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Frattaglie in saldo #26: a bucket for monsieur

Creato il 14 gennaio 2016 da Cicciorusso

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Tra le varie tendenze che hanno attraversato il death metal nel corso dell’ultimo lustro, alcune hanno mostrato una capacità di radicamento inaspettata, come il ritorno di fiamma per il techno-death; altre sembrano essersi pressoché esaurite, come era inevitabile accadesse alla riesumazione più o meno filologica degli stilemi della scuola di Stoccolma dei primi anni ’90, che pure ha fruttato una manciata di ottime band, su tutte Vampire e Miasmal. Degli ENTRAILS, per dire, oggi non ce ne facciamo più molto, considerando che abbiamo ancora i Centinex e i Grave in giro. Anche perché il passaggio alla Metal Blade un po’ li ha rovinati. Ora le chitarre paiono quelle degli Arch Enemy e le strizzate alla scena di Goteborg iniziano a essere eccessive. Per quanto gli svedesotti ci provino, Obliteration non morde. Già che si parlava di ritorno di fiamma per il techno-death, vale invece la pena dare un’ascoltatina ad A Maze of Recycled Creeds, quinto full dei GOROD, che si confermano tra i migliori esponenti europei del sottogenere. I francesi non saranno dei geni ma non si masturbano mai sullo strumento e hanno quell’anarchia creativa e quel briciolo di follia che in questo campo fanno la vera differenza e i pur rispettabilissimi Obscura, ad esempio, non possiedono. E suonano moderni non nel senso deteriore: si sentono i Death e gli Atheist ma pure i Meshuggah e addirittura i Killing Joke (An order to reclaim). Dal vivo sono fenomenali, non perdeteveli qualora passino dalle vostre parti.

Un revivalismo che ha avuto respiro meno corto è quello del death americano soffocante e cadenzato alla Immolation/Incantation, che è riuscito a ibridarsi con quella deriva oscura e lovecraftiana che, nel suo piccolo, ha svecchiato il filone. Un (ex) ottimo esempio sono i VASTUM. Se due anni fa Patricidal Lust mi fece quasi saltare dalla sedia, Hole Below mi ha lasciato freddino. Complici anche suoni più nitidi, l’allure orrorifico che mi aveva fatto invaghire di loro è sfumato. Da una parte è aumentato l’inserimento di elementi più eterodossi e sperimentali, dall’altra sembrano molto meno convinti nei frangenti orientati sul death/doom più canonico e morbidangeliano. Speriamo sia un passo falso temporaneo, mi dispiacerebbe constatare di averli sopravvalutati.

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Va sottolineato come questo sound sfaccettato e angoscioso abbia iniziato a diventare uno standard trasversale tra generi e sia, tutto sommato, quanto di più vicino a qualcosa di nuovo sia avvenuto in campo estremo negli ultimi cinque anni, insieme all’esplosione del post-black. Entrambi i fenomeni hanno trovato il miglior interprete nell’etichetta canadese Profound Lore, che negli ultimi anni ha pubblicato gente come Agalloch, Alcest, Krallice e Altar of Plagues. O gli ABYSSAL, misconosciuti ma interessantissimi, sebbene richiedano un ascolto paziente e dedito. Li scoprii con il precedente Novit enim Dominus qui sunt eius, una raggelante valanga di odio non superata da questo Antikatastaseis, terzo parto della misteriosa formazione britannica (dovrebbe trattarsi, di fatto, di una one-man band ma non si capisce bene, come ai vecchi tempi). Quanto a filosofia compositiva, gli Abyssal sono abbastanza affini ai compagni di etichetta Portal, dei quali sono una sorta di versione black metal. L’ascoltatore viene lasciato con pochi riferimenti finché non soccombe all’atmosfera malata. Suonando più rifinito e ragionato, Antikatastaseis ha solo in parte il disturbante fascino dei predecessori, per quanto avvincente e disorientante. Purtroppo molti di questi gruppi (un altro esempio sono i Coffinworm) fanno questa fine: perdono la vena pazzoide man mano che imparano a suonare e si normalizzano, pur continuando a produrre ottimi dischi. Magari si trovano la fidanzata e possono drogarsi di meno, chissà.

Passiamo a qualcosa di decisamente meno impegnativo, anzi, di apertamente demenziale. Ecco a voi i MILKING THE GOATMACHINE, quattro scoppiati berlinesi che suonano con le maschere da capra, scrivono canzoni intitolate Only Goat Can Judge Me o When a Goat Loves a Woman e sono dediti a un simpatico grind’n’roll scapoccione, eclettico e mai troppo violento. Vanno quadrati al sodo da bravi crucchi ma hanno in testa la Svezia, un po’ perché ricordano gli esponenti svedesi meno intransigenti della scena (Gadget, Hellchild e così via), un po’ per le influenze d-beat, invero affievolitesi in quest’ultimo Goatgrind, sesto capitolo di una discografia che include un delirante album di cover (da Billy Idol a Boney M) che aveva in copertina il culo di una tipa con del latte versato sopra. Buona tecnica, ganci discreti e arrangiamenti fantasiosi. Non è manco il loro lavoro più divertente ma va bene per fare una pausa mentre digerite gli Abyssal. Ovviamente al posto del pig squealing c’è il goat squealing. O qualcosa di simile.

Mi congedo con Altar of Disembowelment, nuovo ep degli AVULSED, uno di quei gruppi che, pur adorabili, si tende a perdere di vista perché “tanto fanno sempre la stessa roba” e poi vai a scoprire che si sono pure evoluti. To Sacrifice and Devour spacca seriamente: passaggi hardcore alla Autopsy e uno stacco melodico quasi goteborghiano. Gli altri quattro pezzi (c’è pure una cover di Neon Knights), sempre piuttosto melodici e groovosi per i loro vecchi standard, funzionano un po’ meno. Nel derby death/grind madrileno continuo a tifare per l’Atletico Haemorrhage. (Ciccio Russo)



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