Siccome noi della redazione siamo gente variopinta ed eterogenea, per questa edizione di Frattaglie farò le veci del buon Ciccio Russo e cercherò di deliziarvi con le ultime perle dal panorama death metal più truculento e sferragliante (ma non solo). Dopo una partenza d’anno decisamente sottotono per il genere più amato dal sottoscritto, iniziamo ad intravedere qualche barlume di sostanza. Dal momento che la carne al fuoco qui è tanta, bando agli indugi e procediamo con la prima portata del nostro succulento menù.
Inizio sollazzandovi il sottopalla con l’ultimo lavoro dei belgi ABORTED a titolo The Necrotic Manifesto; avevo perso di vista la band da parecchi anni, complici gli ultimi lavori decisamente insipidi per gente che è stata capace di tirare fuori quel discone che porta il nome di Goremageddon. Pertanto mi sono avvicinato a The Necrotic Manifesto senza particolari aspettative di sorta, cosa sbagliatissima dal momento che si tratta di un lavoro di tutto rispetto: 42 minuti di inferno, budella sparate da un ventilatore in giro per la stanza, sangue rappreso, death metal e un bel po’ di grindcore a condire il tutto. L’album è un treno in corsa sparato alla velocità del suono, non ci sono cali di tono o momenti morti, dall’inizio alla fine è un tripudio di blast beat, riff ottenuti da un utilizzo criminale della chitarra e il consueto timbro del buon Sven a condire il tutto con massacri e svisceramenti vari. Gli amanti della band lo ameranno alla follia, così come chi non disdegna le frange più moderne di certo death metal. Attraversiamo l’Atlantico per andare a trovare i BLACK ANVIL, autori di Hail Death. Conobbi questa band (che, per la cronaca, è formata da ex membri dei Kill Your Idols) ai tempi del precedente lavoro Triumvirate. I nostri, a dispetto dei loro trascorsi, si destreggiano abilmente tra black metal, death metal e una spolverata di thrash (che ci sta sempre bene). Hail Death da questo punto di vista modifica leggermente il tiro spostando l’accento sulla componente più thrash e genuinamente caciarona, senza tuttavia lasciare da parte il profilo più cerebrale ed elaborato tipico del loro songwriting. Proprio quest’ultimo aspetto è forse il punto debole dell’album, che pur risultando piacevole si perde in una longevità a tratti veramente eccessiva (il disco supera l’ora di durata, e le canzoni non scendono sotto i 6 minuti). Un disco a tratti impegnativo ma credetemi, ne vale la pena. Restiamo negli USA per l’ultimo lavoro dei MASSACRE. Ora, a qualcuno sarà venuto un coccolone nel vederli ficcati in questa rubrica, neanche fossero gli ultimi stronzi der circondario. Il motivo è semplicissimo: Back From Beyond è un disco inutile. Non brutto, inutile. Intendiamoci, per quanto ami From Beyond non l’ho mai considerato un caposaldo del death metal; un lavoro godibilissimo che trasuda attitudine e passione senz’altro, ma a mio parere i dischi “storici” sono altri.Detto questo vi pongo una semplicissima domanda: era davvero necessario registrare, a distanza di più di vent’anni, un disco che non solo suona praticamente identico a From Beyond ma che ne riprende pure il titolo e l’artwork? Secondo me no, non solo perché Back From Beyond non ha nemmeno la metà della botta del suo predecessore, limitandosi a scimmiottarlo in modo del tutto innocuo, ma soprattutto perché a me queste operazioni puzzano di becera commercialata. Se siete fan sfegatati malati di collezionismo fatevi avanti, io dopo aver terminato l’ascolto di Back From Beyond mi sono sentito come uno che ha appena buttato via 45 minuti di vita. Fortunatamente, non tutti i capisaldi barcollano in maniera indecente; è il caso degli AUTOPSY che, a distanza di appena un anno dal precedente (e ottimo) The Headless Ritual tornano in pista con Tourniquets, Hacksaws And Graves. Confesso di aver avuto paura all’annuncio di questo album; voglio dire, cacciare un disco all’anno neanche fossero le dichiarazioni dei redditi difficilmente può essere sintomo di qualità. E invece me cojoni, perché questo Tourniquets… è un lavoro assolutamente meritevole: ripercorre stilisticamente The Headless Ritual e ciò è senz’altro un bene. Innovazione zero, attitudine tantissima, e per un fan della band dello splendido Chris Reifert ciò non può che essere positivo. Parlando di mostri sacri (ma neanche tanto) vi segnalo anche l’ultimo parto in casa SINISTER, band che consideravo morta e defunta da una decade abbondante, complice anche l’ultimo lavoro da me ascoltato (The Silent Howling) che fece tutto tranne che emozionarmi positivamente. The Post-Apocalyptic Servant è invece un disco niente male, se fosse stato composto da una band sconosciuta di brufolosi adolescenti mi starei già strappando i capelli ma tant’è. Platter canonico all’inverosimile che, se non fosse per la qualità della registrazione complessiva, potrebbe benissimo provenire dritto dagli anni ’90. Un album non fondamentale e che di certo non passerà alla storia, ma considerando che i Sinister non azzeccavano nulla dai tempi di Hate è indubbiamente un passo avanti. Chiudo questa carrellata segnalandovi Cold Blood War, quarto album in casa INFEST, misconosciuta formazione serba autrice di un rocciosissimo death/thrash metal che piglia un po’ dai The Crown e un po’ dai Vader, facendo contenti tutti. Una mezz’oretta scarsa di scapocciamenti, bestemmie e rutti che hanno valso a Cold Blood War il titolo di disco dell’estate. Daje.Magazine Cultura
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