Era il lontano 2008 quando sugli schermi televisivi appariva una delle novità più interessanti dei primi anni 2000. Su un apparentemente tranquillo volo di linea accade il disastro. No, non è Lost, ma è pur sempre un’altra creatura della mente di J.J. Abrams, tornato alla ribalta in questi ultimi giorni grazie alla regia del primo dei sequel di Star Wars, annunciati nei mesi scorsi. Stiamo parlando di Fringe, serie alla quale abbiamo detto addio pochi giorni fa. Dopo 5 anni di avventure e 100 episodi abbiamo salutato i nostri eroi con un finale che sembra aver accontentato i più.
Alla sua comparsa era stato paragonato a un incrocio fra X-Files e Alias, con un pizzico – appunto – di Lost. Una definizione che effettivamente calza a pennello. Forse un po’ troppo stretta per una serie che molto più probabilmente ha gettato le basi per un genere a se’ stante. L’agente federale Olivia Dunham (la biondissima Anna Torv, caratterizzata per il suo tono di voce un po’ gutturale), incappa in una serie di casi ai confini della realtà (da qui il titolo della serie, fringe significa appunto “di confine”). Riuscirà a venirne a capo grazie all’aiuto di un vecchio scienziato con un paio di rotelle fuori posto, Walter Bishop (John Noble), che accetta di entrare nel team creato appositamente dall’FBI, grazie alla mediazione del figlio Peter (Joshua Jackson), il classico ragazzaccio dal passato misterioso. Nonostante l’inizio un po’ alla “risolviamo il caso della settimana”, il tutto si complica man mano che la serie prosegue, scoprendo retroscena e complotti che porteranno il mondo sull’orlo di un disastro più e più volte.
Molto utilizzato è il concetto di universo parallelo, carissimo alla serialità del XXI secolo. Inizialmente solo evocato, in seguito addirittura vissuto dai protagonisti. Incontriamo versioni alternative di personaggi conosciuti, espediente che mette in risalto le capacità attoriali specialmente di Anna Torv e di John Noble, capaci di far dimenticare ai telespettatori di trovarsi davanti allo stesso attore che interpreta due ruoli molto diversi.
Unico ostacolo di comprensione (se così si può definire) è il flusso temporale. Oltre al già citato universo parallelo, si ha a che fare con flashback, flashforward, reset temporali che creano un ulteriore universo parallelo, un futuro prossimo ipotetico, un futuro distopico, e un reset temporale definitivo che rimette in carreggiata gli eventi nel giusto ordine. Anche il mitico Leonard Nimoy passa per una manciata di episodi, nel ruolo del partner in crime di Walter Bishop.
Dopo due stagioni e mezzo abbastanza forti passate in FOX, Fringe è stato deputato per la terza nel famigerato slot della morte del venerdì sera, altresì noto come giorno in cui vanno a morire le serie. Fortunatamente salvato per altri due anni, la serie finale è stata annunciata alla chiusura della quarta, cosa che ha permesso agli autori di risolvere tutte le questioni rimaste aperte e dare un finale più che degno a quella che sarà ricordata come una delle serie di fantascienza più innovative dell’ultimo decennio.
Marco Borromei