorica, oppure negarsi a essa per volere stesso della Poesia. Il lettore può essere vegetariano o carnivoro. Il poeta no. Deve farsi onnivoro».
Dunque, siamo di fronte a una grande potenzialità poetica, ma che deve assolutamente negare l’esperienza neolirica. È un consiglio che animo di dare a chi mostra passionalità nei suoi scritti, ma che non è stimolato da confronti intellettuali adeguati. Poiché per un poeta, prima di tutto che per uno scrittore, questo deve essere alla base della propria vita. A poco a poco, spero di ritrovarmi di fronte a una lucciola tirata fuori dalla tasca.


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