Tradizione, Testimonianza, Territorio: sono le tre tavole rotonde, tematiche, sulle quali si è lavorato durante il recente raduno Aifb, momento molto importante per l'Associazione Italiana Food Blogger, dove si è fatto il punto di tutte le iniziative sviluppate in due anni e dove, soprattutto, si sono poste le basi per il futuro, con la presentazione di due progetti fondamentali come il Calendario Italiano del Cibo e l'accordo con la Fic, Federazione Italiana Cuochi.
Nei prossimi giorni, nel sito dell'Associazione, verrà pubblicato in modo dettagliato quanto detto e confrontato (potere trovare le prime interviste qui qui), ma è una riflessione personale che vorrei condividere con voi in queste poche righe.
Durante la tavola rotonda dedicata alla Tradizione sia Danilo Gasparini che Carlo Cambi hanno affermato che "a tradizione è un'invenzione ben riuscita" smontando, con le loro ricche argomentazioni, tutta la prosopopea che gira attorno al termine "tradizione", termine che, nelle nostre cucine, è entrata nel 1980, con il mulino bianco. Quarant'anni dopo si sente ancora il bisogno, per sottolineare la valenza di questo termine, di una gallina e di un mugnaio che però è anche panettiere e pasticcere o di un panettiere che è anche mugnaio, fate voi.
Due anni fa, durante una lezione di cucina con Piergiorgio Sivieri, e da un'altra recente chiacchierata dietro ai fornelli, rimasi colpita da una sua affermazione ovvero che "la tradizione sono i gesti che abbiamo perso".
Per cucinare ci vuole sicuramente Tecnica, quarta T affrontata durante il raduno, ma ci vuole anche tanta umiltà e curiosità che esigono la presenza di altre due T, quelle di Tatto e di Taste. E il confronto quotidiano con il mondo del cibo mi conferma che non solo abbiamo perso i "gesti" ma abbiamo perso anche i "sensi" della tradizione: ci si sbrodola con termini come "minerale" e "vulcanico" quando si parla di vino (in una terra come la nostra che è vulcanica per definizione dal nord al sud passando per le Eolie) e poi le nostre papille gustative, drogate dagli "aromi naturali" e dai glutammati monosodici, non riescono a distinguere la maggiorana dalla santoreggia, il pepe bianco da quello nero, la vaniglia (madagascar, thaa) dalla vanillina.
Ecco, io credo che se non cominciamo a ri-appropriarci dei nostri sensi in cucina, se non ri-cominciamo a scoprire e toccare la terra che deve essere presente nella verdura, se non ri-scopriamo il profumo di una foglia di alloro appena colta, da quella di qualche giorno a quella essiccata, se non ci ri-sporchiamo le mani con la materia prima, con le viscere e con le puzze, davvero, tutta questa "emozione" che si legge in rete, e non solo, a commento di piatti-eventi mi sembra unicamente un esercizio di marketing, come il mugnaio-panificatore-pasticcere che ha bisogno di una gallina per vendere un biscotto
Il piatto di oggi è un piatto semplice, in ultima analisi, ma è grazie ad una cerca curiosità e ad un certo esercizio che è diventato un piatto premiato durante l'ultima edizione de I Primi d'Italia, dove bisognava confrontarsi con la pasta e con un pesto, niente di più consueto e "tradizionale".
Tajine di Fregola ai pepe di Sarawak e Selim con pestato di melanzana, mandorle e fava di cacao
Ingredienti (per 4 persone)
400 g di fregola
400 g di melanzana tonda
60 g di arachidi non salate
60 g di mandorle
30 g di fava di cacao
1 spicchio d’aglio
4 falde di pomodoro essicato sott’olio
1 cucchiaino di semi di pepe di Sarawak e di pepe Selim
60 ml di olio di noci
40 g di pecorino stagionato
foglie di mentuccia e di rosmarino
Olio evo di olive taggiasche
Grue di cacao per decorare
sale di maldon
Procedimento
Accendere il forno a 160°, statico
Tritare o macinare i semi dei pepe di Sarakaw e del pepe di Selim.
Tagliare a metà la melanzana, incidere la polpa, tritare grossolanamente qualche foglia di mentuccia e lo spiccio d’aglio e mescolare il tutto con 1 cucchiaio di olio evo, cospargere la superficie della melanzana, unire qualche fiocco di sale di Maldon e cuocere per mezz’ora.
Sfornare, con un cucchiaio recuperare la polpa, mescolare e mettere da parte.
In un mortaio di marmo con il pestello in legno (meglio pero, melo, ciliegio), se si ha voglia di procedere lentamente con la ricetta, oppure nel bicchiere di un mixer potente, frullare insieme le arachidi, le mandorle, le scaglie di fava di cacao, il pepe macinato e l’olio di noci fino ad ottenere un pestato non troppo sottile, unire al caviale di melanzane e mettere da parte.
Nel frattempo nella base di una tajine o di una casseruola dal fondo pesante scaldare un cucchiaio di olio evo, tostare la fregola, profumarla con un’abbondante spolverata di pepe macinato e continuare la cottura “risottandola” (secondo il tempo indicato dal produttore), unendo un po’ alla volta il brodo vegetale o l’acqua salata.
Poco prima di terminare la cottura unire le falde di pomodoro cubettate, mescolare e mantecare con il pesto.
Servire spolverando con le scaglie di pecorino e il grue di cacao.
Magazine Cucina
"Fregola ai pepe di Sarawak e Selim con pestato di melanzana, mandorle e fava di cacao" perché la tradizione sono i sensi che abbiamo perso
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