Con “Fuori dal coro: voce al tifoso” apriamo una finestra sul mondo del calcio visto con gli occhi di chi, ogni domenica, soffre, esulta e si commuove per questi sport. In questo primo numero proveremo a fare chiarezza su una delle pagine più discusse della storia del pallone: chi erano gli Hooligans?
“Steel cap Dr. Martens and iron bars
Smash their coaches or do’em
in their cars
We’re Not the North Bank
We’re Not the South Bank
We are the the West Side Upton Park”
Così cantavano i Cockney Rejects in West Side Boys, un inno al West Ham e alla vita da stadio: era il 1980, la Germania dell’Ovest aveva vinto gli Europei in Italia, John Lennon stava registrando la sua ultima fatica, Double Fantasy, e il mondo del calcio – inglese ma non solo – era nelle mani degli Hooligans.
Erano gli anni della terribile I.C.F, degli Headhunters e dei Buschwackers, gli anni delle grandi battaglie sulle gradinate prima ancora che in campo. Ma facciamo un passo indietro.
La nascita del fenomeno Hooligans
Per cercare le origini del termine Hooligan, bisogna scavare fino ai primi anni del novecento, quando una gang di teppisti di origine irlandese, la Hooley’s Gang, seminava il panico nella East Side londinese. La football association era stata appena fondata e le partite di calcio erano il luogo dove i ragazzi appartenenti alla working class potevano sfogare tutta l’ira e la repressione verso le classi agiate: il football è a tutti gli effetti lo sport del popolo.
Negli anni ‘60 Londra diviene il centro culturale dell’Europa: nelle case si ascoltano i Who e i Rolling Stones e per le strade si scontrano i Mods e i Rockers, i due movimenti giovanili più in voga all’epoca. Anche gli stadi, dopo un periodo di calma apparente successivo ai due conflitti mondiali – culminato con i gloriosi Mondiali in terra inglese del ’66 -, ritornano a essere teatri di scontri e violenze.
Le ends – le gradinate situate dietro le due porte – vengono prese d’assalto dagli skinheads: teste rasate, bomber sulle spalle e anfibi ai piedi. Nascono le prime firm, i primi gruppi organizzati di tifosi che, nella più totale inerzia da parte delle forze dell’ordine, riescono ben presto a diventare i veri padroni di tutti gli stadi inglesi.
Tutto ciò che accade sul terreno di gioco passa in secondo piano, il football non è altro che il pretesto per dare vita a vere e proprie battaglie con la tifoseria avversaria prima, dopo e durante la partita. Nei 90 minuti di gioco, l’obiettivo principale di ciascuna firm in trasferta è quello di mettere in fuga la tifoseria rivale dalla end e prenderne così il possesso. Al termine della partita, la missione da portare a termine è quella – non scontata – di riuscire a tornare a casa sulle proprie gambe, come spiega chiaramente l’ex Hooligan Cass Pennant nella sua autobiografia intitolata Congratulations, you have just met the ICF.
Gli Hooligans come fenomeno di culto
Dopo diversi anni passati da spettatore inerme, il governo inglese comincia a rendersi conto della portata del fenomeno Hooligans, e intorno alla metà degli anni ’70 vengono introdotte le prime misure restrittive contro i tifosi pericolosi.
Di fronte ai primi arresti e ai primi controlli agli ingressi dello stadio, i membri delle firm – primi tra tutti quelli di Liverpool – capiscono che l’unico modo per passare inosservati davanti agli occhi della polizia è quello di abbandonare i panni degli skinhead e andare allo stadio vestiti da persone comuni. Fila, Tacchini, Ellesse, Henry Lloyd, Paul & Shark e Stone Island: gli Hooligans vestono casual, e lo stile casual si diffonde a macchia d’olio in tutta Europa.
Negli anni ’80 l’Hooliganism è un vero e proprio fenomeno di culto, uno stile di vita all’insegna dell’azione, dell’alcool e delle droghe. Naturalmente il mondo della musica non può rimanere indifferente a quest’ondata di violenza, e sulla scia dei celeberrimi Sex Pistols, il panorama musicale inglese diventa una costellazione di gruppi street punk – chiamati anche Oi! dopo l’omonima canzone dei Cockney Rejects – più o meno famosi, tra i quali ricordiamo gli Sham 69, i Cock Sparrer, i Cockney Rejects e i The 4-Skins. I disagi della classe operaia e lo stile di vita Hooligans sono le due tematiche più care a tutta la sottocultura Oi! e in quegli anni non è raro assistere a concerti finiti anzitempo a causa di disordini e violenze.
La subcultura casual domina la scena giovanile britannica per circa dieci anni, salvo poi perdere appeal negli anni ’90 in seguito alla diffusione della cultura techno e underground importata dagli Stati Uniti. Bisognerà attendere i primi anni 2000 per assistere al preponderante ritorno della tematica Hooligans al centro del dibattito giovanile, soprattutto grazie al contributo di film come Hooligans – regia di Lexi Alexander -, The Footbal Factory, e Rise of The Footsoldier.
La “Lady di ferro” e la lotta agli Hooligans
Il 29 maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, durante la finale di Coppa dei Campioni tra Liverpool e Juventus, gli Hooligans inglesi – come da abitudine – tentano di invadere la end dei tifosi avversari, provocando la morte di 39 sostenitori bianconeri. Il mondo del calcio arriva ad un punto di non ritorno.
Il governo Tatcher comincia una battaglia nell’ambito della legislazione penale per eliminare definitivamente gli Hooligans dagli stadi: lo stesso 1985 è l’anno dello Sporting Events Act, che limita l’acquisto e il consumo delle bevande alcoliche negli stadi e nei treni speciali per i tifosi; nel 1986 con il Public Order Act fu permesso alla magistratura di interdire la presenza negli impianti sportivi dei singoli ritenuti violenti (qualcosa di simile al nostro Daspo).
Nel 1989, dopo la morte di 96 persone nel disastro di Hillsborough, il colpo decisivo alla realtà Hooligans viene assestato con il Football Spectators Act, che vietava la presenza a eventi sportivi al di fuori di Inghilterra e Galles a persone condannate per reati connessi alla disputa di partite di calcio e, per la prima volta, imponeva l’obbligo di entrare negli stadi con un documento di identità. Nello stesso anno viene creata all’interno di Scotland Yard la National Crime Intelligence Service Football Unit, con il solo scopo di sorveglianza anti Hooligans.
Si chiude così il capitolo più buio per molti aspetti – ma per altri aspetti il più intrigante – del football Inglese, un calcio che mai come negli anni ’70 è riuscito a farsi portavoce dei pensieri del popolo, della gente comune, la stessa gente che la domenica pomeriggio affollava il North Bank di Upton Park e il lunedì mattina le fabbriche di Londra.
We were Hooligans.