Questo articolo è la parte 2 di 2 dello speciale: Fueye, il suono del tango
- Di tango e graphic novels: intervista a Jorge Gonzalèz
- Fueye, un fumetto a passo di tango
Non è facile da spiegare la sensazione, netta, di imbattersi in un fumetto profondamente argentino, intriso dell’atmosfera, della musica e della gente di un paese così lontano eppure così simile al nostro.
La seconda sensazione che affiora dalla lettura di Fueye conduce il lettore a confrontarsi con un insieme di sentimenti e passioni tipici dell’animo umano, e lo fa affrontando temi già molto dibattuti in letteratura ma non per questo banali, come per esempio: l’amicizia, il tradimento, la passione (intendendo quest’ultima nell’accezione più larga del termine: sia amorosa sia civile e politica).
Sono, infatti, nel fumo dei locali della Buenos Aires di inizio Novecento, le passioni a dettar legge; quella per le donne, la passione politica, quella per la musica. Gli immigrati discutono animatamente, e non è follia, trovandosi oggi in uno dei bar rimasti così com’erano all’epoca, chiudere gli occhi e riuscire a sentirne il lontano vociare. O forse è solo suggestione…
La storia del romanzo ruota intorno a un fueye, uno strumento musicale ad ancia, simile a una fisarmonica, molto usato nelle orchestre di tango. Anche i meno pratici di musica, strumenti e tango, sentendo il suono di un bandoneon (il fueye, nella sua traduzione spagnola) riuscirà a collegare lo strumento al tango. Sono elementi simbiotici: uno è il mezzo principe dell’espressione dell’altro.
La trama non è un blocco monolitico, anzi è molto malleabile: è un rincorrersi di situazioni nel passato e futuro, flashback e flashforward direbbero gli amanti degli anglicismi. L’autore, il giovane Jorge Gonzàlez, è abile nel dare respiro alle vicende raccontate, cercando di essere poco verboso e utilizzando il disegno più del testo. Prova, con le immagini, a raccontare gli stati d’animo contrastanti o le situazioni difficili da affrontare. Il tempo si cristallizza nelle sale da ballo e nei bordelli con tavole a tutta pagina, ma Gonzàlez si dimostra un profondo conoscitore della narrazione a fumetti anche quando ricorre all’espediente quasi opposto, come può essere usare tante vignette minuscole che si dissolvono in nero per raccontare il deteriorarsi di una relazione. Il libro si divide in diverse parti, la trama procede infatti attraverso sbalzi temporali. Il primo possessore dello strumento che dà il titolo al libro è Vicente, un musicista povero e obeso che è partito per il nuovo mondo alla ricerca di fortuna lasciando l’amata moglie nella nativa Spagna. La sua storia è triste come la sua musica e il suo carattere testardo lo porterà lontano, oltre che dai suoi affetti, anche dalla sua musica. Successivamente il fueye passa a Horacio, una giovane promessa del tango. Questi si troverà a dover scegliere tra il rinnegare gli amici, e forse gli ideali, di una vita oppure l’abbandonare la ragazza della quale si è innamorato. Più avanti nel fumetto ritroveremo Horacio, maturo e poco affascinante, imprigionato in una relazione piatta e senza dialogo fino all’incontro con un nuovo amore. La nuova relazione viene portata avanti senza interrompere la vecchia: Horacio appare debole e indeciso, da un lato vorrebbe ricominciare altrove una nuova vita e dall’altro non è facile per lui trovare il coraggio di abbandonare i suoi affetti, per quanto tiepidi, le sue abitudini, per quanto vuote, e soprattutto il paese nel quale il padre faticosamente l’aveva portato nella speranza di una vita migliore. La storia finisce qui e inizia in pratica un secondo volume nel quale l’autore si abbandona all’autobiografia. Qui, infatti, raccoglie in un guazzabuglio di emozioni la sua realtà di emigrante (Gonzàlez è argentino ma vive in Spagna) e il suo mondo. È una postfazione in gran parte disegnata ma copiosamente scritta. Se si ha la pazienza di leggere e interpretare quanto appuntato a matita, a penna, di traverso, etc. e i fitti dialoghi (e monologhi) talvolta apparentemente sconclusionati, si riusciranno a trovare molte chiavi di lettura del libro, se non tutte. Le tavole non esistono più, o meglio si mischiano e compenetrano ora con appunti, ora con panorami, ora con dialoghi e ora con riflessioni, ma anche con lettere e foto. La conclusione del libro, dove si spiega e si discute del libro stesso, è la parte più innovativa, ambiziosa, probabilmente si può dire anche più artistica, ma non per questo la meglio riuscita. Spesso si cerca di interpretare un libro e immaginare perché un autore abbia realizzato quell’opera, raccontando quella storia, in quel particolare modo. Non sappiamo se sia vero o falso, ma il dietro le quinte che ci regala Gonzàlez odora, come Fueye, di fumo, Argentina, malinconia, nostalgia, tango, bandoneon e soprattutto di viaggi. Riguardo a quest’ultimo elemento, l’aereo, temutissimo dall’autore, sostituisce la nave del secolo precedente ma gli incroci fra voglia di restare e necessità di partire sono gli stessi. Non manca, nella migliore tradizione metanarrativa ormai plurimillenaria, il ritrovamento, cento anni dopo, del fueye di Horacio, finito alla fine nelle mani di Gonzàlez. Attraverso i dialoghi di questa postfazione spunta un senso di “vorrei ma non posso”, di inadeguatezza nel fare, di incapacità di dare una svolta alla propria vita che non si fatica a rintracciare uguale uguale nel protagonista, Vicente, del romanzo. Quanto scritto dall’autore, attraverso i dialoghi con un suo amico, su viaggio, fuga, necessità di cambiare vita e staccarsi dalle proprie origini per coltivare un sogno sono, in prosa, quanto espresso in fumetto in precedenza. Difficile scindere l’autobiografia di questi sentimenti dalla invenzione narrativa. I personaggi principali del libro sono ben descritti; i loro sentimenti riescono a oltrepassare le pagine, e i loro dubbi e le loro paure obbligano il lettore a identificarsi. Spesso la volontà e la necessità di cambiare si scontrano drammaticamente con la paura di perdere quel poco che ci si è faticosamente conquistati, fosse anche solo l’onore. Le qualità del narratore risiedono anche nella sua capacità di mostrare attraverso le emozioni umane situazioni drammatiche, quale può essere, per esempio, l’emigrazione. Infatti i personaggi principali Vicente e Horacio sono il primo un emigrante e il secondo il figlio di un emigrante. Gli emigranti non sono presenti nel libro tanto come categoria sociale, quanto come persone alle prese con la vita di tutti i giorni. E chissà che non risieda qui una presa di posizione rispetto a un problema sempre attualissimo. Quello che si potrebbe chiamare il protagonista occulto del libro è il tango. Il tango è al centro di tutte le storie, è il fulcro e al tempo stesso l’ambientazione. Alcuni personaggi intendono il tango come un modo stesso di esistere e non come “semplice” musica da ballo. Vivono di tango ed evocano il tango nel loro modo di essere tutti i giorni attraverso le loro azioni. Inoltre a sancire un legame unico e indissolubile tra l’opera presa in esame e il ballo argentino c’è la colonna sonora. Infatti sul sito www.archive.org/details/MarceloMercadante-fueye è possibile ascoltare alcune canzoni che aiutano il lettore a comprendere di più e apprezzare meglio il fumetto. Parallelismo azzardato o forse no: il tango (il ballo, la filosofia) è come Fueye (il romanzo). Sono entrambi dei contenitori: zuppe delle quali è spesso difficile riuscire a risalire agli ingredienti, ma che profumano di tutti gli ingredienti messi insieme. Umori di culture diverse e di necessità, bisogni, sogni, fallimenti. Cubani, spagnoli, portoghesi, ma anche e soprattutto genovesi e napoletani: il tango si deve all’incontro di questi gruppi etnici che lo canonizzarono così come è oggi, a distanza di un secolo e passa. Sono le persone che hanno riempito le navi (come quella che vediamo all’inizio e alla fine del libro) e che hanno intrecciato il tessuto sociale dell’Argentina moderna. Tango e Fueye come mezcla di sentimento e sensualità (vedi le riprese strette nelle scene erotiche del libro), ma anche di difficoltà d’integrazione e desiderio di riscatto sociale (anche per vie illegali), come collante e fertilizzante di una nuova variegata identità sociale in un paese, come sottolineato nella postfazione, considerato terra di nessuno. E nei vari appunti raccolti nella postfazione stessa si trovano innumerevoli altri ingredienti che profumano il tango e il libro: la malinconia della habanera, l’armonia “napoletana”, il bandoneon “tedesco” (dal suo inventore it.wikipedia.org/wiki/Bandone%C3%B3n) ma anche le puttane che sbarcarono in Argentina, il ballo negro di “cortes y quebradas”(nota: Il canyengue è una forma antica di tango; veniva ballato dalla popolazione nera e dai meticci che vivevano nella zona popolare della città come La Boca e San Telmo (ma anche in tutta l’area del Rio de La Plata, Montevideo/Uruguay compreso). È formato da tanti movimenti del busto e quebradas, che trovano le loro radici nelle danze africane ballate dagli antenati, giunti in Argentina come schiavi. (Fonte www.kidojo.it/tangoargentino/art002.php). I disegni sono ricchi di dettagli. Tutti i personaggi sono immediatamente riconoscibili per le loro peculiarità fisiche, il che è chiaramente un bene all’interno di una storia al tempo stesso corale e personale. L’autore si diverte a sporcare il tratto ma non per questo il risultato finale è poco chiaro, anzi viene esaltato da un’abbondanza di chiaroscuri soprattutto nelle scene di massa e nei paesaggi. Le capacità espressive del disegno di Gonzàlez non si discutono; utilizza una caratterizzazione grafica quasi cartoonesca che, anche se spesso eccessiva, non crea comunque nel lettore alcun sfasamento; bastano gli scorci di Buenos Aires, le strade trafficate, i marciapiedi alberati a tenerci nell’ambito del disegno realistico. Il tratto è morbido, talvolta fin troppo tondo, come l’enorme nave/madre che scarica/partorisce la neonata società argentina; o come il volto e il corpo di Horacio, gonfio oltre il paradossale; o come le sensuali rotondità delle donne ritratte. I colori utilizzati sono scuri, per niente squillanti; talvolta vi sono vignette talmente scure da sembrare totalmente nere (anche se in effetti disegnate e colorate). Non vi è mai uno sfondo che sia “di carta” ma sempre e comunque grigio o sporcato di tonalità di marrone o beige. Si ha l’impressione di avere a che fare con un disegnatore abile: la sua scelta è quella di lasciare il grezzo del disegno sempre presente nelle tavole, con il sapore della matita non cancellata di un disegno ancora da rifinire, senza curarsi di quanto del disegno traborda dalla vignetta, pure riquadrata. L’effetto è quello di suggerire atmosfere d’epoca, affumicate e fumose, su carta invecchiata dal tempo e accartocciata. Si ha a che fare, anche e soprattutto, con un narratore abile, padrone della grammatica della tavola a fumetti; la struttura delle tavole infatti è estremamente variegata, vi sono vignette basse e larghe, baloon che entrano nelle vignette successive, disegni a tutta pagina scomposti nelle varie vignette, splash page, insomma un campionario abbastanza vasto delle varie possibilità grammaticali della pagina a fumetti. Il giudizio globale sul fumetto è molto buono, anche se non è un’opera semplice che si apprezza subito, anzi se ne consiglia una lettura attenta e approfondita (magari più di una volta) che sicuramente, non lascerà indifferente nessun lettore. E con questa splendida musica di sottofondo. Abbiamo parlato di: Riferimenti:
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Fueye. Il suono del tango
di Jorge González
Traduzione di Giliola Viglietti
001 Edizioni, 2008
192 pagine, brossura, colori – 20 €
ISBN 978-88-96573-01-3
Il volume sul sito della casa editrice: 001edizioni.fumetto-online.it/ricerca_dettaglio.php?CODICE=68791
Il blog dell’autore: jfgv.blogspot.com
Colonna sonora: www.archive.org/details/MarceloMercadante-fueye
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