A cura di Federica Frezza
Titolo: The Ocean at the End of the LaneAutore: Neil GaimanPrezzo: 16.99£Dati: 2013,256p.,hardcoverEditore: HeadlineLingua: Inglese
Questa “recensione” avrebbe dovuto vedere la luce intorno al 20 di Giugno. Avevo già finito The Ocean At The End Of The Lane, e se fosse stato l'unico requisito necessario avrei anche potuto scriverla.
A consolarmi la considerazione di Neil Gaiman in persona: quando scrivi articoli/post/PezzettiCheNonChiameremoGiornalismoPerchéSiTrattaDiMe ci sono tre parametri da seguire, ma è sufficiente incontrarne soltanto due per volta: punto 1 – consegna sempre in orario, punto 2 – scrivi da Dio, Punto 3 – sii sempre cortese con chi deve avere a che fare con te per lavoro.E il punto 1 ce lo siamo giocato così.Con l'incertezza.Perché se mi dovessero chiedere a bruciapelo se Ocean mi sia piaciuto troverei senza dubbio il modo di rispondere barando, cioè in realtà chiamando in ballo altre domande che distraggano dalla principale (domande cammuffate da risposte che funzionano per questo genere di imprese sono ad esempio: "beh, è di Neil Gaiman o no?" [che vuol dire tutto e niente], la domanda da fare è cosa renda Ocean speciale, oppure "ma tu non hai fame?" o anche il vecchio classico "uuuuh guarda che ora s'è fatta, possiamo parlarne un'altra volta?").Non che oggi la mia opinione sia più chiara, ma bisogna tagliare la testa al toro (soprattutto perché non sono sicura di poter garantire un punto 2, e sul punto 3 a volte ho anche io le giornate noJUSTnope). Quindi, giuro che non sto barando adesso, la prima carta da giocarsi è Neil. Ocean è molto esplicito nel suo essere un libro di Neil Gaiman, ma ho la supponenza di dire che si intuisce troppo chiaramente che non è partito come romanzo inteso per la pubblicazione.La leggenda narra che Amanda Palmer a.k.a. Mrs Gaiman abbia chiesto a Neil di raccontarle nel dettaglio un evento della sua infanzia. La cosa è scappata di mano un po' a tutti ed il risultato è Ocean. L'evento in questione appartiene alla categoria degli avvenimenti macabri che l'infanzia non comprende appieno e quindi ricopre di una sorta di nostalgica magia: quando Neil era poco più che bambino i suoi avevano affittato una delle stanze della casa ad un minatore di opali che, sommerso dai debiti, rubò la macchina di babbo Gaiman e lì scelse di suicidarsi.L'inizio del libro secondo me non cerca nemmeno di nascondere le sue radici, e per questo almeno ne apprezzo l'onestà. George (il nostro protagonista, che racconta in prima persona, il cui nome viene specificato una sola volta nell'arco del romanzo a storia più che avanzata. George la cui famiglia è specchio della famiglia Gaiman e che di lavoro “fa arte”) torna nel villaggio che l'ha visto crescere per un funerale e si perde, più o meno volontariamente, lungo la strada dei ricordi.La strada dei ricordi finisce alla fattoria degli Hempstock, o meglio delle Hempstock. L'oceano è lì. A volte è un laghetto, una sorta di macero, a volte è un oceano davvero.Che Neil Gaiman abbia una spettacolare immaginazione non è una sorpresa. Che sappia nascondere i simboli delle sue storie è altrettanto riconosciuto. Che sappia maneggiare la materia dei sogni e degli incubi ormai è affermazione trita, superflua e noiosa.La mia obbiezione principale al libro sta in questi due punti:- George regredisce felicemente nel raccontare la propria storia, ci si immerge dentro, così tanto e così profondamente che non la sta più raccontando, l'ha resa il proprio presente e il lettore vive il dipanarsi della trama con lui, in diretta. George però non parla mai come un bambino, anche quando si comporta come tale. Ogni volta che deve descrivere qualcosa specifica cosa questo oggetto/evento/luogo non sia. I bambini, nella mia esperienza, non sanno dire cosa non sia, ma sempre cos'è. Inconsciamente costruiranno descrizioni senza senso pur di evitare un non. Su questo problema si installa il problema numero due, cioè
- A volte George non parla/si comporta precisamente come un bambino specialmente perché ha davanti lo spettro dell'essere adulto.
Il lettore viene sottoposto a decine di singole frasi o interi paragrafi che, compiaciuti!, dipingono tutti gli adulti come un gruppo di infelici che hanno dimenticato come sognare/credere/etc. etc., il che secondo me è riduttivo, banale e NON VERO. È quello che questa review del Guardian ha lamentato sopra ad ogni altra cosa.Quando Georgesemibambino si lascia distrarre dal riflesso nello specchio (George in realtà è cresciuto e sta soltanto ricordando eventi accaduti decine di anni prima) il narratore cede allo spettro del se stesso adulto.In questo modo la reverie non è integra, non avviluppa del tutto e spesso per me, durante la lettura, ha ridotto George ad un uomo adulto travestito da ragazzino che cerca di entrare in una casa sull'albero ormai troppo angusta per lui. Mi chiedo se in realtà non fosse questo lo scopo. Neil Gaiman non è il tipo che si sbaglia. E magari io non sono abbastanza adulta per ammetterlo. Così il messaggio sarebbe qualcosa tipo 'puoi restare bambino dentro finché vuoi, ma case sull'albero della tua misura, ora che sei cresciuto, non ne fanno'.Ma quindi, Ocean mi è piaciuto o no?Sì, ma ci sono momenti in cui non si mette alla prova e si comporta come ci si aspetta si comporti un libro di Neil Gaiman. Non mi sembra che abbatta barriere o esplori terre nuove.Eppure funziona, certo che funziona. Funziona perché l'immaginazione che lo ha popolato di mille elementi strani è salda. Funziona perché la scrittura, per quanto a volte forse un po' narcisa e certa del proprio fascino, è sempre di alto livello. Funziona perché è impossibile che le Hempstock non ti portino subito alla memoria altri tris di donne e quindi come sempre funziona anche perché si incastra su tradizioni e leggende più antiche e più ampie.E poi l'ho detto che è Neil Gaiman?La vera magia di Ocean per quanto mi riguarda non sta strettamente nella trama, quanto nel trattamento dei sogni che si dissolvono al risveglio, dei ricordi che si sfilacciano e smettono di ritrarre eventi realmente accaduti, della paura vera che stringe le budella. Lì non ce n'è per nessuno, perché sarà anche quello che Gaiman ha sempre fatto, ma l'ha sempre fatto in modo impeccabile.
Quindi per concludere: Gaiman è Gaiman sempre. Che questo sia un bene o male sta a te deciderlo, ma dopotutto è sempre Gaiman.