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Freddie Mercury, il leader dei Queen, nasceva 67 anni fa

Creato il 05 settembre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Freddie Mercury, al secolo Farrokh Bulsara, di origini indiane e nazionalità britannica, nasce 67 anni fa a Stone Town, la parte vecchia della capitale Zanzibar, in Tanzania. Una cittadina multietnica e multiculturale, che in inglese andrebbe tradotta come “la città di pietra”, ma che in lingua swahili sta a significare “la città vecchia”. Nato il 5 settembre 1946, ventiquattro anni più tardi, nel 1970, Freddie Mercury fonderà i “Queen“. All’età di 8 anni l’ancora Farrokh Bulsara inizia a frequentare il Collegio St. Peter’s nei pressi di Bombay, in India. Era dunque già iniziata per lui quell’avvenuta che l’avrebbe in seguito portato a girare il mondo.

Di religione zoroastriana con appartenenza all’etnia parsi, Freddie Mercury porta sempre avanti un confronto con le diverse culture, una spinta al “vagabondaggio” per il mondo ereditata in un certo senso dal padre, cassiere della Segreteria di Stato per le Colonie afferenti all’India.
Dopo gli anni dell’infanzia alla St. Peter’s School, gli anni come sportivo tra la boxe la corsa e l’hockey, incomincia per Freddie l’era della musica. Quando ancora frequenta la St. Peter’s inizia a prendere lezioni di pianoforte, esibendosi nelle feste scolastiche. Sono gli anni degli «Hectics», la prima band di Freddie, insieme a Derrick Branche, Bruce Murray, Farang Irani e Victory Rana.

Freddie Mercury, Queen

Photo credit: Lomyx / Foter / CC BY-ND

Il 1964 sarà per Freddie Mercury un anno cruciale. Costretto ad abbandonare la natia Zanzibar a causa di una rivoluzione scoppiata di recente, approda finalmente in Inghilterra, quella che sarà in seguito la patria dei “Queen”. Va ad abitare a Feltham, nel Middlesex, nei pressi dell’aeroporto di Heatrow. Inizia il periodo degli studi d’arte, della formazione al Politecnico di Isleworth, ma anche dei primi lavori e dei primi scritti su periodici e del lancio di una nuova linea d’abbigliamento. Sono gli anni delle prime esperienze “fortunate” nella musica: gli anni degli “Smile” e dei “Wreckage”
Dopo la rottura con “Sour Milk Sea”, arrivano gli Anni ’70: quelli della formazione dei “Queen“, dell’ingresso nella band del bassista John Deacon, gli anni dei primi successi britannici e americani. Sono questi gli anni dei primi titoli memorabili, “God save the Queen” (1975), “Somebody to Love” (1976), la memorabile “We are the champions” (1977), che ancora fa tremare chi la ascolta, e la scanzonata “Crazy little thing called love” (1979), senza del resto dimenticare la carica di “Don’t stop me now” (1979), quasi un inno all’immortalità, dove nulla – neppure la morte – potrà mai fermare il fuoco dell’arte. Gli Anni ’80 saranno un’infinita carrellata di successi. Arrivano gli stadi pieni, dove i fans restavano addirittura un giorno intero sotto il sole in attesa del divo. Dopo il grande trionfo di “A Night at the Opera Tour”, del decennio precedente (1976) con “Bohemian Rhapsody” in testa, gli Anni ’80 saranno segnati da tournée indimenticabili, autentiche pietre miliari del XX secolo, fino ad arrivare al “Live Aid” nel luglio di quello stesso anno, evento organizzato per ricavare fondi utili ad alleviare la carestia in Etiopia. Il “Live at Wembley” con uno stadio gremito e festante, in due serate con oltre 150mila fans.
Sul finire di quegli anni si leverà alta la voce di alcuni critici, di certi detrattori, di quanti volevano che la parabola dei “Queen” vedesse non troppo tardi una fine. Ma il gruppo era ormai tremendamente consolidato e carico dei grandi successi di vent’anni, e soltanto la morte della sua icona l’avrebbe potuto disgregare. “Innuendo” (1991) col suo assolo di chitarra flamenco e la sua sofisticata orchestrazione, nonché “The Show must go on” di quello stesso anno, saranno il testamento di un grande artista ed un immenso tributo ad una musica che ha fatto sognare più di una generazione. Dietro il dolore di “The Show must go on”, tuttavia, non vi sarebbe soltanto l’animo affranto di un uomo prossimo alla morte, ma la sensibile freschezza di una poesia triste e struggente nata dalla penna di Brian May. Una canzone ed un ennesimo trionfo che fanno comprendere ancora oggi come l’epopea dei “Queen” e di Freddie Mercury sia ormai divenuta immortale.


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