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Fratelli unici

Creato il 17 ottobre 2014 da Af68 @AntonioFalcone1

fratelli-unici-locandina-low“Imbarazzante”. E’ il primo aggettivo che mi è venuto in mente una volta uscito dalla sala dopo la visione di Fratelli unici, commedia diretta da Alessio Maria Federici (alla sua terza regia dopo Lezioni di cioccolato 2, 2011, e Stai lontana da me, 2013) su sceneggiatura di Luca Miniero ed Elena Buccaccio. Il secondo è “avvilente”, in quanto non può suscitarmi altro che mestizia il dover constatare ancora una volta come certo cinema italiano non sappia (o, meglio, non voglia, in nome del solito “gradevole intrattenimento” standardizzato) uscire dal profondo pantano di una scrittura approssimativa e di una regia di comodo, portando impudicamente sul grande schermo una realizzazione del tutto simile ad un episodio, fin troppo stiracchiato, di qualche fiction televisiva.
Il resto è affidato ad un cast dal sicuro richiamo e alla grondante melassa a tenere vagamente unita la narrazione, al grido di, tanto per volare alto, Omnia vincit amor et nos cedamus amori (Publio Virgilio Marone, Bucoliche X, 69).

Raoul Bova (movieplayer)

Raoul Bova (movieplayer)

Per carità, visti i grami tempi in cui viviamo, orfani, tra l’altro, di un calore propriamente umano, un richiamo ai valori familiari, anche espresso attraverso la leggerezza dei toni, ci può stare, ma bisognerebbe prendersi la briga di dar vita ad un minimo di coerenza stilistica e narrativa (senza andare oltreoceano, basterebbe osservare quanto realizzano i “cugini” d’Oltralpe), sforzandosi di creare una coesione fra le varie sequenze anziché snocciolare una serie di ameni siparietti autoconclusivi, contornati da battute insipide o frasi ad effetto, ambedue idonee, e la comunanza non è una dote di merito, a far sì che, a tratti, la bocca si pieghi verso un accenno di sorriso. La musica poi, ancora una volta, appare usata in guisa di opportuno riempitivo, facendo sì che molte scene si avvicinino al videoclip o, considerato l’ingombrante product placement, allo spot pubblicitario.
Ma veniamo al plot narrativo del film, incentrato sulle vicissitudini di due fratelli caratterialmente diversi, che negli anni hanno coltivato una certa distanza fra di loro, maturando un rapporto costruito sul reciproco conflitto.

Luca Argentero e Bova (movieplayer)

Luca Argentero e Bova (movieplayer)

Pietro (Raoul Bova) è un affermato chirurgo, totalmente dedito alla professione, divorziato dalla moglie Giulia (Carolina Crescentini) e con una figlia adolescente cui negli anni ha elargito nient’altro che attimi d’assenza, mentre Francesco (Luca Argentero), precario tanto nel lavoro (stuntman) che nella vita affettiva, sbandiera l’immaturità come vessillo esistenziale.
Quando il primo sarà vittima di un incidente d’auto, dal quale verrà fuori miracolosamente illeso, ma con un trauma cranico che lo farà regredire ad uno stato infantile, sarà proprio il parente scavezzacollo a doversene prendere cura, dapprima controvoglia, spinto soprattutto da motivi economici, poi, coadiuvato dalla vicina di casa Sofia (Miriam Leone), con un riscoperto affetto sempre più crescente d’intensità. Entrambi giungeranno alla guarigione, risolvendo antichi dissapori, riscoprendo infine se stessi, quanto sia importante nella vita l’amore per coloro che già ci stanno accanto e quello rivolto a chi eventualmente vorrà unirsi al nostro cammino.

Carolina Crescentini (movieplayer)

Carolina Crescentini (movieplayer)

Una trama sicuramente non originale, al cui interno i richiami a passate produzioni si sprecano, volta ad evidenziare la necessità, imposta dagli accadimenti della vita o accettata in qualità di personale evoluzione, di far ripartire da zero la propria esistenza, assecondando o creandosi da sé una seconda opportunità, magari con la purezza propria di un bambino nello scoprire gradualmente gioie e dolori che ammantano in egual misura il mondo circostante, idonea nella sua candida manifestazione a coinvolgere anche quanti gli sono vicini. Purtroppo la suddetta scrittura ed una regia priva di nerbo fanno sì che tali risapute, ma sempre interessanti, tematiche vadano a confluire nei rivoli di una schema bozzettistico e sussultorio nel concatenare, per accumulo, le varie situazioni che si vengono a creare nel corso della messinscena, ripulite e levigate da qualsivoglia elemento turbativo che possa distogliere dall’irreale nitore in cui è avvolto l’iter narrativo (per esempio, dell’incidente accorso a Pietro non vediamo nulla, il nostro ci appare lindo e pinto giacente sul letto in ospedale). Né sono d’aiuto nel conferire un diverso sentore alla pellicola le singole prestazioni attoriali, mai veramente coinvolgenti ed intriganti, legate strettamente al copione e alle direttive registiche.

Miriam Leone (movieplayer)

Miriam Leone (movieplayer)

Bova più che regredito ad uno stadio infantile appare, fino al “miracolo” della guarigione (anche qui nessuna progressione narrativa, tutto avviene con modalità meccaniche e prevedibili, in seguito ad input familistici e sensi di colpa verso la figlia), avvolto nella bambagia di un Forrest Gump de noantri (“Stupido è chi lo stupido fa”, appunto); Argentero è costantemente (ed inutilmente) esagitato, urla e strepita anche quando non dovrebbe; la Crescentini sembra languire tristemente all’interno di un personaggio che avrebbe meritato una maggiore definizione, egualmente alla Sofia di Miriam Leone, considerando il ruolo determinante di entrambe nel rendere le nuove chances offerte dalla vita qualcosa di concreto nella loro attuazione.
Riguardo Sergio Assisi nella parte di Gustavo, compagno di Giulia, cui è stato cucito addosso alla bell’e meglio lo stereotipo del napoletano figlio di famiglia nonchè cocco di mamma, il premio, non inedito, di valido post- it direi che se lo merita in pieno. Un film dimenticabile, e questo è tutto.


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