Valigia mezza piena e aria fresca di fine settembre che entra nelle stanze buie, porta il profumo dolciastro di una pianta che è qui intorno ma non ho mai capito qual è.
Domani sarà Firenze.
Spesso, nella vita, l’attesa è un balsamo per le illusioni, un trascorrere infinito del tempo, un morire lento. Ma nel ciclismo l’attesa è qualcosa che assomiglia a un cuore pulsante, la vita che scorre nelle vene: si spulciano le cartine, si fanno correre gli occhi sui piccoli numeri delle tabelle di marcia, si ha voglia di partire, di andare. In viaggio. Una corsa perpetua dietro quei ragazzi che pedalano attorno al mondo. Per un attimo, per un passaggio, per lo speaker che dice un nome, un tempo. Tutto per questo, per l’adrenalina di quel secondo.
Fratelli.
E’ così che dice l’Inno del nostro Paese che ogni giorno sembra sull’orlo del fallimento e ogni giorno è ancora, sempre, bello.
Fratelli.
E’ questo uno dei miracoli del ciclismo. Niente bottiglie rotte, né lacrimogeni, né patetiche figure da tifosi falliti. E’ la sensazione strana e forse a volte commovente di essere tutti lì, vite appiccicate l’una all’altra, con lo stesso amore.
L’Italia s’è desta.
Sì, è questa la nostra Italia. Quella di Vincenzo Nibali che tra la bufera di neve alle Tre Cime di Lavaredo, alzò il pugno al cielo e si prese il suo Giro. Quella di Alessandro Vanotti, tenace e fedele sempre a fianco del capitano. L’Italia di Giovanni Visconti che ha ritrovato la vita e la vittoria sulle strade di Marco Pantani. L’Italia dei nostri ragazzi che adesso, forse, staranno contando le ore. Domenica mattina si infileranno le loro tutine azzurre e affronteranno la strada. Quella strada. Quei chilometri. Quello strappo. La tensione di fare bene, tra la polvere e le prime foglie ingiallite della loro terra, gli scorrerà assieme al sangue. Le gambe e la testa saranno più unite che mai.
Stringiamoci.
Me lo sono detto molte volte che il ciclismo è come un abbraccio. Raduna tutti, si prende i tifosi più veraci e quelli più moderati nelle stesse braccia, li fa stare stretti nell’attesa di ruote, di grida.
L’Italia chiamò.
Chiama e racconta: le storie, le vite di chi sta in equilibrio sui pedali e di chi in piedi ci starebbe anche giorni interi. Chiama verso quello che in questi giorni sarà il centro del mondo. E bisogna andare.
Bisogna sempre andare quando sentiamo che la vita ci chiama a gran voce.