Sicché anche questa volta l’anno nuovo mi ha sorpreso con il Taccuino del Male™ traboccante di uscite targate 2013 delle quali mi ero ripromesso di scrivere senza poi mai riuscirci per questioni di tempo, voglia o ispirazione. Da scribacchino coscienzioso quale mi pregio di essere, provo a recuperare il tempo perduto e vi ammannisco una gragnuola di microrecensioni, in linea con il clima di crapula e dissipazione che caratterizza le feste. Sono state escluse di proposito le produzioni Profound Lore, che verranno trattate in un articolo a parte, dato che quest’etichetta negli scorsi mesi ha fatto uscire veramente una marea di roba fica. Bon appétit:
GORGUTS – Colored Sands (Season Of Mist)A dodici anni da From Wisdom To Hate, Luc Lemay, rimessa in piedi la formazione con sangue fresco, riesce a tirare fuori un nuovo album a nome Gorguts. Di Colored Sands si è detto benissimo, e a ragion veduta, un po’ ovunque, quindi non mi va di tediarvi con l’ennesima sequela di superlativi assoluti. L’anima sregolata e schizoide di Obscura è stata addomesticata dalla maturità e da un’inedita vena melodica, tanto che il disco potrà piacere anche a gente che all’epoca del techno-death arcigno di The Erosion Of Sanity non avrebbe mai digerito i Gorguts. Colored Sands riesce, allo stesso tempo, a colpire al primo impatto con il fascino delle sue atmosfere cupe e a rivelare nuovi spunti a ogni ascolto, man mano che ci si districa in brani complessi ma mai dispersivi come Enemies Of Compassion e Reduced To Silence. E, vivaddio, finalmente una produzione come si deve.
CEREKLOTH – In The Midst Of Life We Are In Death (Hells Headbangers)La Hells Headbangers si conferma affidabile fucina di marciume con questo gruppo danese, dedito a quel death metal old school macabro e corrusco che tanto ci piace, pieno di richiami alla vecchia Stoccolma etichetta nera e reminescenze doom. In The Midst Of Life We Are In Death si abbevera alla stessa putrescente palude dalla quale uscirono i vari Into The Grave e Indecent And Obscene e scandisce il tempo che ci separa dal trapasso con riff funerei e cadenzati di marca Autopsy. Se quest’anno gli ultimi Convulse e Coffins sono stati tra i vostri ascolti favoriti, con i Cerekloth non vi potrete sbagliare. Metal Archives li dà già per mezzi sciolti. Sarebbe un vero peccato, perché questo disco è una delle cose migliori uscite dall’underground death metal nordeuropeo nel 2013. A proposito, già che ci siete, recuperate anche l’oppressivo Unending Degradation dei sempre validi finlandesi Krypts, vah.
VASTUM – Patricidal Lust (20 Buck Spin)Su binari paralleli ai Cerekloth, pur partendo da riferimenti assai diversi (sono americani e si sente), corrono i Vastum, un’altra chicca destinata a fare la gioia di chi di breakdown, loudness war e funesti neologismi consimili davvero non ne può più. Preannunciato dall’ennesima suggestiva copertina dell’ottimo Paolo Girardi, Patricidal Lust vive di lugubri rallentamenti e irruenti stop’n'go che rileggono la lezione di Incantation e Morbid Angel in un’ottica più grezza e virulenta. I californiani danno il loro meglio quando prevale la componente più doomy e oscura, laddove quando premono il piede sull’acceleratore, toccando vette di parossismo thrash degne dei Dark Angel, perdono qualche colpo. L’ennesima conferma dell’eccellente stato di salute dell’underground estremo a stelle e strisce più intransigente, foriero di tesori nascosti (ricordate i Coffin Texts?) che non è sempre semplicissimo portare alla luce.
THOU ART LORD – The Regal Pulse Of Lucifer (Nuclear War Now!)Chi, come me, è un fanatico della cara vecchia scena black greca, conoscerà sicuramente i Thou Art Lord, progetto messo su una ventina d’anni fa da Sakis dei superni Rotting Christ e Magus Wampyr Daoloth dei dispersi Necromantia per cazzeggiare nei ritagli di tempo lasciati liberi dalle band principali. Troppo impegnato a sfornare un capolavoro dietro l’altro il primo, sostanzialmente uscito dal giro il secondo, non speravo più di rivedere il marchio all’opera. E, invece, a otto anni dal trucido Orgia Daemonicum (il classico disco che può piacere solo a me e a Trainspotting), rieccoli in pista con un album divertente e senza pretese che verrà accolto come la deliziosa madeleine che è da tutti coloro che, all’epoca, furono folgorati sulla via di Atene dai vari Thy Mighty Contract e Scarlet Evil Witching Black. E questa volta si sono messi pure d’impegno. Non c’è infatti più quell’aria di sbraco etilico che permeava gli ultimi lavori e i pezzi si barcamenano con gusto tra tupatupa sparatissimi, memori dei tempi nei quali i dischi dei Rotting Christ contenevano due soli tempi di batteria, e passaggi più lenti e atmosferici ottimi per evocare le antiche divinità olimpe. Non sarà niente di imperdibile ma, se anche voi amate il black metal di scuola ellenica, fatelo vostro e non ve ne pentirete. Restando in Grecia, ci sarebbe da parlare pure di Cassiopeia, seconda fatica dei Nightfall post-reunion ma, nel nome dell’affetto che ho provato per gli autori di Athenian Echoes, preferisco stendere un velo pietoso.
INQUISITION – Obscure Verses For The Multiverse (Season Of Mist)Su questo blog, a quanto pare, sono l’unico ad apprezzare gli Inquisition, che non hanno mai suscitato l’interesse nemmeno di Charles e Matteo Ferri, i quali, quando si tratta di black metal dalla provenienza geografica improbabile, non si fanno mai mancare niente. Obscure Verses For The Multiverse è però un mezzo passo indietro rispetto al precedente Ominous Doctrines Of The Perpetual Mystical Macrocosm. Il black epico del duo colombiano, fortemente debitore degli ultimi Immortal, è tornato ad appoggiarsi su strutture meno complesse e suona più ripetitivo, pur mantenendo la caratteristica vena melodica grim & frostbitten. I fan apprezzeranno comunque.
KAYSER – Read Your Enemy (Listenable)Uh, e questi che fine avevano fatto? Trattansi di una band fondata una decina d’anni fa da Spice, primo cantante degli Spiritual Beggars, insieme a qualche altro esponente più o meno illustre della scena svedese (tra i quali Mattias Svensson dei The Defaced). L’esordio Kaiserhof, classe 2005, non mi dispiacque, il successivo Frame The World… Hang It On The Wall, uscito l’anno immediatamente successivo, mi sfuggì. Per pubblicare un terzo album, il qui presente Read Your Enemy, ci hanno messo otto anni e il risultato si fa ascoltare. Power thrash muscolare e dal buon impatto, non troppo creativo (vengono in mente, tra gli altri, i Death Angel meno frenetici) ma tutto sommato gradevole, tra digressioni azzeccate (l’attacco stoner di Almost Home) e qualche caduta di tono (i ritornelli smielati alla Soilwork di pezzi come Dreams Bend Clockwise). Non vi cambieranno la vita ma, se apprezzate il genere, date loro una chance.
SATAN – Life Sentence (Listenable)
L’heavy metal ci avrà pure abituato negli ultimi anni a resurrezioni inattese di vecchi arnesi che non combinavano nulla dal secolo scorso, però rivedere in giro i Satan non me lo aspettavo proprio. Soprattutto considerando quanto i londinesi avessero fatto del complicarsi la vita un’arte. Ricapitolando brevemente, costoro esordirono nel 1983 con il megaclassicone Court In The Act, dopodiché, nonostante avessero il nome più fico della storia, decisero di cambiarlo per evitare controversie ideologiche e si reincarnarono nei Blind Fury (la storia è molto più complicata di così, sto provando a semplificare). Pubblicano un album due anni dopo e ritornano al vecchio moniker con Suspended Sentence nel 1987, per poi mutare nuovamente ragione sociale e andare avanti per un po’ come Pariah. Dopo tre dischi, i chitarristi Steve Ramsey e Graeme English, due spiriti – a quanto pare – piuttosto irrequieti, sciolgono i Pariah e danno vita ai più conosciuti Skyclad. Finché, un paio di anni fa, i due non decidono di farsi una bella rimpatriata con gli ex sodali, rimpatriata che ha fruttato questa piccola gemma di NWOBHM incontaminata come non la suonano più manco i Saxon. Chissà, magari avevano solo voglia di farsi due risate. Fatto sta che sono ancora in forma e ‘sto Life Sentence non è davvero niente male.
RUSSIAN CIRCLES – Memorial (Sargent House)
Deluso dalla svolta metallona intrapresa con Forever Becoming dai Pelican in seguito all’inattesa separazione da Laurent Schroeder-Lebec (che, a questo punto, suppongo dovesse essere l’anima indie del gruppo), ho trovato consolazione in Memorial, eccellente quinta prova dei Russian Circles, tra le migliori uscite postqualcosa del 2013. Rispetto alle opere passate, c’è un maggiore contrasto tra le parti più psichedeliche e i momenti più duri e post-hardcore; per il resto il trio di Chicago (che vede tra le sue fila Brian Cook, già bassista dei Botch) conferma il suo talento con otto tracce suggestive e sottilmente epiche, sorrette da una tecnica solida ma mai invadente (spicca il lavoro dietro le pelli dell’ottimo Dave Turncrantz). Ciliegina sulla torta la presenza di Chelsea Wolfe nella suadente title-track, l’unico brano cantato. Accattatevillo.
WINDHAND – Soma (Relapse)Avevo scoperto il gruppo di Richmond con Reflection Of The Negative, split con i concittadini Cough (hanno pure lo stesso bassista), dei quali sembrano una versione meno eclettica e più passatista. I primi tre pezzi di Soma, secondo full dei Windhand, funzionano alla grande: doom fumoso e monolitico con voce salmodiante, scontato ma efficace, tipo degli Electric Wizard più old school. Quando si mettono a fare gli artisti (lo svarione hippie acustico di Evergreen, la mezz’ora e passa della conclusiva Boleskine) un po’ mostrano la corda. Però, se siete appassionati del genere, basta e avanza.
TOXIC HOLOCAUST – Chemistry Of Consciousness (Relapse)
Se volete sapere come suona Chemistry Of Consciousness, prendete la recensione del precedente Conjure And Command e cambiate il titolo. Oddio, a voler essere proprio pignoli, il virulento thrash/hardcore della ghenga capitanata da Joel Grind si è fatto (sarà la produzione) leggermente più diretto e accessibile, tanto che anche i piccoli fan dei Municipal Waste potranno farsi un giretto sulla giostra degli americani senza il timore di spezzarsi il collo. Tutta questione di sfumature, intendiamoci, il quinto album del combo di Portland è l’ennesima allegra lesson in violence che vi farà svitare le vertebre cervicali a furia di headbanging, tra mid-tempo serratissimi, spietate accelerazioni, vocalizzi al vetriolo e una furia inesausta. I Toxic Holocaust restano poco più di un divertissement, con tutti i limiti di un’operazione che è e vuole essere nostalgica, ma nessuno fa questo genere di revival con la stessa cazzimma. In campo retro-thrash segnaliamo anche Manifest Decimation, promettente esordio dei Power Trip, glassati dalla consueta patina di lordura Southern Lord, Trapped In Perdition dei Fueled By Fire, debitori della seconda ondata Usa pestona dei vari Devastation e Demolition Hammer, e Unnatural Selection degli Havok, più vicini ai classici stilemi Bay Area. Arimortis.