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Fumo di Roma. La Rome riots. Intelligenza collettiva e istinto della massa.

Creato il 19 ottobre 2011 da Giorgiofontana

Fumo di Roma. La Rome riots. Intelligenza collettiva e istinto della massa.Il New York Times riporta la frase di una trentenne, architetto, precaria, dopo la manifestazione a cui ha appena partecipato.
C’era qualcosa di inquietante nell’aria. Qualcosa che deprime. Tanta rabbia.Ci si sente come se tutto possa succedere“.

C’è una differenza fondamentale tra intelligenza collettiva e istinto della massa. La proprietà.
L’identità è la presa di coscienza angosciosa dell’essere unici e quindi soli. A lungo andare il peso della solitudine, benchè sorretto dalla propria intelligenza e dalla elaborazione sempre più matura attorno alle domande esistenziali, sfocia nella nevrosi. Nessun essere umano pensante può sopportare il peso della propria identità,
probabilmente. Scriveva Emil Cioran “L’unico modo di conservare la propria solitudine è di offendere tutti, e prima di tutti, coloro che si ama.”
A supporto dell’angoscia ci sono dei sotterfugi, automanipolazioni efficaci, innanzitutto la religione, non soltanto quella che prefigura un Mondo Oltre ma anche quelle che prefigurano l’annullamento, il metapensiero che Dio sia in noi e che noi non siamo che un continuum ed eterno filo rosso che ci unisce al prima, al presente e al dopo. L’insieme non religioso è la Massa , l’insieme che unisce il presente con il bisogno urgente di Essere senza coscienza.
Scrive Elias Canetti “D’improvviso, poi, sembra che tutto accada all’interno di un unico corpo”.
Chi è il proprietario della Massa? Non è un’insieme di quote che determinano una somma, la Massa è un unica entità che deve essere irregimentata con regole che istintivamente sono quelle della mandria che si difende dai cacciatori.
La prima regola per la creazione della Massa è quella di dotarla di un nemico, un pericolo incombente, qualcosa da cui difendersi, il Male fuori di sè.
Elias Canetti scrisse il poderoso saggio ‘Massa e Potere’ pensando esplicitamente al Nazismo, il cui nemico identificativo era il popolo semita.
La seconda regola è darle delle parole d’ordine, semplici, comprensibili a tutti ed inequivocabili, nessuna raffinatezza è compatibile con la Massa, si deve agire per minor comune denominatore.
La parola d’ordine deve essere la stessa per il professore universitario come per l’analfabeta. ‘Giustizia’ ‘Morte all’ebreo’ ‘Pane’ ‘Tradimento’ ‘Vittoria’….
Come in un battaglia non si deve ragionare ma agire, marciare, fare numero, essere tanti, grossi, sorridere, piangere, indignarsi.
Le emozioni, le parole d’ordine, il nemico è deciso altrove e l’altrove è lontanissimo da ciascuno.
Spesso il leader è qualcuno che non c’è e non fa parte del corpo, vive una vita parallela e carismatica. A volte è Dio.
Il corpo enorme può annusare la sensazione di qualcosa di inquietante nell’aria. ma non riesce a capire cosa sia. L’angoscia è quella sensazione di individualità che riporta l’individuo a se stesso, fuori dal corpo enorme. Nel corpo si ha rabbia, paura, disperazione mai angoscia. L’angoscia è un sentimento collettivo ma individuale ed è condivisibile solo uscendo fuori dalla Massa.

L’intelligenza collettiva si svolge dove lo Spazio è infinito. Non può generarsi ed evolversi in una piazza piena di gente,  dove nessuno ha il proprio spazio e i fili invisibili dell’intelligenza si sostituiscono con le costrizioni delle divise invisibili e dei movimenti necessari sul selciato.
L’aggregato conclamato dell’intelligenza della massa è lo stormo e non la mandria.
Un padrone dello storno non esiste, c’è un pilota nel cielo, il driver del banco marino, un conoscitore di luoghi e non un pifferaio di marce forzate. Il luogo fisico in cui si dirige lo stormo è il 3D, laddove la mandria terrestre procede in modo bidirezionale.
La terza dimensione è la dimensione della libertà.

Non c’è un luogo meno irto di bidimensioni del virtuale, malgrado il suo motore si esprima, a tutt’oggi, in modo binario, acceso non acceso.
Per questo motivo l’intelligenza collettiva, collective consciousness, intelligenze connesse è l’opportunità e la differenza che libera l’aggregato troppo formale della massa per farne non un unico organismo strutturato ma disamanizzato ma la somma di tante particolarità, bisogni e storie vere. L’empatia di Rifkin.

Una assolutamente soggettiva raccolta di considerazioni

Sul fare la rivoluzione con l’evento di un pomeriggio ne scrive bene Metilparaben :
“Perché fare le rivoluzioni di due ore e mezza, sospese al calar della sera per togliersi il passamontagna e andarsi a mangiare una pizza, è davvero una cosa da gente piccola, mediocre e meschinella.”
Date retta, provate con la Playstation.

Ugo Volli

Ho chiesto ad Ugo Volli, professore ordinario di semiotica all’Università di Torino, se avesse colto qualche differenza tra le modalità italiane e quelle di altr paesi, riguardo l’approccio con i social media in quelle giornate

Guardi, non ho studiato questa faccenda. Mi sembra che il rapporto dei manifestanti con la rete sia stato molto strumentale, l’hanno usata come una volta si usavano i volantini (propaganda) e poi come walkie talkie per coordinarsi. Ma mi sembra che il movimento italiano sia in sostanza, nella sua parte organizzata, semplicemente la riedizione della vecchia autonomia degli anni Settanta: stessi maestri, stessa fraseologia, stessa confusione mentale, stessa adorazione un po’ fascista della violenza, stessa struttura sociologica (nuclei militanti e militari circondati da scudi umani di ragazzi più o meno illusi e confusi). E’ una situazione pericolosa soprattutto perché la sinistra sta ripetendo gli errori degli anni Settanta, cercando di annettersi i manifestanti, non comprendendo la loro ideologia, non condannandone gli aspetti eversivi e antidemocratici

Federico Guerrini

Su Rome Riots, Federico Guerrini, ha sperimentato uno storytelling basato sulla piattaforma Storyful.
Sull’evento e sulla comparazione con gli altri che nel corso di questo 2011, cruciale per l’intelligenza collettiva, si sono dipanati in tutta l’aerea mediterrane e non solo, ho raccolto questa sua considerazione

Il ruolo della Rete in questa occassione mi è sembrato più di audience passiva, documentazione e commento. Non ho visto le persone coordinarsi via smartphone come a Londra o coi social network come nella primavera araba. Ed è stata anche una manifestazione significativamente diversa da quanto sta accadendo a New York dove c’è un movimento partito dal basso, che sta andando avanti da settimane, non una protesta-evento che dura un giorno e manca di una stategia mediatica di lungo periodo, che non sia l’azione eclatante.
Non vorrei sembrare ingeneroso o critico con una protesta di cui sono del tutto condivisibili le motivazioni e gli obiettivi di fondo, ma la cosa che mi ha colpito di più è stata l’impreparazione e la scarsa consapevolezza dell’immagine mediatica suscitata da parte dei manifestanti. Come se vi vivesse ancora negli anni ’70 in cui esisteva soltanto la piazza “reale”. Oggi quella mediatica e quella del Web conta come e forse più di quella vera. IMHO

Storytelling e social content curation sono gli strumenti più nuovi in rete per setacciare e rinarrare la cronaca, per definire i punti di vista e destrutturarli, rendendoli più comprensibili ma senza ridurli a semplificazioni massificate. Oltre a Guerrini anche Giovanni Scofrani, blogger dadaista e animatore del gruppo Gilda35, ha risposto ad alcune mi domande da sui emergono propri questi due metodi di raccolta e di esposizione di fluidità comunicativa.

Giovanni Scofrani,  Gilda35, e il ruolo della rete nella fluidità sociale

Ciao Giovanni, qual’è stato il ruolo della Rete negli eventi in cui la massa si è interfacciata all’intelligenza collettiva (rivolte arabe, indignados, London Riots, protesta wall street) ?

Con la Online Community del Progetto Gilda35 (v. questa intervista per maggiori ragguagli  ) studiamo da parecchio tempo l’evolversi dei fenomeni connessi alla narrazione in rete (soprattutto nei temi di tendenza di twitter) delle c.d. Rivolte dei Social Network e più in generale della Politica Digitale:
i dieci giorni di fuoco della politica-digitale
perchè occupare wall street non e come occupare piazza tahir
messico e nuvol -computazionali il panico deilurker
eric schmidt e le crisi di identita di google
i temi di tendenza e le policy ombra di twitter
referendum 2011 la risposta e57
botpolitick elezioni amministrative 2011
la morte di osama bin laden è reallyvirtual quando la storia passa sutwitter
perche wikileaks non puo essere trend topic
bombe alla crema
Inoltre sto curando personalmente due topic uno dedicato a #occupywallstreet e quello recente da te citato dedicato agli eventi del 15/10/2011 .

Classifico il discorso tra Particolarismo, Organizzazione e comunicazione, Contenuti
Fuori dall’Italia ho analizzato i singoli punti e ne ho tratto queste mie osservazioni.
Particolarismo:
Le Rivolte dei Social Network si sviluppano solitamente in una narrazione digitale di dimensione internazionale.
Quando si è innescata la Primavera Araba la quasi totalità di post e tweet erano in lingua inglese. I cyber attivisti, infatti, non scrivono solo per la propria Community nazionale, ma si rivolgono più in generale all’intera Community globale.
L’azione di sensibilizzazione è rivolta alla parte più evoluta culturalmente della propria comunità nazionale e alla generalità dell’opinione pubblica internazionale. Questa pratica è anche dovuta alla necessità di segnalare in tempo reale ai giornalisti stranieri i luoghi caldi della rivolta (nella speranza che accorra una troupe, impedendo così repressioni di tipo violento) e riuscire ad effettuare una narrazione in diretta degli eventi eludendo i filtri della censura. Ricordiamoci sempre che si tratta di tecniche di hacking in senso lato.
Ovviamente quando la cosa accade in popoli di lingua anglosassone l’effetto di sensibilizzazione interna e internazionale è diretto e immediato (v. Occupy Wall Street).
In sostanza si parte dal presupposto che il pubblico “mainstream” viene informato dai mass media classici (Televisione e Radio).
Si innesca la Rivolta, quindi, con pochi cyber attivisti bene organizzati e bene inseriti nella comunità internazionale, finché non si raggiunge “massa critica”… allora i mezzi di informazione classici se ne “appropriano” (v. Al Jazeera con la Primavera Araba) e l’evento assume scala di mobilitazione nazionale.

Organizzazione e comunicazione all’Estero:
Per il coordinamento strategico delle varie iniziative connesse alle manifestazioni si fa riferimento a particolari Online Community (es. Anonymous), o a determinati siti informatici (es. ADbusters), che in modo chiaro e alla luce del sole pianificano e narrano gli eventi.
Per il coordinamento tattico si utilizzano hashtag di twitter non pensati per diventare tema di tendenza, ma per agganciarsi all’hastag principale (es. #occupywallstreet) e organizzare le attività locali (es. #occupyboston). C’è sempre una logica glocal: un occhio puntato alla situazione contingente e uno all’azione più generale in cui ci si inserisce.
Gli eventuali commenti vengono sviluppati nei propri blog, spesso assumendo anche posizioni controverse.
Contenuti:
All’Estero:
Sfatiamo un mito: non “succede solo in Italia”. Spesso i contenuti all’estero sono molto più estremi di quelli letti in Italia e in alcuni frangenti si può registrare una vera e propria esaltazione della violenza come strumento di risoluzione dei conflitti sociali (v. London Riots / English Revolution, Grecia, ecc…).
Il mondo dei Social Network è molto vasto e le voci sono molteplici. Ridurre ad esempio il fenomeno delle Rivolte Londinesi e Ateniesi a mere esplosioni spontanee di violenza è riduttivo. In molte Online Community esiste una vera e propria esaltazione della violenza, che giunge quasi a proporre una sorta di estetica della violenza contro le persone e le cose.
Quello che è diverso all’estero è appunto la pluralità delle Online Community che contribuiscono alla costruzione del dibattito pubblico: emerge una “voce dominante”, ma affianco ad essa vivono una pluralità di approcci differenti.

Ora veniamo alle differenze, nella comparazione cosa hai trovato di significativamente in Italia?

premettendo che è la mia personale opinione maturata da una osservazione empirica e che dovendo fare giocoforza delle generalizzazioni contiene certamente imprecisioni:

Alla voce Particolarismo, in Italia osservo:
Da noi c’è questa cultura esasperata del localismo: l’agenda è tutta italiana, i testi sono tutti in italiano, i problemi interessano solo gli Italiani, ci si parla solo tra Italiani.
La stessa manifestazione del 15 ottobre era un fenomeno internazionale, che su Twitter doveva svolgersi all’insegna dell’hastag #15O.  Lo scopo era appunto quello di dare voce al Movimento degli Indignados su scala globale, dimostrando che si era creata una Rete transnazionale e trasversale coesa su alcuni temi caldi: fallimento del neoliberismo, critica alla globalizzazione, subalternità del potere politico rispetto a quello finanziario, debito pubblico…
In Italia non si è verificato nulla di tutto ciò. Per motivazioni connesse ad una storia politica bloccata su logiche ottocentesche, ci si è sottratti completamente al dibattito pubblico internazionale. Così si è ripiegato sul mestarello #15ott. Non sia mai che per una volta prendessimo il treno della modernità ed inquadrassimo in nostri problemi in un’ottica internazionale.
Peraltro da noi il processo è inverso: i nuovi media fungono da cassa di risonanza per parole d’ordine dei media tradizionali (giornali, televisione, radio). L’Italia è un cortocircuito narrativo.

Organizzazione e comunicazione:
Utilizzo compulsivo del tema di tendenza per organizzare l’iniziativa, per esprimere commenti, per coordinarsi, per denigrare l’iniziativa, per fare distinguo, per fare spam al proprio sito (con contenuti che magari non c’entra assolutamente niente), per “mettere il cappello” sull’evento.
Sembra che lo scopo collettivo sia raggiungere la vetta dei temi di tendenza italiani in qualunque modo possibile, ottenuto ciò liberi tutti.

Contenuti:
Fondamentalmente in Italia continua, stancamente riproposta anche nel mondo dei social network una dialettica che sembra bloccata agli anni ’70 del secolo scorso.
Il fenomeno dell’insurrezione del Black Bloc (i black blocks esistono solo nei temi di tendenza italiani di twitter) è stato descritto in Rete secondo due filoni di pensiero vintage: da un lato chi li denigra arrivando a esprimere addirittura analisi “lombrosiane” del fenomeno e perdendosi in insulti variamente declinati, dall’altro chi procede alle solite e obsolete “contro-narrazioni” secondo cui si tratta di infiltrati delle forze dell’ordine. Livello di analisi obiettiva del fenomeno: zero. Ci si limita a riproporre come degli automi le posizioni espresse dalle grandi penne del giornalismo e della blogosfera.

Che cosa ne concludi?

Concludendo mi sa che abbiamo perso l’ennesima occasione di effettuare una “narrazione” efficace di un fenomeno importante della nostra storia internazionale, piegandolo a logiche di cortile tutte italiane.


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