In Danimarca, nel quartiere Frederiksberg di Copenaghen, da qualche settimana c’è un supermercato dove si fa la spesa senza pagare. L’idea, che è di Simon Taylor, ex dipendente di un’agenzia di marketing, è tanto semplice quanto efficace, perché prende alcune vecchie strategie pubblicitarie e le rimodella ad uso e consumo di un’era 2.0 in cui il passaparola (in questo caso sui social) ha effettivamente un valore – e un prezzo - reale.
Funziona così: i clienti si registrano al sito freemarket.nuindicando i propri dati (sesso, età e gusti personali), prendono gratuitamente la merce (al massimo dieci prodotti al mese, tutti diversi tra loro) e poi postano sui social le immagini degli acquisti corredate di descrizione e valutazione. L’unico impegno economico, per loro, è un canone mensile (bassissimo, circa 2,50 euro al mese), mentre le aziende pagano una quota per essere esposte. Non è tanto l’idea a base a colpire, quanto il fatto che gran parte delle logiche del mercato vengano in questo modo sovvertite. Perché sono i consumatori, non i brand, ad avere in mano le sorti di un prodotto, e perché gli stessi brand rinunciano alle indagini di mercato e ai costi d’advertising per intercettare gli acquirenti direttamente sul campo.
Forse è l’inizio di un modello “tryvertising”, come ama definirlo Taylor, un rivoluzionario “prova prima di pagare” dove, incredibilmente, tutti vincono. I numeri sembrano premiare: da 5.000 a 10.000 iscritti in un solo mese. Dopo la Danimarca, nuovi shop in Svezia, Finlandia e Regno Unito.