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Friederick Carl Frieseke – “Reflections (Marcelle)”

Creato il 10 luglio 2011 da Zirconet @zirconet

Carissimi Cittadini Imperfetti, ho ufficialmente bisogno del vostro aiuto.

Vi è mai capitato che qualche bel ceffo vi dicesse che voi non foste all’altezza di una certa persona? Che, per quante doti seduttrici abbiate, quella persona rimarrà per sempre in un Mondo parallelo al vostro? Beh, non ci vuole un genio per capire che io sono un tappo, quindi tante grazie. E poi cosa significa che è di un altro pianeta? Non mi sarò mica invaghita di un alieno, io che sono alta meno di un metro e una banana!

Il problema è che il tempo incalza, come dicevano i miei amici Impressionisti di cui oggi scomoderò Frederick Carl Frieseke (Owosso, 1874 –  Mesnil-sur-Blangy, 1939) che visse per molti anni a Giverny, a nord est di Parigi, cittadina conosciuta per essere stata la casa di C. Monet, il papà dell’Impressionismo. Frieseke fa parte di quel periodo artistico chiamato Impressionismo Americano, che non si diversifica molto da quello europeo, l’arte dell’effimero, se non per la sua vividezza e il suo riallacciarsi molto con la cultura Jazz.

Friederick Carl Frieseke – “Reflections (Marcelle)”
Reflections (Marcelle), olio su tela, 81x69cm, 1909 ca., Telfair Museum of Art- Savannah (Georgia)

Questo dipinto mi ha colpito molto per i suoi colori e per il segno vangoghiano. I colori, il mare della Costa Azzurra, sono i blu, i violetti, gli oro e gli arancioni della luce del sole in estate. Ed è questo che Frieseke vuole comunicare con i suoi colori intensi e le sue pennellate decise: la consapevolezza e l’intensità delle emozioni dell’estate, di un amore che divampa.

Ma ritorniamo al mio enorme cruccio. La prima volta che l’ho visto mi è sembrato un coglione. Ora, io mi chiedo (e ai posteri l’ardua sentenza) com’è che adesso ho la testa piena solo del suo nome e altri incomprensibili bla bla bla?

Questo nudo, un topos nella storia dell’arte e non solo, é il simbolo della natura umana. Noi umani siamo stati creati per provare emozioni, per sentire, tramite i sensi, la vita sotto la nostra pelle; ma siamo stati creati anche per essere corruttibili, soggetti molto più vicini alla morte di quanto non lo si creda. Qui ci viene presentata una donna che si specchia, quasi in un Paradiso, in una stanza della mente. La figura, che disegna una “S”, non è solo sensuale, ma soprattutto morbida e leggera, come una farfalla che, solo sbattendo le ali, può provocare un terremoto. I fiori nel vaso, che hanno lo stesso colore della pelle della donna, hanno in comune una cosa con Marcelle: entrambi sfioriranno, ma al momento sono bellissimi e il pittore, non riuscendo a trattenersi,  la accarezza su tutto il corpo grazie all’escamotage di una lunga collana azzurra.

Marcelle, nuda e sicura, mi ricorda le donne del fiammingo Vermeer. Delle bambole di porcellana da cui dipende il mondo. Lo sanno tutti, del resto, che è il sesso che, il più delle volte, rovina tutto. Stimiamo una persona per come si veste, ma, in linea di massima, la amiamo per come si sveste. Ciò equivale a dire che stimiamo le persone per i loro pregi e ci innamoriamo dei loro difetti. E l’amore, come recitava in versi C. Baudelaire è nient’altro che un materasso d’aghi su cui dare da bere a queste femmine crudeli.

Ma quello che fa più impazzire è non poter entrare dentro la testa di una persona di cui vorremmo sapere tutto. Marcelle, nuda e perfetta,  sta davanti a uno specchio, vanitosa, a fissare la sua immagine riflessa e riprodotta fedelmente, ma pur sempre filtrata dalla sua stessa mente. Il pittore la vede bellissima. E lei come si vede? Davanti allo specchio, che riflette e fa riflettere, Marcelle si guarda dentro, si conosce e si disconosce: quanto vorrebbe poter entrare dentro di lei anche il pittore che ha ispirato!

Marcelle. Una donna che ha un nome, che non è una donna qualunque. Se per Giulietta Capuleti il contenuto era più importante di un’etichetta, era perché lei a fare la spesa non ci andava mai. A nessuno piacciono  i nomi delle sottomarche, specialmente agli innamorati. A chi ama basta un nome per pregare. Basta un nome per poter avere un segreto. Basta un nome per poter intraprendere una guerra e sentirsi invincibili. Anche perché, se Ciuchino ha sposato una draghessa, allora…

Il tempo incalza e, a dirla tutta, io non sono una tipa da serenate. Le dichiarazioni d’amore non le so fare e, non per generalizzare, ma gli uomini non capiscono mai le frasi non dette, i pensieri impliciti. Perciò, quello che vi chiedo è: dovrò davvero andare con il mandolino sotto la terrazza del mio Giulietto per fargli capire che, se lo vedo, il mio cuore fa le capriole da quando ha detto “Ciao, io mi chiamo **”?

“Odi et amo. Quare id faciam fortasse requiris. Nescio sed fieri sentio et excrucior”  (Ti odio e ti amo. Ti chiederai come sia possibile. Non lo so, ma lo sento intensamente e mi tormento) – Catullo


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