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Fumetti, poesia, teatro e sesso: intervista con Jeffrey Brown

Creato il 30 gennaio 2012 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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A casa senza molto da fare, ho deciso di fare qualche intervista agli autori di fumetti che mi piacciono. Nell’estate del 2011 il mio preferito era Jeffrey Brown: la mia vita e la vita del suo protagonista erano molto simili.
Ecco la nostra conversazione.

Allora, vorrei cominciare con una domanda che fa riferimento a una tua intervista del 2007  sul Comics Journal in cui parli del tuo rapporto con i libri. E’ molto interessante la tua transizione dalla pittura al fumetto. E, in relazione a questo, pensi che il tuo lavoro sia sempre stato narrativo?
Per me non è stato troppo difficile passare dalla pittura ai libri perché ho sempre disegnato, anche mentre dipingevo. In realtà penso che la pittura sia stata solo un’occupazione passeggera.
Per quanto riguarda la narrativa, dipende cosa si intende: rispetto alla pittura, il mio lavoro ora è molto più narrativo, ma allo stesso tempo credo che i miei fumetti, soprattutto quelli autobiografici, siano più vicini alla poesia e che la narrativa derivi dall’insieme di tanti episodi di poesia. Penso di essere stato accusato di essere troppo narrativo dagli stessi che hanno poi detto che non ho una struttura abbastanza narrativa!

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Pensi a te stesso come artista, scrittore, fumettista o altro? Oppure non ti piace definirti in un modo specifico?
In generale direi fumettista, ma preferirei comunque non definirmi una volta per tutte. Spesso è colui con cui parlo che determina come penso a me stesso. Penso che “artista” vada bene sia per il disegnatore sia per l’autore dei testi, in ogni caso. Senza scrittura non esisterebbero i fumetti.

Secondo Ben Katchor l’arte più vicina al fumetto è il teatro. Cosa ne pensi?
Io credo che i fumetti siano un mezzo a sé stante, però capisco, conoscendo le opere di Katchor, come lui possa avvicinarli al teatro. Non so quanto sia utile per un’artista pensare per categorie, confronti, etc. a meno che il lavoro non dipenda strettamente da una classificazione. Per quanto mi riguarda, cerco di focalizzarmi sull’idea che voglio esprimere e sul modo migliore per esprimerla. Penso spesso al mio lavoro come poesia, ma ci sono altri che fanno fumetti più vicini alla pittura, alla letteratura oppure a saggi o reportage. Quando è nata la fotografia, la gente non sapeva più che farsene dell’arte tradizionale, particolarmente della pittura, poi poco a poco ha capito che possono sussistere entrambe, che fanno cose diverese. Alla fine, penso che dipenda da quali idee possono venire espresse da un media, in che modo le caratteristiche specifiche di un media riescono a fondersi con le idee che vuole esprimere, e non tanto da come le caratteristiche di un media si confrontano con quelle di un altro.

Fumetti, poesia, teatro e sesso: intervista con Jeffrey Brown> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="257" width="260" alt="Fumetti, poesia, teatro e sesso: intervista con Jeffrey Brown >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-43342" />A me piace quest’idea che pensi alle tue opere come poesia. Dato che tante delle tue opere sono autobiografiche e scomode, possiamo dire che la tua è una specie di “poesia confessionale” ((it.wikipedia.org/wiki/Poesia_confessionale))? Oppure romantica e nostalgica?
Penso di essere romantico, quindi si può dire di certo; ma nostalgico? No. Mi interessa di più come la memoria influisce sul presente, come ciò che ricordiamo crei lo sfondo, il contesto del presente. Mentre, non penso al mio lavoro come confessionale, anche se parlo di cose “imbarazzanti”. Penso che più che togliermi qualche peso dallo stomaco o usare il mio lavoro come una specie di catarsi, il mio lavoro sia stato un modo per comprendere una certa parte della mia vita. Ecco: non mi interessa se leggere i miei fumetti è un’esperienza catartica per qualcuno, disegnarli per me ha avuto più a che fare con il capire la vita in generale che con l’affrontare la mia in particolare.

Sei un lettore di poesia? Perché rileggendo Undeleted Scenes (soprattutto in “Sigh” in “Pregnant pause”) io trovo qualcosa della lirica.
Ultimamente non leggo tanta poesia quanta ne leggevo una volta, ma in realtà non leggo granché di nulla ora, perché ho molto meno tempo. Per un po’ ho creduto che avrei fatto il poeta, ma non sono sicuro di amare il linguaggio a sufficienza. La cosa che mi piace di più della poesia è l’abilità nel rendere un’idea o un’emozione precisa con poche parole, e vorrei fare lo stesso con i miei fumetti. Può essere che il ritmo dei miei fumetti venga dalla poesia, ma forse ancora di più dalla “sketch comedy”.

Fumetti, poesia, teatro e sesso: intervista con Jeffrey Brown> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="381" width="260" alt="Fumetti, poesia, teatro e sesso: intervista con Jeffrey Brown >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-43350" />Pensi che se il tuo lavoro, e anche quello di altri fumettisti, venisse considerato più affine alla poesia,  i fumetti sarebbero presi più sul serio, intendo dal mondo accademico, delle case editrici, ecc? Quanto vorresti essere preso sul serio?
Non lo so. Penso che il modo più efficace per essere preso sul serio sia fare un buon lavoro. Nel mondo della poesia c’è quest’idea che ci siano tanti poeti terribili che si prendono troppo sul serio, ma poi le loro poesie fanno schifo. È diventata una specie di battuta.
Io penso che l’unico modo per ottenere quella specie di senso di accettazione dall’establishment sia fare un lavoro di qualità e che abbia un senso. Io spero che il mio lavoro venga preso seriamente, ma io non voglio prenderlo troppo seriamente. Alla fine voglio soltanto fare il lavoro che mi piace e seguire le idee che mi interessano.

Va di moda un genere cinematografico chiamato “mumble-core”, definito come lo-fi, low-budget e DYI. Viene considerato un genere specifico per la generazione dei venti/trentenni, confusi, senza lavoro fisso, alla ricerca di se stessi. Secondo te, possiamo trovare qualcosa di simile nel tuo lavoro?
Certo, vedo un legame fra il mumble-core e quello che faccio io. Infatti, il regista Joe Swanberg, uno dei principale del genere, è un mio amico di Chicago.
Quel che vedo in questi film, che si riconnette con il mio lavoro, è il fatto di portare il cuore in palmo di mano, di non aver paura di sbagliare atteggiamento, ma anche una tendenza a lasciare che, quando si crea, sia l’istinto a fare da guida e a fidarsi del subconscio. Ovviamente, ormai sto invecchiando, e il libro autobiografico su cui sto lavorando è costruito molto più attentamente di ogni altra cosa che io abbia fatto finora, ma spero che mantenga comunque l’immediatezza, l’emotività e la presenza dell’autore come persona.

Mi piace che tu dica che i tuoi personaggi non hanno paura di fallire e che sono sinceri. Per me, la cosa veramente incredibile, è che riesci a fare tutto questo senza diventare sentimentale o esagerato. È proprio raro trovare un artista che crea un mondo felice ma non sdolcinato: i tuoi lavori sono onesti. Mi capisci? È importante per te? Perché è così raro?
Mi piace pensare che il mio lavoro sia così. Certo c’è gente che non è d’accordo. Alla fine, vorrei raccontare come se stessi parlando con degli amici, ed è da questo che deriva il tentativo di non preoccuparsi di essere giudicato, perché se sono veri amici, non lo faranno. L’onestà è molto importante per me, perché crea la fiducia fra il lettore e l’autore, crea una connessione più intima.
Non so perché è difficile. Alla gente, spesso, piacciono i racconti a lieto fine, semplici, ma la vita non è così…

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Mi sono “svegliato” tardi e volevo mostrare il sesso dal punto di vista di uno che passa parte della sua vita avendone un’idea idealizzata. Ci ho messo dentro tutta la realtà che potevo… il sesso non va sempre bene, ma anche quando è sesso “cattivo” c’è del buono dentro. Penso di aver anche provato a inserire il sesso in una cornice emotiva per non farlo succedere in un vuoto, in modo che il lettore capisse perché accade, come accade, in modo che abbia un senso…

A proposito delle scene di sesso scomode. C’è stato un momento in cui hai dovuto decidere se disegnarle o meno? Un momento in cui hai deciso di non preoccuparti di quello che avrebbero pensato la tua famiglia e i tuoi amici? Quanto libero dev’essere un artista?
Bisogna sempre mantenere un equilibrio fra l’arte e la gente che ci entra. Ho scritto nel modo più onesto che posso ma ci sono stati momenti in cui mi rendevo conto che era meglio lasciare certe cose fuori dal fumetto. Dipende da che tipo d’arte vuoi fare e da quanto sono importanti le tue relazioni personali. Cerco di non scendere a troppi compromessi nel mio lavoro, ma certi compromessi non fanno male e sono necessari.

Com’è una giornata tipo di lavoro per te?
È cambiata tanto negli anni, soprattutto dopo essere diventato padre. In questi giorni di solito ho tempo le mattine quando mio figlio Oscar è all’asilo, poi nel pomeriggio mentre lui gioca da solo. E poi, quando lui e mia moglie vanno a letto, tre o quattro giorni a settimana lavoro fino a mezzanotte. Una o due volte la settimana Oscar sta da amici o con la babysitter, e allora lavoro anche per un giorno intero, senza interruzioni, anche se non è comunque detto che io produca molto.

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Com’è il tuo processo di lavoro? Cose viene prima: il racconto o l’immagine?
Qualche volta è un’immagine in particolare a colpirmi, ma di solito funziona solo nel contesto di una struttura narrativa. Il racconto viene sempre prima. Sì, di solito ho la sceneggiatura prima di cominciare a disegnare.

Fai tante revisioni?
Sì, ma soprattutto sulla scrittura. Nonostante quel che sembra, ho una buona idea di come voglio un progetto prima di cominciare. Lavoro molto sui bozzetti e sulla sceneggiatura e pianifico le cose nella mia testa. Faccio un po’ di revisione mentre disegno, cosa che per lo più significa ridisegnare una tavola o una vignetta e scocciarla sul taccuino, o anche ricominciare da capo se lavoro su fogli volanti. Con Funny Misshapen Body, in realtà, avevo finito un centinaio di pagine, quando ho deciso di eliminarle, riscrivere interamente la sceneggiatura e ricominciare da capo perché non ero soddisfatto del mio lavoro.
Quando penso che un lavoro è finito, invece, tendo a lasciarmelo completamente alle spalle e non sono per niente interessato a rivederlo.

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Fai degli schizzi durante la giornata, mentre cammini, se qualcosa ti colpisce? Oppure immagazzini le cose, come diceva Ray Bradbury: “Siamo coppe, che si riempiono in continuazione, tranquillamente. Il trucco sta nel sapere quando rovesciarsi e lasciare uscire tutta la bellezza”.
Io mi annoto cose di continuo, ma per utilizzarle in seguito. E spesso le lascio sedimentare per un bel po’ prima di capire a cosa mi serviranno. Mi sembra che il metodo di Bradbury sia valido anche per me: mentre scrivo e disegno, escono fuori cose che si incastrano benissimo in un fumetto anche se non ci avevo pensato prima.

Chi è il tuo lettore ideale?
Chi può leggere e vedere il mio lavoro e pensare o sentire qualcosa di nuovo. O almeno divertirsi.

Hai parlato di “un senso di sincerità” prima. Pensi abbia a che fare con l’atto fisico di scrivere e disegnare? Che opinione hai riguardo alla stampa e a quel che si dice sia il suo “imminente declino”?
Penso che ci sia un’intimità collegata al libro come oggetto fisico. Penso che il ruolo della stampa sarà sicuramente intaccato e diminuito dall’uso del digitale ma che ci sarà sempre spazio per la stampa. Penso che sia la stessa differenza che esiste tra il vedere un quadro appeso in una galleria e vedere una riproduzione in un libro o on-line. Leggere un libro stampato ha un effetto sull’atto stesso della lettura. Penso che il modo in cui si fa esperienza dell’arte avrà sempre un effetto su come verrà interpretata e su quanto sarà efficace.

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Quali sono stati gli artisti più importanti per te? Sono cambiati negli anni?
Per quanto riguarda i fumetti Chris Ware, Julie Doucet, Chester Brown.
I Monty Python e i The Kids in the Hall hanno influito sul mio umorismo e sul mio senso del ritmo. L’espressionismo tedesco, l’espressionismo astratto… l’espressionismo in generale.
Nella musica, Andrew Bird, Phil Elverum, Bill Callahan and Edith Frost.
Se mi lasci ti cancello e i film di Terry Gilliam hanno influenzato il mio lavoro in tanti modi diversi.
È difficile citare tutto perché tutto ciò che leggo, ascolto, vedo viene assorbito e fa parte di me e di quello che sto facendo, anche se non è palese.

Cosa pensi del fumetto italiano?
Onestamente, non conosco molto il fumetto italiano, ma mi piace il lavoro di Milo Manara e di Lorenzo Mattotti. Di fumetti contemporanei conosco Canicola, che è fantastico.

Se conosci Canicola hai una buon’idea del fumetto italiano! Ma chi sono gli artisti emergenti che a te interessano di più, americani o stranieri?
Mmmh, mi piacciono i fumetti di Pascal Girard e Noah VanScriver. Michael DeFroge e Kate Beaton, tanti canadesi… difficile citare tutti così su due piedi.

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Penso che un aspetto sia la disponibilità: i fumettisti in genere sono amichevoli, malgrado la loro reputazione da eremiti. In Nord America in particolare, i fan e l’artista collaborano molto. Forse è semplicemente perché normalmente non riceviamo molta attenzione e quindi siamo felici di trovare lettori e fan!

Dove vorresti vedere pubblicati i tuoi fumetti?
Beh, non ho ancora niente pubblicato in Italia, quindi lì. Poi in Germania, Giappone e Russia.
Mi piacerebbe anche vederli in più biblioteche, ma in realtà cerco di non preoccuparmi troppo di dove finiscono i miei libri, meglio concentrarmi sul mio lavoro per creare fumetti più belli possibile!

Riferimenti:
Il sito di Jeffrey Brown: www.jeffreybrowncomics.com

 

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