La sedia al sole (Pasquale Urso, acquaforte)
Per un biologo appassionato di filosofia, assistere ad una convergenza frequente ed abituale tra intuizioni geniali della filosofia e realtà verificabili della scienza, è quanto di più stimolante esista in natura. All’evoluzione biologica che regola la vita del pianeta, si accompagna un’evoluzione gnoseologica che, nel caso dell’uomo, creatura cosciente di sé, raggiunge traguardi tanto ambiziosi, da tendere a sfociare nell’autodeterminazione. Da sempre l’uomo si è interrogato sul proprio destino e sulla conoscenza di se stesso e già l’oracolo di Delfi più di duemila anni fa, ammoniva : “conosci te stesso” (gnỗthi seautón) esortando a quell’ esercizio mentale che era l’attività prediletta da Socrate. Platone poi, che di Socrate era il discepolo, nel “Fedro”, col mito dell’auriga, delinea con chiarezza quel coacervo di pulsioni contrastanti che fanno dell’uomo un essere così unico e speciale. Quelle che la scienza moderna indaga come reazioni complesse e misteriose della nostra attività cerebrale, il complesso chimismo che si accompagna a fenomeni elettrici e che sfociano nell’imperscrutabile mondo del pensiero astratto, fin dai tempi antichi prese il nome di anima, concetto quanto mai sfumato, che vorrebbe l’uomo immortale reincarnarsi infinite volte ( metempsicosi, filosofia orientale, eterno ritorno di Nietszche) o finire davanti al giudice supremo per ottenere il premio od il castigo eterno (religioni abramitiche). Platone ci descrive l’anima come una biga trainata da due cavalli, uno bianco (la spiritualità) ed uno nero (la passione) con l’auriga ( la ragione) che si destreggia per non farsi sopraffare dal cavallo nero e raggiungere invece l’iperuranio, il luogo metafisico sede delle idee, laddove l’anima si purifica ritardando il fenomeno della reincarnazione. C’è in questa visone di Platone, un concetto ripreso dalla scienza moderna sia con le geniali intuizioni di Freud e Jung, sia con gli studi biologici dell’etologia e della neurologia comparata. L’anima platonica indicata nel mito della biga alata come un complesso eterogeneo che delinea già un superamento del manicheismo di Zoroastro, prelude a quegli studi molto più complessi che saranno messi a punto dagli studi di un neurologo (Freud) e di uno psichiatra (Jung) che così usciranno dai limiti angusti della pratica medica, per elevarsi a tutto titolo al rango di veri filosofi. Freud, elaborando teorie filosofiche che furono già di Schopenhauer, evidenzia l’esistenza nell’uomo di un subconscio che lo declassa da quella posizione di privilegio cui egli si era abituato. Quella di Freud è la terza ferita inferta all’umanità dalla fine del periodo medievale vissuto sotto l’egida del creazionismo e della visone aristotelica del mondo. La prima ferita gli viene inferta dagli studi di Copernico suffragati dalle scoperte di Galileo e Newton, per cui la terra perderà suo ruolo di centro dell’Universo. La seconda ferita gli deriverà dagli studi di Darwin che dimostra come l’uomo non sia stato creato direttamente da Dio a sua immagine e somiglianza, ma sia un’evoluzione di specie animali da cui deriva. La terza ferita la dovrà a Freud, il quale dimostra, con la scoperta dell’inconscio, come l’uomo non sia “padrone in casa propria”, dovendo fare i conti con quelle “pulsioni” che la mente tende a nascondere, ma che riemergono nei sogni e in alcune patologie mentali.
Nel corso dei suoi studi, Freud formula una teoria, con la quale ipotizza tre “loci” nei quali risiederebbero l’inconscio (zona oscura e sepolta), il preconscio ( zona d’ombra i cui contenuti possono riemergere) ed il conscio ( la nostra consapevole ragione). Molto più interessante la sua seconda teoria, quella dinamica in cui l’uomo si relaziona con se stesso attraverso tre forze : l’Es che è costituito dalle nostre pulsioni e desideri più reconditi, il super io paragonabile alla coscienza e cioè a quell’insieme di norme e divieti che abbiamo interiorizzato in età infantile ed adolescenziale e l’io, la parte più razionale che fa da tramite o da cuscinetto tra le spinte impulsive dell’es e le norme morali del super io. L’es è molto di più che un serbatoio di pulsioni, perché priva l’uomo di gran parte del suo libero arbitrio rendendolo un “funzionario della natura” laddove emergono due prerogative salienti non solo dell’umanità, ma di tutte le specie viventi del pianeta: la sessualità e l’aggressività. Senza queste prerogative, la vita cesserebbe d’esistere ma cesserebbe d’esistere, nel caso dell’uomo, animale sociale, anche senza la capacità di relazionare da cui la necessità di regole, fissate nel super io, che supportino il vivere civile. L’io fa quindi da cuscinetto impedendo che queste due spinte entrino in contatto generando un corto circuito, una psicosi, di cui la psicoanalisi freudiana non si occupa (se ne occuperà invece Jung) o una nevrosi quando, pur non venendo in contatto, il super io eserciti un’azione troppo drastica nei confronti delle pulsioni dell’es. Sempre secondo Freud, i desideri repressi ricompaiono nei sogni sotto forma di segni, per lo più di carattere sessuale che darebbero precise indicazioni sulle origini di una nevrosi. La sessualità riveste una grande importanza per Freud e, nel corso della vita, è legata agli orifizi che mettono in comunicazione l’interiorità dell’individuo con il mondo esterno.
La bocca è legata all’assunzione del cibo e, nello sviluppo della personalità, costituisce la fase orale legata al piacere che il bambino prova nel suggere il latte e che porterà a gravi patologie alimentari (anoressia, bulimia) ove fosse viziata da carenze iniziali. Il cibo è legato indissolubilmente alla stessa esistenza ed i disturbi dell’alimentazione evidenziano chiaramente un conflitto interiore sulla volontà di esistere.
C’è poi la fase anale, in cui il bambino, conscio di poter, con la sua volontà, trattenere o meno le feci, comincia ad esercitare la sua capacità di controllo, dapprima su se stesso, sui propri giocattoli, sulla propria stanza, quindi sugli altri ed in modo latente, sul resto del mondo. Insomma dalla fase dell’avere si passa alla fase dell’essere ed il regredire o rimanere “fissati” in queste fasi, comporterà gravi disturbi nevrotici. La fase orale dura per i primi due anni ed una lettura puramente biologica, la identifica come un bisogno della specie di educare la prole al proprio sostentamento in modo da poter crescere ed a sua volta procreare (non per niente esistono le cure parentali tanto più complesse e durature quanto più evoluto è il cucciolo cui accudire).La seconda fase dovrebbe durare fino ai quattro anni ed istruisce il bambino sul significato di essere-potere. Un adulto che regredisce o si fissa in questa fase, accorgendosi di non poter dominare tutto il mondo, comincia a pensare che “il mondo” trami contro di lui e fa sfociare questa sua patologia in una sorta di paranoia.
La terza fase è quella edipica così detta perché richiama la nota tragedia di Sofocle, “l’Edipo re” e conduce il bambino fin verso i sei anni a trovare la sua identità e capacità di relazionare con gli altri e soprattutto con l’altro sesso. La libido legata alle tre fasi non è da intendersi come prettamente sessuale, ma come l’energia psichica che consentirà la normalità dell’esistenza. Il maschio che vuole uccidere il padre per prenderne il posto e giacere con la madre esaspera e stigmatizza il linguaggio truculento ed ancestrale del nostro inconscio non ancora educato alla ragione, ma praticamente significa voler imitare il padre per scoprire la propria identità maschile ed il desiderio di giacere con la madre, primo essere di sesso diverso in cui incappa, lo indirizza verso i corretti rapporti con l’altro sesso. L’impossibilità che questo suo desiderio venga esaudito porta alla frustrazione in caso di patologia, all’impegno sociale per raggiungere lo scopo prefissato, nella fisiologia comportamentale. Comunque, secondo Freud, per tutta la vita permane un conflitto tra l’es ed il super io. Condizione questa che costringe l’io a mediare in continuazione e vedersi sopraffare dalla nevrosi quando il super-io ed i dettami sociali siano così rigidi da non consentire il soddisfacimento dei propri desideri inconsci o viceversa degenerare nella perversione, quando sia l’es a prendere il sopravvento.
Contro questa visone freudiana per cui l’io, la razionalità, è sempre presente nell’uomo a fa da tramite tra pulsioni ataviche e regole morali, si schiererà ad un certo punto Jung, per il quale la follia fa parte della quotidianità di ogni individuo ed anzi ne delineerà il carattere. Le leggi morali sono infatti identiche per tutti e la peculiarità di ogni individuo dipenderà da quale tra le numerose pulsioni che agitano il suo subconscio, si manifesterà con maggiore evidenza. Il subconscio di Jung è simile al mondo degli dei per i quali non esiste una differenza tra bene e male ma ogni cosa è buona anche se nella nostra visione delle cose appare completamente contraddittoria. Mentre per Freud la libido era asservita alla sessualità, per Jung essa viene intesa come energia vitale, di cui la sessualità è solo una componente sia pure importante. La libido è la forza indifferenziata che caratterizza gli dei, da cui l’uomo proviene, dei che racchiudono al loro interno, anche in modo contraddittorio e casuale, tutte le passioni umane. Dal subconscio descritto da Jung emerge una sola di queste componenti che costituirà la personalità del singolo, mentre la razionalità e la normalità sarà data dalla capacità dell’io di impedire che esse riemergano dal profondo tutte insieme. Questo contenitore tenuto nascosto da una sorta di velo di Maya, è ben rappresentato dal mondo dei sogni laddove non esiste la causalità, non esiste il principio di non contraddizione e non esistono limitazioni spaziali o temporali ma tutto è possibile come un enorme contenitore paragonabile appunto al variopinto pantheon degli dei. Importanti per Jung sono poi i simboli da non intendersi come i segni di Freud riportabili ad un’esperienza passata che l’io ha relegato nel subconscio, ma come una manifestazione di capacità creativa, una potenzialità indifferenziata che emerge per esempio nei poeti e nei bambini quando ancora un simbolo non è stato codificato dalla ragione.
Come dobbiamo educare i bambini a riconoscere da un simbolo indifferenziato un segno concreto (una penna serve a scrivere e non ad infilarsela in bocca o usarla come arma), così giornalmente dobbiamo educare noi stessi alla ragione con un lavoro incessante e continuo che ci preservi dalla follia.
Anche riguardo il concetto di nevrosi i due pensatori, che non dobbiamo dimenticare fossero medici, divergono. Se per Freud la nevrosi è la negatività di un avvenimento passato, rivivendo il quale, il disturbo scompare, per Jung essa è anche proiettata nel futuro e compare quando non siamo in grado di realizzare le nostre ambizioni. In questo senso essa è anche un fattore di esortazione e non sempre una nevrosi è sinonimo di malattia e sofferenza ma, sempre secondo Jung, a volte essa ha una finalità positiva e stimolante. Lo scopo della psicanalisi infatti per Jung riporta alla primitiva esortazione dell’oracolo di Delfi: ”conosci te stesso” o, per dirla con Nietszche : “diventa ciò che sei” uscendo dalla pedissequa imitazione dei modelli offertaci, ma scavando in se stessi per scoprire chi in effetti si è e vivere secondo il proprio personale modello. Riuscire a diventare ciò che si è, guiderà l’umano fuori dalla nevrosi e forse addirittura condurrà alle soglie della felicità.
Considerazioni e conclusioni
Il pensiero di Freud e quello di Jung, costituiscono dei capisaldi nella corsa verso la conoscenza dell’Umanità, ma la psicoanalisi non può essere considerata una scienza. Secondo Popper, i seguaci di tale disciplina, tendono a rifiutare le critiche e bollare come disinformato chi non creda ad essa come scienza ma solo come teoria o pseudoscienza. Ma una teoria scientifica deve essere controllabile empiricamente ed essere “falsificabile” e, sempre secondo Popper, la psicoanalisi non lo è perchè tende a mantenersi in vita contro l’evidenza e ad autoconvalidarsi perché costruita in modo da risultare immune da falsificazione e dalle continue correzioni cui invece la Scienza continuamente si sottopone.
Il filosofo francese Ricoeur, ricordando come la psicoanalisi si serva di metodi interpretativi, ne delinea la differenza con le scienze naturali, che invece utilizzano l’osservazione di tipo empirico e sperimentale e si riallaccia alla tradizione ermeneutica, e più precisamente a quel movimento che contestava il primato delle Scienza naturali del positivismo di Comte e Saint-simon, distinguendo tra scienza naturali e scienze umane.
Leggendo a fondo Ricoeur, si arriva comunque alla conclusione che la psicoanalisi non sia una scienza esatta non essendo, per forza di cose riproducibile. Infatti la psicanalisi sarebbe una scienza ermeneutica dove i messaggi inviati dal paziente al terapeuta devono essere soggettivamente interpretati e decifrati dall’operatore che si industria di cogliere i singoli eventi nelle loro unicità e irripetibilità (Ermeneutica del sospetto) .
La psicoanalisi sarebbe dunque una scienza idiografica, (interpretativa, narrativa, storicizzante) ma incapace di individuare leggi di carattere generale come invece fanno le scienze naturali che sono invece nomotetiche.
In difesa della psicanalisi è sceso in campo Hartmann, psichiatra ed esponente di rilievo della corrente postfreudiana definita “Psicologia dell’io”, che ha definito la psicanalisi come una scienza empirica ma ancora giovane, scusandone la mancanza di rigore metodologico e l’incertezza concettuale con la difficoltà della materia da trattare.
In conclusione io ritengo che la psicoanalisi, pur non essendo inquadrabile nel novero delle Scienza naturali, abbia apportato un enorme contributo alla conoscenza dell’umanità e debba costituire oggetto di studio e di assidua ricerca.