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Quattro chiacchiere con Roberto Manfredi… L’impressione che ho avuto leggendo le vicende di Freak è quella che, a dispetto del suo saper prendere la vita nel modo giusto, la frustrazione - da cui nessuno è immune - abbia avuto un discreto peso: vista la vostra stretta conoscenza, lo potresti considerare un uomo che ha vissuto mediamente felice? Sì. Non c’è dubbio che Freak sia riuscito a fare quello che voleva. Era felice come tutti gli artisti che riescono a diffondere e a comunicare un pensiero, una filosofia, una pratica artistica fuori dal comune e dal convenzionale. La frustrazione nasce dal fatto che un paese come l’Italia rinneghi la sua storia, annegando spesso nel brodo conformista. Non a caso il motto di Freak più conosciuto è : “Non c’è gusto in Italia a essere intelligenti”.
Consideriamo il suo anticonformismo e il suo modo alternativo di porsi, di non sempre facile accettazione: è possibile dare una valutazione nel tempo, una sorta di evoluzione delle reazioni da parte dell’audience? Rispondo con un altro motto di Freak: “La storia ci darà ragione”. Freak era ed è tuttora un artista molto amato. Lo show business lo considerava un artista “di nicchia” ma lui , come spesso mi ha confessato “tendeva al tabernacolo”. Freak è parte della storia dello spettacolo italiano. In lui convivevano molte vite, dai dadaisti agli artisti futuristi come Rodolfo De Angelis. Adorava Ettore Petrolini, Pippo Starnazza, il quartetto Radar, Fred Buscaglione, I Brutos… tutti gli autori che hanno usato l’ironia e la trasgressione nell’arte e nella canzone italiana.
Il vostro rapporto appare di grande affetto ed estrema stima (reciproca): aveva qualche difetto evidente? Diciamo che le sue qualità erano più superiori ai suoi difetti, ma a pensarci bene, non ne ricordo uno, né come artista né come uomo. Era una persona estremamente educata e gentile, di stampo quasi anglosassone. Aveva stile, cultura, eleganza anche quando urlava al pubblico “ Pubblico di merda”. Forse il suo difetto più grande è stato quello di pensare a un’Italia migliore di quello che è. Ma non lo considero un difetto. Era una speranza, un sogno, una missione.
Se dovessi scegliere alcune cose che Freak ha lasciato come significativa eredità alla comunità, che cosa ricorderesti? Freak ci ha insegnato che la creatività e l’espressione artistica in genere non va considerata un prodotto di largo consumo, ma qualcosa di profondamente più alto che quando raggiunge l’apice va oltre a qualsiasi logica commerciale. Ha dimostrato come l’accademismo musicale sia inutile e stantio. A un discografico che gli disse : “I dischi sono come saponette”, rispose “ Sì, ma le saponette, bisogna farle bene”.
Un episodio come quello legato alle manfrine di Gianni Morandi (e a chi tirava i suoi fili) in occasione dell’ultimo rifiuto al Festival di Sanremo, sono la conferma dei tanti sospetti che da sempre circolano e che qualcuno fa passare per leggende metropolitane: non fu questa una grande ferita che rimase aperta? Non vedi contraddizione nel cercare a tutti i costi di esprimersi in un contesto molto più legato allo standard, adatto, ad esempio, agli “odiati” Pooh? Freak ha cercato di andare tre volte al Festival di Sanremo. Voleva andarci con la sua identità e libertà artistica. La seconda volta presentò una canzone contro il “giovanilismo”. La commissione la bocciò con la seguente motivazione: “Non si può presentare al Festival una canzone contro i giovani”. Non avevano capito un cazzo, ovviamente. L’ultima volta andò ancora peggio, perché la sua partecipazione era vincolata a un big. Come dire…”dato che sei uno di nicchia, portati con te uno importante, così gli fai da spalla”. Proposta indecente, arrogante e offensiva. Non si invita una persona a cena solo se viene accompagnato da un vip. La contraddizione non è di Freak, quanto di quell’odioso apparato miliardario che è il Festival di Sanremo. Un apparato costruito da funzionari compiacenti, servi di regime, faccendieri di ogni risma e discografici falliti. Sanremo è come Miss Italia, i brogli alle elezioni, i televoti truccati, gli scandali e gli appalti mafiosi. Tutti ingredienti di quel brodo grasso e andato a male, che Freak, giustamente odiava.
Approfitto della tua esperienza: come è cambiato l’ambiente della Musica dai tuoi esordi sino ad oggi? L’ambiente è cambiato in peggio. Si è deteriorato fino al fallimento. Io ho avuto la fortuna di conoscere e di lavorare con discografici come Nanni Ricordi, Gianni Sassi, Tony Casetta, Claudio Fabi… tutta gente che conosceva lo spettacolo e la musica e aveva un gran fiuto per riconoscere il talento altrui. Nella discografia attuale è scomparsa la figura del direttore artistico. Oggi decide il marketing che di artistico non ha nulla. Resistono ancora delle piccole riserve indiane… alcune etichette indipendenti, singoli promoter e produttori che non esito a definire eroi. Siamo tribù indiane che vivono nelle riserve, lanciando frecce acuminate verso i visi pallidi del pop, i nuovi colonialisti giovanilisti che mostrano il culo in faccia a teen-agers intossicati da cazzate. Le loro divise sono il nudo, le mutande in vista, le loro faccine da bravi ragazzi vendute alla pubblicità. I vincitori dei talent show canori finiscono in pasta ai prodotti del Supermarket. Vedere quel gruppetto hip hop, chiamato I moderni, fare le telepromozioni a Mac Donalds mi ha dato il voltastomaco. Questo è il nuovo scenario. Uno tsunami di idiozie inutili che con la musica non hanno niente a che fare.
Ho provato ad immaginare la scena in cui gli Skiantos si prepararono la tavola sul palco, anziché suonare, con le conseguenze del caso: non pensi che per interagire con questa forma espressiva, così come con quella di Cage o Bene, occorra una buona preparazione all’evento?
La preparazione sta nella proposta. Vidi John Cage al teatro Lirico di Milano nei lontani anni settanta, che stava immobile sul palco seduto su una sedia. Non aveva bisogno di alcuna preparazione tecnica se non quella di mostrarsi oggetto sacrificale della protesta del pubblico. Aveva rovesciato completamente il significato dello spettacolo. La performance la faceva il pubblico urlando, offendendo, lanciando oggetti sul palco. Lui impersonificava il silenzio. Sublime provocazione.
La genialità, secondo te, è qualcosa che ha a che fare con la difficoltà di comprensione o può risiedere nell’acquisizione all’impatto, di pancia? Domanda difficile per una risposta non facile. L’artista propone. Il pubblico può capire o non capire o vedere nell’opera esposta un qualcosa di sé. Spesso alle mostre, sento dire davanti a un quadro astratto frasi come: “Cosa vuol dire questo?”. Si pretende che l’artista debba fornire delle spiegazioni. Nessuno si pone il problema di chiedersi invece cosa vede o intravede in quell’opera. L’opera è come uno specchio e nello specchio ognuno ci vede quello che vuole.
Leggendo il tuo libro, arrivato al punto in cui si descrive il colloquio col dirigente milanese che gli parla di X Factor, ho pensato che solo Freak avrebbe potuto promuovere Bob Dylan e Neil Young, qual’ora si fossero presentati sotto mentite spoglie ad un talent dei nostri giorni: sono lontano dalla verità? Credo che Freak al posto di Elio o di Morgan a X Factor, avrebbe potuto rovesciare le carte del gioco fino a far saltare il banco. Non credo che avrebbe scelto Dylan o Neil Young, ma magari pezzi di Buscaglione o di Clem Sacco o di Ugolino. Pezzi come “Ma che bella giornata” o “Birimbo Birambo”. Avrebbe puntato tutto sull’ironia e sulla trasgressione demenziale e avrebbe scelto giovani “fuori di testa” che non facevano gli artisti, ma che lo erano veramente. La differenza è sostanziale.
Un ultima cosa… riesci ad intravedere qualcuno assimilabile - per comportamenti e genialità - a Freak? Al momento no, almeno in Italia. C’è un artista e musicista bravissimo, geniale e versatile, che in Italia non è mai stato considerato come avrebbe meritato. E’ Sandro Oliva, che è riuscito persino a sostituire Frank Zappa nelle Mothers of Invention. E’ il protagonista del mio prossimo libro. Una storia incredibile che sintetizzo in uno slogan: Sandro Oliva, la seconda vita di Frank Zappa. Non a caso Sandro era un amico di Freak Antoni.
Patrizio Fariselli, nella sua introduzione racconta nei dettagli la costruzione di “Felice Lichene”:
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