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Functional Foods

Creato il 24 luglio 2012 da Informasalus @informasalus


patata
I cibi funzionalizzati sono quei cibi a cui sono state addizionate varie sostanze

Quando andiamo a fare la spesa, molte volte torniamo a casa con più di quello che pensavamo di prendere, perché spinti dalla pubblicità o dalla vista di un prodotto ben confezionato che ci attira. La cosa più importante è rendersi conto di cosa compriamo, e di conseguenza di cosa mangiamo. Ricordiamo infatti che ciò che mangiamo interagisce col nostro genoma, ed è in grado di generale o modulare la stessa vita cellulare.
L’alimentazione è il primo passo per mantenere una vita sana, e per migliorare il proprio stato di salute. Per questo motivo sono stati creati i cibi funzionalizzati, ovvero cibi a cui sono state addizionate varie sostanze (come vitamine, acidi grassi, etc..)
La legislazione per questi nuovi cibi è varia, e cambia a seconda che siano fortificati, funzionalizzati, arricchiti, etc.. Non tutta però è chiara, bisogna quindi prestare attenzione.
La ricerca scientifica sui functional food è molto estesa, e cercando si trovano tantissime informazioni, molte delle quali spesso discordati. Da una ricerca accurata emerge come possiedano effetti benefici, dovuti all’arricchimento o al miglioramento della biodisponibilità, come nel caso del cibo funzionalizzato con nanoparticelle gelatinose al melograno.

Esempi di alimenti funzionali
Latte e yogurt arricchiti con ceppi specifici di microrganismi (i probiotici), o con sostante non digeribili come la fibra (prebiotici); margarine e yogurt addizionate a fitosteroli; pane arricchito con fitosteroli e isoflavoni; latte e uova arricchite con omega-3.

Qual è quindi il senso di tutte queste aggiunte? Addizionare al latte o allo yogurt microrganismi come il bifidus aiuta la nostra flora intestinale, e questo è positivo perché stimola il sistema immunitario, oltre a competere con i patogeni. Dal punto di vista legislativo, ogni ceppo di microrganismo addizionato deve essere accuratamente selezionato, ed il DNA isolato.
I prebiotici invece forniscono un habitat favorevole per lo sviluppo della flora batterica, oltre ad essere composti da oligosaccaridi e fibre non digeribili (come la cellulosa e la pectina). Alimenti molto ricchi in prebiotici sono la cicoria, il radicchio rosso, gli asparagi, i carciofi.
Nella nostra dieta assumiamo comunque molti altri nutrienti, come antiossidanti (the verde),  carotenoidi, flavonoidi, isoflavonoidi, e via dicendo.

Fino a poco tempo fa tutte queste molecole le trovavamo naturalmente nelle nostra dieta, senza bisogno di addizionarle, perché i cibi erano meno raffinati e si mangiavano più prodotti della terra rispetto ad oggi.

Fitoestrogeni
I fitoestrogeni si possono dividere in due grandi famiglie, i flavonoidi e i non flavonoidi. Tra i flavonoidi troviamo gli isoflavoni, contenuti in soia, piselli, lenticchie; cumestani nel trifoglio; xantumolo, contenuto nel luppolo e nella schiuma della birra. Oltre a questi rientrano anche i lignani, che non sono flavonoidi, ma sono i migliori fitoestrogeni della dieta occidentale.

I fitoestrogeni sono mille volte più deboli dei normali ormoni estrogenici: agiscono allo stesso modo di quelli endogeni, ma possono avere attività pro-estrogeniche o anti-estrogeniche.

Solo il 35% della popolazione mondiale riesce a metabolizzare correttamente i fitoestrogeni e a ricavarne tutti i nutrienti che contengono. La quantità assorbibile dipende dalla flora batterica specifica, che varia a seconda delle popolazioni e della localizzazione geografica.

Che ruolo hanno quindi i fitoestrogeni? Nella donna in età fertile possono competere con gli estrogeni, creando un’azione anti-estrogenica, mentre nelle donne in menopausa possono avere una debole azione pro-estrogenica, utile per le vampate di calore. Sono presenti anche altri effetti che non dipendono dall’interazione con i recettori steroidei, localizzati in tessuti particolarmente sensibili agli ormoni come prostata, mammella e utero.

I fitoestrogeni sono quindi adatti a tutti? Dipende! A dosaggi elevati possono andare ad interagire con i farmaci contraccettivi, o possono aggravare una patologia tumorale in atto di svilupparsi (effetto citotossico e genotossico, prevalentemente a carico della genisteina). È importante quindi conoscere la situazione di salute di partenza prima di procedere alla somministrazione.

Fitosteroli
Sono una classe di sostanze in grado di abbassare il colesterolo, usate fin dagli anni ’50. Competono naturalmente per il suo assorbimento, riducendone quindi la quantità introdotta con la dieta. Da un punto di vista chimico si dividono in 2 famiglie, fitosteroli e fitostanoli. La struttura è molto simile a quella del colesterolo, avendo solo una variazione sul C24. Sono quindi molecole liposolubili, che devono essere addizionate a prodotti in grado di permetterne la solubilizzazione.

Fitosteroli e colesterolo competono per lo stesso trasportatore, quindi più ne assumiamo con la dieta più ne vengono assorbiti dalle cellule, a discapito del colesterolo. Oltre tutto col processo di espulsione si facilita anche l'eliminazione dello stesso colesterolo.
Cibi ricchi in fitosteroli sono ad esempio i pistacchi: 1g al giorno corrisponde alla quantità ottimale. Solitamente vengono aggiunti a margarine, oli, formaggi spalmabili.. Un flaconcino di yogurt contiene in genere 1-1,6g di fitosteroli: viene quindi superata la dose giornaliera ottimale, e questo a lungo andare risulta pericoloso, soprattutto se chi lo assume è in terapia con statine. Così facendo infatti risulta bloccata sia la biosintesi endogena di colesterolo (statine) sia quello introdotto con la dieta.
I fitosteroli riducono anche l'assunzione di carotenoidi (b-carotene): importante quindi non eccedere. Sono presenti anche alcune patologie causate dalla mutazione dei trasportatori deputati alla loro eliminazione.

La patata al selenio
Un altro esempio di cibo funzionalizzato è la patata al selenio: perché comprarla? Il selenio è un oligoelemento indispensabile in alcuni enzimi antiossidanti; in un certo senso può essere considerato come il 21° amminoacido. Due dei principali sistemi detossificanti sono la tioredossina reduttasi e il glutatione: entrambi gli enzimi contengono selenio nel sito catalitico.
Senza di esso insorgerebbero cardiomiopatie o distrofie. Un eccesso diventa allo stesso modo patologico, diventa importante quindi non superare la dose consigliata, anche perché la dose tossica non è molto lontana da quella consigliata.
Si è cercato quindi di arricchire i terreni con il selenio, e tra i vegetali che ne contengono di più ci sono le patate. Ecco quindi che al supermercato si trova in vendita la patata selenella, con una quantità di selenio 10 volte maggiore.
Un curioso aneddoto riguardante il South Dakota: i terreni di quello stato sono molto seleniferi, e sembra che questa sia una delle cause per cui la compagnia mandata in supporto al generale Custer (impegnato nella famosa campagna del Little Big Horn) non sia arrivata in tempo. I cavalli infatti (essendo erbivori) sono stati indeboliti dall'erba ricca in selenio, e procedevano a rilento.

La quantità di selenio nella pianta dipende quindi per la maggior parte dalla concentrazione che questo ha nel terreno. Risulta difficile quindi stabilire quanto ne sia stato assorbito da una pianta. In Italia non c'è la necessità di addizionare selenio, essendo già presente in sufficiente quantità nel terreno.

 

Lo iodio
Lo iodio è un altro microelemento che troviamo comunemente addizionato a vari cibi, utile per preservare le funzionalità tiroidee. In Italia si trova unito al sale (il sale iodato), ma anche in patate, carote, pomodorini. Qual è  però il senso di addizionare lo iodio anche alle verdure quando abbiamo già il sale iodato? Tra le altre cose, il sale costa sicuramente meno.

Il latte
Un altro alimento che viene comunemente addizionato con una grande varietà di sostanze è il latte. Lo si può trovare fortificato con calcio, vitamine, ferro, omega 3 (anche se naturalmente presenti in altri alimenti) o aromatizzato, ad esempio al cioccolato. C’è anche il latte ad alta digeribilità con basso contenuto di lattosio, perché buona parte della popolazione perde l’enzima lattasi (che degrada il lattosio) in poco tempo. È anche vero che se si ha una vera e propria intolleranza al latte, non è possibile assumere neanche quello ad alta digeribilità, perché una minima percentuale di lattosio è sempre presente.
Le farine

Tutte le farine in vendita vengono prima raffinate e poi ricostruite, perché da un punto di vista industriale è più vantaggioso il processo di ricostruzione che di lavorazione selettiva. Ecco ad esempio perché la farina integrale costa di più. L’unico prodotto veramente integrale è il riso, quando non viene brillato.
Una farina molto famosa negli ultimi tempi è quella di kamut. Il grano da cui deriva è un brevetto canadese, coltivato nel nord America. È molto ricca in sali minerali, vitamine e soprattutto proteine, per questo motivo la quantità di glutine presente è molto elevata: potrebbe rivelarsi molto pericoloso darla a persone celiache. Un altro aspetto da valutare è la provenienza: il grano è un brevetto canadese, e come tale la produzione dovrebbe avvenire solamente nel nord America. La farina di kamut che troviamo in commercio, è realmente tutta farina di kamut (brevettata)?

Alimenti light
Sono una categoria di alimenti che possiedono un valore energetico ridotto rispetto all’elemento corrispondente di partenza, in genere con ridotto tenore di zuccheri semplici e grassi. Cosa contengono allora? Generalmente edulcoranti e dolcificanti artificiali, come saccarosio, zucchero di canna o barbabietola. Lo zucchero di canna contiene poche vitamine in più a confronto di quello normale; lo zucchero integrale di canna è zucchero raffinato (bianco) e successivamente colorato col caramello. L’unico zucchero veramente “integrale” è quello grezzo. Come per la farina integrale, è più semplice dal punto di vista industriale sbiancare tutto lo zucchero e poi modificarlo, che non attuare un processo di produzione diversificato.
Un altro “zucchero” molto in voga ultimamente è il fruttosio, dotato di potere dolcificante elevato, basso indice glicemico ma dal potere calorico elevato! Uno studio americano del 2010 dimostra come non sia affatto ipocalorico, perché è in grado di eludere alcuni punti di controllo presenti nel metabolismo glucidico, inducendo un aumento della biosintesi dei lipidi (ovvero si ingrassa più velocemente).
Allora anche la frutta fa ingrassare? No, perché tutti i frutti e le piante del regno vegetale non contengono mai un principio attivo isolato, ma un insieme di sostanze che interagiscono tra loro, e che (in un certo senso) si auto-controllano tra di loro.
Gli agenti edulcoranti (come xilitolo, mannitolo, sorbitolo) sono dei polioli, ovvero degli zuccheri senza il gruppo aldeidico o chetonico. Sono comunemente presenti in tutti i dolciumi che riportano la dicitura “senza zucchero”. Anche queste sostanze non sono affatto prive di calorie, perché vengono trasformate in zuccheri, anche se più lentamente; per questo motivo non sono acalorici. Scrivere senza zucchero (ovvero senza saccarosio) non è quindi una frode, perché effettivamente non è presente  all’interno dell’alimento. In merito allo xilitolo è accertato che possa prevenire la carie, perché è in grado di selezionare una flora batterica non cariogenica.
Un’altra classe di edulcoranti sono quelli definiti intensivi, come saccarina, acesulfame, aspartame e derivati. Non sono degli zuccheri (l’aspartame per esempio è un dipeptide) ma possiedono un potere dolcificante elevatissimo, 500-1000 volte maggiore del saccarosio. Ognuno di questi prodotti possiede una dose ammissibile giornaliera molto rigorosa: quantità maggiori sono cancerogene. L’aspartame contiene anche fenilalanina, un amminoacido; possono nascere problemi se il paziente è affetto da fenilchetonuria.
La soluzione migliore sarebbe quella di educare le nostre papille gustative a un minor senso del dolce, in modo così da ridurne l’uso di dolcificanti, sia naturali che non: si può fare!
Se l’uomo è ciò che mangia, il cibo che ingeriamo è molto importante, perché è ciò che andrà a costituire il nostro organismo. Bisogna quindi prestare attenzione all’alimentazione, cercando di variarla e cambiarla in base alle esigenze. Quello che mangiamo incide anche sui nostri geni, quindi sul DNA. È importante quindi non esagerare con questi cibi funzionalizzati, ricordando che il fattore di pericolo principale è la somma di sostanze con un potenziale tossico. Il nostro organismo è una macchina perfetta, trattiamola bene e non ci lascerà a piedi!

 

Relazione di un seminario della Prof.ssa Maria Pia Rigobello, Master in Nutrizione di comunità ed educazione alimentare


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