Fratto X o della pratica d’occupazione dello spazio scenico come attività a dividendo zero, senza utili. La spensieratezza va stroncata alla nascita. Siamo fetenti fin dal pianto natale. La vanificazione dell’essere ha come incipit il suo iniziale involontario dibattersi.
La nuova opera di RezzaMastrella è un intervento chirurgico e algebrico sul cadavere mai abbandonato dello spettacolo.
Fuoriuscendo e rientrando di continuo, come ci ha allenati a vedere e sentire, dalla storia, dagli habitat scenici, dalla luce, dal linguaggio, dal senso, dal palco stesso, Antonio Rezza è voce tiranna che manovra e dirige, manipolando il pre-testo narrativo e facendolo subito implodere in esplosioni continue, sfinendo cuore e polmoni, spingendo al crollo la dialettica drammaturgica attraverso il suo continuo esasperato rincaro.
<<Io posso parlare quando voglio!>>, dirà il padrone, poiché solo lui ha il diritto di parola; gli altri, chi non entra, chi è soggetto a censura, è solo “rumore di fondo”, è “interferenza”. (Lyotard)
Essere indipendenti è allora soprattutto rivendicare d’avere la voce in capitolo: parlare con la voce di un altro, da eterodiretti e telecomandati – come la perfetta vittima/pedina Ivan Bellavista e l’inedito Timoy Granger, non a caso senza voce – non è altro che essere mossi dalla voce del Potere.
Agendo per infrazione dell’ordinario (da quelle parti si trova etimologicamente il “frangere”), Rezza compie sempre delle operazioni (riecheggiando il suo precedente 7 14 21 28) : sottrazione di senso (e di speranza, e del suo stesso corpo), addizioni e moltiplicazioni di frasi e di catastrofiche eventualità linguistiche/pseudo-narrative (la fase dada) e poi soprattutto divisione macabra dei compiti, con uno humour nero crudelmente giocosamente caustico.
Campione della sofistica sregolata a dissennatezza, svelato il congegno alla base del sotterfugio dialettico, il tiranno della scena manovra corpi animati e inanimati, decostruisce trame che si nutrono della loro stessa improbabilità. In una pratica di demistificazione insistita, di smitizzazione, di denudamento delle icone (siano essere religiose, politiche, socio-progressiste, etc), aggredendo quelle tecniche di distrazione di massa (qui in particolare il collezionismo della merce e l’idiozia della serialità televisiva) in grado di spostare la tensione e l’attenzione dove più aggrada al Potere. L’appartenenza alla lotta politica si torce e perturba in una semplice levata di mano in cerca d’impossibile coreografica coordinazione. Due mani nella stessa posa o direzione sono forse l’equivoco di un orizzonte condiviso.
Con il coraggio e la resistenza della lunga gestazione (15mesi), Fratto X è uno spettacolo scritto dallo spazio e dal tempo, il secondo di quelli che Flavia Mastrella definisce ideogrammi, per un nuovo alfabeto percettivo e sensoriale rezzamastrelliano. La tessile X dell’habitat (una croce deformata?, il punto di ri-ferimento del mirino, l’assassinato pre-destinato) ci consegna una psico-geografia dello spazio legata ad un punto centrale, focalizzando l’attenzione e rendendola meno peregrinante rispetto agli spettacoli precedenti.
X è un’incognita impazzita, si insinua nella situazione (crearla e poi ingarbugliarla) innescando inciampi, suscitando l’equazione rovinosa del dividersi con sé stessi. L’atletismo vocale fa dell’esproprio della stessa voce e del playback le armi di sovversione. Sbeffeggiando ogni identità, in una pluralità di voci soffocate da un unico (si veda allora il Carmelo Bene del Riccardo III), nell’avocazione-frantumazione in tutti i ruoli (fuori dall’attore c’è il performer): <<da allora in poi il play-back diventerà l’espediente tecnologico-teologico del mio situare la voce al di là del soggetto>>, qui in versione ulteriormente parodiata.
Forma e demenza, allora. Lucida disperazione del rigor mortis. Il fratto non è altro che una ulteriore livella. Se il corpo si logora, la pelle si raggrinzisce, si fa tutt’uno con l’”inquietante delicatezza dei fiori visti da vicino”, la mente deraglia, delira, enfatizzando quella sofferenza fisica-intellettuale, quell’angoscia di chi non ha i piedi che riposano dentro le comode pantofole della sovvenzione statale.
Complicarsi e non semplificarsi. Basta cani (umani), verrebbe da dire, ricordando il Rezza performer per Balestrini, così assecondanti da vivere di luce riflessa (l’illuminazione finale tutta “subita” dagli spettatori), così mansueti da compiacere e rasserenare chi comanda. E basta padroni. Basta comunicazione, lì dove con il pretesto d’informare le nostre teste si finisce sempre per proporci parole d’ordine (Deleuze), dove lo scambio non può mai essere totalmente biunivoco. C’è sempre chi guida e chi esegue. C’è sempre chi corre e chi glielo impone di fare, restando fermo a guardarlo morire.
Salvatore Insana
DAL 4 DICEMBRE 2012 AL 6 GENNAIO 2013 al Teatro Vascello
TSI La Fabbrica dell’Attore – Fondazione Teatro Piemonte Europa
Flavia Mastrella e Antonio Rezza
FRATTO_X
con Antonio Rezza
e con Ivan Bellavista
(mai) scritto da Antonio Rezza
Habitat di Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
disegno luci Mattia Vigo
organizzazione generale Stefania Saltarelli
http://www.teatrovascello.it/