Vatnajökull Glacier
Primo passo #Islanda non ritorno
Quando Daniele mi disse “buon ritorno amico mio” sapevo a cosa si riferiva. Ritornare è un verbo spesso sottovalutato, soprattutto quando si tratta di un viaggio. Impossibile ritornare davvero da qualche parte, puoi crederci certo, ma non ci tornerai. Tu e quel posto non esistete più. Ritornare significa solo proseguire, riprendere un discorso interrotto, un viaggio di qualcun altro. Mi tuona in testa Saramago, nelle parole di Daniele, che voleva dirmi questo: “Buona fortuna”. Fortuna, per questa specie di vulcanesimo che esplode nell’islanda di tutti, con l’avvicendarsi di non luoghi e non persone e poi subito di luoghi, estremi e di persone, poche e giganti. Bisogna trovarcisi. Qui. E poi ero incollato al volante sbigottito, mentre “ritornavo”. La strada dall’aeroporto per Reykjavik è lunga un’ora di distese di lava nera, sulla destra e lingue di mare, sulla sinistra, che fortunatamente non parlano islandese. Takk. Ritornare è un verbo kitsch, qualcosa che ha più a che fare con il lessico familiare che con la letteratura. Qualcosa che non parla davvero. Ma stavolta parto soltanto da Reykjavik. Primo giorno è il giorno dei ricordi, “sono già stato qui, caro vecchio io, non mi tormentare, non esisti”, da domani, continuando verso nord, inizierò a ricordare in avanti. Ora spengo la luce, che qui, oggi, sembra incapace di morire.
Secondo passo #Dialogo di un italiano con il muschio. Dallo Snaelfness a Breidavik.
Breidavik
Quello che non bisogna volere nella propria Islanda è chiedersi chi o cosa stia conducendo questo viaggio. Voglio dire. Dopo chilometri e chilometri di sterrato lunare e nebbioso, a chi importa? Oggi camminando a piedi nudi sulla riva di Breidavik e poi tra i sassi e la tundra, mi sono ricordato che qui esistono due sole scelte. Quando arrivi nella tua Islanda, devi scegliere uno dei due sensi disponibili, orario od antiorario e poi dove dovranno finire ognuna di queste tue intramontabili giornate di luce.
“Era là, parola per parola, la poesia che prese il posto del monte” (Wallace Stevens)
Ore 22.40 la luce ancora mi cade giù dal costone altissimo sulla riva del mare, dalla riva alla spiaggia e dalla spiaggia alla mia finestra. La montagna di fronte sembra una cascata di sassi, perfettamente squadrata. Le montagne della tua islanda sono schiacciate ed in continuo movimento, mi chiedo se anche io non abbia quella stessa inesauribile fonte di pietre e pietriciattole da lasciar scivolare addosso…Ho scritto una cazzata:
Il giorno in cui non ero mai stato
camminavo seza scarpe,
senza piedi, senza gambe,
camminavo, stempiato
come un orologio su se stesso.
Oggi ho guidato la mia prima gravel road, ero come la superficie di un compact disk durante la cancellazione totale.
Sono stato di fronte ai quattro vulcani, io e loro. Muti. Il vento in un rispetto costante, scendeva amichevole a schiarire le nebbie, ero io il vulcano più pericoloso per la mia Islanda.
Sai.
Credo di essere questo fiordo, tutto silenzioso, senza anima viva, appena sotto il circolo polare, tutti i giorni ad aspettare la nebbia.
Terzo passo #Io, strapiombo sull’oceano. Presso Isafjordur.
C’è una sapienza innata nelle strade sterrate dei fiordi del nordovest, fai decine di chilometri per ritrovarti esattamente nello stesso punto, ma di fronte, nel lato opposto del fiordo. In un’altra Islanda faresti ironia sull’utilità dei ponti, ma non nella tua, dove strade di ciottoli a strapiombo su valli incantate, sono esattamente quel che ti aspetti: assenza del tempo e dei suoi effetti sulle tue scelte.
Ho avuto la stupida idea di chiedermi come fa l’oceano ad entrare con le sue lingue lunghestrette dentro la terra e a squarciarla, come fosse un amante che minaccia la solidità dell’amato, travolgendolo. Deve essere il pesce secco di cui continuo a cibarmi.
Devo ricordarti anche che quando sono arrivato ad Isafjordur, ho deciso che non sarà lei la capitale della tua Islanda. Troppo modesta , sul suo piccolo istmo, non vuole competere col paesaggio che la accerchia. Sarà solo un luogo di passaggio. Un momento di sopraffazione. Domattina ti alzo presto, vediamo se Akureyri è la tua città.
Quarto Passo #Ciò che non siamo ciò che non vogliamo. Da Isafjordur ad Husavik
Dettifoss
“Non puoi percorrere la via prima di essere diventato la via stessa” (Gautama Buddha). Ok. Neanche Akureyri è la tua citta’. La strada percorsa da Isafjordur è stata interminabile, tanto quanto l’intensità del paesaggio con cui hai stancato gli occhi. Qualcuno guidava, forse io. Akureyri non era nessuno, è stata una sosta tecnica dell’Io. La mattina dopo la tua Islanda era di nuovo riposata e ad Husavik ho trovato la tua casa. Un cottage davanti ad un lago, l’oceano poco più in là che si confonde sotto una fascia di vette biancastre, tutto avvolto da questa coltre silenziosa che mi insegue. Senza ombra di dubbio entrambi eravamo quel luogo.
“Ma la nostra natura consiste nel movimento, la quiete assoluta è morte” (Pascal). Non sarà una casa da abitare, ma da ricordare di aver abitato. Dovrai protrarre questo ricordo all’infinito, il domicilio è una condizione mentale. Sarà il tuo miglior rifugio ed io ti aspetterò lì.
Quinto passo #Gli uomini sono silenzi. Geotermici. Presso Lake Myvatn e Krafla Volcano
Krafla
Il mistero di un vulcano è che in esso non c’è alcun mistero. Siamo fatti della stessa pasta. Cenere, vapore, scoppi fuori, scoppi dentro, quiete, campi di lava, macerie. Abbiamo anche quello stesso strano condotto, quello interiore, che ci tiene profondamente a terra, quello che parte dalla camera cranica, correndo lungo la dorsale, fino a piantare i piedi. Oggi ho camminato i tuoi crateri fumobollenti, mi sono immerso in questa tua acqua primordiale, ho respirato quell’odore precario della Terra viva e mi sono sentito stanco, incapace di gestire tutta quel’energia.
Non riesco proprio a trovarla questa tua Islanda, ché quando me ne approprio, non è più tua.
“Vado, sebbene piano” (Proverbio Islandese)
Sesto passo – Tutti i nomi. Presso Seydisfjordur, East Iceland -
Soggiornare in un villaggio di 500 anime, di cui puoi percepirne solo una ventina, schiacciato al fondo di uno stretto fiordo lungo 17 km e dotato di nuvola perenne propria che, come programmata, si stende ogni giorno alla stessa ora, sulle strade e poi si rialza, fingendo di andarsene, ripiegando dietro la montagna, spiega l’idea dell’inutilità dei cognomi in questa Islanda. Qui ci sono solo nomi. Accanto ai nomi dei figli, i nomi dei padri. Ma solo nomi.
Nella tua Islanda non ci sono veri abitanti. Quelli che vedi sono prestati a questo luogo, come di fermo passaggio, non mettono radici, no dinastie o mafie. Solo una sopportazione, una calma lunare, la sublime bellezza dell’essere in balia di questo territorio così individuale, così intellettuale, da sembrare disumano e troppo umano.
Nella tua Islanda ci sono solo altre 300.000 solitudini.
Settimo passo #Il principio di scongelamento. Presso Vatnajokull, Iceland
Jokursarlon
Oggi mentre scattavo una foto all’Alcoa, una fabbrica lunga due chilometri, serenamente adagiata in un fiordo dell’est, con la naturalezza di una cascata o di un banco di nebbia, ho riflettuto sulla cosa più sconvolgente di questo viaggio: continuo a darmi del tu. Parlo ad un me esterno, che seppur fabbricato, sta qui con la naturalezza del fiordo e della fabbrica. Devo ricordarmi di raccontarti della laguna che ho visto stasera, Jokulsarlon. Quella creata dall’incontro del ghiacciaio Vatnajokull con l’Oceano. Due masse che si combattono. Tu non sei l’oceano, bensì quei cento iceberg che mi frantumo per non diventare acqua. Il risultato è questo enorme lago pieno di sculture di ghiaccio multiformi, ognuna un Io. Ma forse tu sei anche altro. Il problema è la contemporaneità. Se tu sei me, mentre io sono te, avremo sempre delle difficoltà di comunicazione. Eppure una cosa è certa, senza di me non ci sarebbe la tua Islanda, mentre la mia, la mia continuerebbe a perdere iceberg nell’oceano, credendola un’arte.
Ottavo passo #Segretolando. Presso Skaftafell, South Iceland
Sotto di me, enorme e sordo il ghiacciaio Vatnajokull. Sono diverse ore che cammino, ma questa vista mi riposa. Lingue che sembrano fiumi fermati da un patto col tempo e quel senso di segretolamento. Un giorno di camminata nella tua Islanda è una scalata in me stesso. Ho paura che tutti i sentieri della mia vita siano circolari, anche se cerco di percorrerli fuori strada.
Sento che questa mia Islanda è di nuovo quel non luogo che tendo ad abitare quando sono in tutti i luoghi. Sento. E non voglio più farla tua.
“I viaggi sono i viaggiatori. Quello che vediamo non è quel che vediamo, bensì quel che siamo” (Pessoa) o quel che resta, tentando di essere, a imbellettare il paesaggio.
Nono passo #Sono il raggio di un cerchio. Presso Reykjavik
Se qui non si ritorna mai, tantomeno si torna dalla tua Islanda. Anche dopo oltre 3000 km di strade in buona parte sterrate. Non si torna. Resterai a percorrere questo cerchio di vie da Reykjavik ai Fiordi Occidentali, fino a quelli orientali, passando per il grande nord per poi riscendere a sud, se qui esiste un sud, a frantumarti come i ghiacciai e a sentirti un po’ come uno di quei vulcani che di tanto in tanto si devasta intorno e poi di nuovo. Piste e piste nude come la terra che le circonda. Reykjavik, fiordi, nord, sud. Non si torna.
“Il viaggio non finisce mai” ma caro Saramago, questo viaggiatore non è ancora finito. Il viaggio ricomincia sempre.
Lo dicevo oggi, affacciato sulla faglia Eurasia/America. Io, solo, forse, torna, e Reykjavik stasera è una festa.
Decimo passo #Data Sconosciuta. Presso Nowhere. La tua Islanda. Giorno Zero.
Statale 1
Ho ricominciato il giro. Stavolta non posso che raccontarti subito delle strade della tua Islanda, quando diventano improvvisamente sterrate, a volte appena battute. C’era da aspettarselo, sai, le vie sono quel margine umano che ti infastidisce, qui. Dove la nebbia è l’incapacità di ricordare indietro. Objects in mirror are closer than they appear. Ti ripete lo specchietto.
Sulle piste a fondo quasi naturale, si va in prima, a volte in seconda; non guidi davvero tu, è la strada che guida, tu correggi solo, quell’andare caotico, cerchi di umanizzarlo. Quando l’islanda ti dice che stai correndo, è lei che, tra mille tremolii, ti toglie la marcia, lasciandoti in folle, acceleri a vuoto, ti fermi. Rimetti la prima, superi quel momento ondulatorio, spinto, dello sterrato, tremoli un po’ anche tu, ti sistemi il sedile. Ti guardi intorno. Sei quel paesaggio lunare.
E poi riparti.
Non hai mai guidato così bene.
Non passo #Contenuti speciali
Soundtrack indigena consigliata in Islanda:
- Of Monster and Men
- Sigur Ros
- Seabear
- Amiina
- Mum
Per le foto presenti nell’articolo si fa espresso riferimento alla licenza di WSF