Il fatto che abbia un oscar non significa nulla, perché gli americani del nord, popolo di decadenti conclamati e perduti, hanno voluto esaltare il loro stile di vita che certamente è anche quello dell’italiota medio-alto (o basso, dipende da quale prospettiva si guardi il tutto e la parte), ma non vuol dire che il film sia un bel film. Quali sono i parametri per dire che un film è «bello»? Il titolo? Siccome è intitolato «Grande bellezza» deve essere bello? Il fatto che cerca di imitare Fellini? Questi metteva in pellicola le sue non risolte nevrosi, i traumi che ha vissuto da bambino e che sperava di risolvere attraverso i film che erano piuttosto materia per gli psicanalisti allucinati da allucinogeni. Un po’ simile oggi è Almodóvar.
Di Fellini, personalmente salvo solo alcuni film come I Vitelloni, La Strada, Le Notti di Cabiria, cioè il primo Fellini. Poi è venuto il mito e in Italia guai a toccare i miti, anche se fanno grandi scemenze. Lo stesso avvenne nella pittura con Mirot che a mio parere è superato da migliaia di bambini delle elementari che dipingono molto meglio di lui. Siccome il mercato ha stabilito che un Miròt vale milioni, ecco allora il genio. Lo stesso dicasi per Salvator Dalí che imbrattava piatti e tele, ma il mercato lo ha consacrato «divino». Ma mi faccia il piacere!!!! Noi sappiamo come funziona il mercato: non è il genio che conta, o il talento, o la capacità letteraria, o la potenza della scrittura, della pittura, o i sentimenti, ma unicamente gli interessi di qualcuno, di qualche gruppo, di una società.
Altrimenti come si spiega che oggi autentici capolavori sono pressocché sconosciuti perché non trovano editori (vale per il libro, la scultura, la pittura, il cinema) e invece hanno successo su successo i liberculi di Vespa e di tanti autorelli venduti agli svariati padroni che hanno il potere di decidere sul mercato di un’opera e sulla distribuzione di un libro o di un film?
Mi permetto di dire che a mio parere, per i 35 minuti di film visto, «La grande bellezza» rappresenta una grande ciofeca. Se volevo un assaggio della noia stravaccata, meglio leggere La Noia di Sartre o Lo Straniero di Camus, ma stare a vedere imbecilli che fingono di divertirsi annoiandosi e annoiando è il massimo del masochismo a cui non sono per nulla votato. Qualcuno dirà che sono vecchio e allora viva la vecchiezza e abbasso l’imbecillità che offusca l’intelletto della maggioranza.
Non sono moralista e non ho ancora detto una parola sul contenuto, che non voglio valutare nel giudizio del film, perché sarebbe facile dire che vorrebbe essere lo specchio della realtà decadente della società di oggi, ma non lo è. Forse potrebbe essere lo specchio di quell’1% che rappresenta quel mondo, ma certamente non rappresenta il mondo reale di oggi, e comunque il mio mondo. No, non mi riconosco in questo Sorrentino, affatto geniale, che arriva a dedicare il film a Diego Armando Maradona, evasore fiscale dell’Italia e quindi ladro a danno del popolo italiano che gli ha dato tutto e lui ha ricambiato sottraendo denari all’Italia.
Non mi pare che il film abbia avuto uno straordinario successo di pubblico, se già a pochi giorni dall’uscita se ne appropria Mediaset per proiettarlo in prima serata con grande suono di trombe e trombette, unicamente per risollevare le sorti dell’auditel, altrimenti sottoterra! Ancora una volta, dire che hanno visto il film 9 milioni di persone significa dire una stupidaggine: 1° la maggior parte, come me, lo hanno visto per curiosità; 2° nessuno di quelli che l’hanno visto in tv sono usciti di casa per andare al cinema; 3° nessuno ha pagato il biglietto (questo non sarebbe vero perché le interruzioni pubblicitarie, equivalgono a migliaia di biglietti); 4° l’auditel è un inganno, un cartello tra le tv per gestire un consenso che non hanno.
Se questo film, senza capo né coda, senza pathos, senza il senso di una parvenza di estetica narrativa, vi è piaciuto, fate vobis. A me no. Una cosa si salva (qui è stata la furbizia del regista o di chi ha avuto la pensata): le inquadrature su Roma. Ecco, Roma e tutta la sua «bellezza» doveva essere il filo narrativo del film, senza la massa di falliti che lo interrompono, come un brutto spot pubblicitario: sarebbe stato un grande film di inusitata «bellezza», anche di quella Roma nascosta che non si vede a occhio nudo. Come è venuto, è invece un film omaggio alla «grande bruttezza».
Paolo Farinella, prete
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