C’erano una volta i vinili di mio padre, quelli che solennemente mi lasciava scartare, quelli che tirava fuori dal cartonato in silenzio religioso, quelli che non si potevano toccare con le mani e che si appoggiavano sul “piatto” con cura, per non rigarli. Quelli che quando posizionavi la puntina sul primo solco, il cuore ti batteva fortissimo nelle orecchie e aspettavi quel rumore inconfondibile, quel fruscio affascinante che ti lasciava con il fiato sospeso per qualche frazione di secondo. Immediatamente prima che partisse, potente, la musica.
C’erano i negozietti minuscoli, nascosti chissà dove, quei bugigattoli che ricordo perennemente immersi nella penombra, c’erano i banchi lunghi lunghi, ai quali arrivavo a malapena, zeppi di dischi divisi in ordine alfabetico e c’erano dischi ovunque, per terra, sulle pareti, sulle sedie e tutt’intorno e c’era il proprietario che era sempre un tipo strano, seduto alla cassa su uno sgabello girevole che dispensava consigli e aspergeva sterminata conoscenza.
Poi c’era Bologna ed i concerti indipendenti, c’erano le cantine ed i tappeti rimediati a casa della gente, c’erano quei locali abusivi in cui si stava tutti appiccicati ma che cosa importa, era bello bello bello così e c’era soprattutto il fantomatico “banchetto” dove tesori fiammanti appena tirati fuori da un borsone usurato, venivano esposti dalla band con un orgoglio ed un amore che non si può descrivere perché quelli che per noi che ascoltavamo rapiti erano “solo” cd, per coloro che stavano suonando significavano ore ed ore di prove e bestemmie e soldi che non bastano mai e bestemmie e litigi furibondi e bestemmie e furgoncini scalcinati su cui macinare chilometri su chilometri e cosa ancora? Ah si. Ancora bestemmie.
Quei banchetti erano i nostri negozi di dischi preferiti, improvvisati forse, ma non per questo meno autentici, anzi, ancor più veri degli altri, perché dietro quel tavolinetto imbandito, il cantante si faceva venditore, il bassista con il polsino mi faceva perdere un paio di battiti ed il batterista mi offriva una birra e un autografo al volo, ricamato proprio lì, sul cd appena scartato, sul retro di copertina, sempre sotto ai numerosissimi ringraziamenti, dove a volte ti ritrovavi citata nemmeno sai come.
O forse sì.
Ecco, oggi tutto questo non c’è quasi più.
Non rinunciate, vi prego, a quel fruscio che palpita all’unisono con il vostro cuore.
T.
(Grazie a Francesco che ha voluto la mia storia qui, insieme a tutte le altre)