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FUORI STRADA: Esc. Quando tutto finisce. Intervista a Mauro Maraschi

Creato il 13 marzo 2013 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

esc-quando tutto finisceFUORI STRADA - Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”

 di Chiara Rea

La fine del mondo – anche in tempi non sospetti prima del delirio Maya – è stato un argomento che ha affascinato scrittori e artisti in genere. Esplorata nei suoi aspetti più sensazionalistici e spettacolari da alcuni o osservata sotto una luce più intima ed esistenziale da altri, è un topic che può essere affrontato da mille angolazioni diverse.
Alcune di queste angolazioni possibili – 11 per l’esattezza – le troviamo in Esc. Quando tutto finisce, antologia di narratori italiani ideata e curata da Rossano Astemo e Mauro Maraschi e uscita da poco per Hacca Edizioni. Il filo conduttore di questi 11 racconti è infatti la fine del mondo, nella sua accezione più ampia: se vi aspettate i classici meteoriti che piombano sulla terra distruggendola o i soliti alieni che sterminano l’umanità rimarrete delusi (anche se gli alieni ci sono).
Nei racconti di Carola Susani, Stefano Sgambati, Gabriele Dadati, Emilia Zazza, Vins Gallico, Federica De Polis, Fabio Viola, Paolo Zardi, Giordano Meacci, Cinzia Bomoll e Flavio Santi non troverete niente del genere, ma vicini di casa insopportabili, editor radical chic in crisi di nervi, mari che vogliono ingoiare la terra, quadri di Jackson Pollock, famiglie disfunzionali e molto altro.

La cosa che forse colpisce di più leggendo i racconti – molto diversi tra di loro – non è l’atmosfera di assoluta catastrofe ma un più sottile, strisciante (e purtroppo assai realistico) senso di decadimento, declino, lento ma inarrestabile sfacelo. È forse questa la fine del mondo che ci aspetta? Non un evento sensazionale ma una sopportabile quanto inesorabile agonia?

Abbiamo chiesto a Mauro Maraschi, curatore e editor dei racconti, che cosa ne pensa della fine del mondo e di un po’ di altre cose.

Qual è la tua personale visione della fine del mondo?
Per quanto mi riguarda è già arrivata e in pochi se ne sono accorti. Però apprezzo l’ostinazione di tutti gli altri.

Da dove  viene l’idea di realizzare un’antologia sulla “fine”? Il tormentone dei Maya vi ha coinvolto a tal punto o è una riflessione che nasce  prima?
La profezia Maya è stata un pretesto per immaginare (o meglio, per far immaginare agli autori) un mondo nel quale ci si chieda il perché dei gesti minimi, in cui non esistono automatismi e, se esistono, vengono messi in discussione. C’è un passaggio, nel racconto di Sgambati, nel quale un uomo paga un quotidiano all’edicolante e i due si guardano con un mezzo ghigno, entrambi coscienti dell’inutilità di quel gesto. Ma è anche la morale a vacillare, in ESC, come nel racconto di Zardi. O la vanità che permea certe dimensioni intellettuali, come in quello di Viola. L’ipotesi della fine del tutto costringe a questo, a una tabula rasa mentale. Ho spesso l’impressione che si proceda per cliché, un po’ ovunque, che le cose si perpetrino solo perché esistono già. Bisognerebbe avere sempre il coraggio di ammettere che, forse, è stato un errore iniziare.

Ci sono, a tuo avviso, opere letterarie che abbiano affrontato il tema della fine del mondo in maniera particolarmente convincente?
Se intendiamo la fine del mondo per come lo conosciamo (e non la fine del pianeta), sì, diverse. La strada di McCarthy, per dirne una, ma anche il racconto di Matteo Galiazzo in Gioventù Cannibale, nel quale due ragazzini fondano una religione e ipotizzano, nel concreto, come dovrebbe avvenire l’apocalisse. In ogni caso, non considero la fine del mondo un argomento “di genere”, anzi, ne vedo esclusivamente l’aspetto esistenzialistico o le potenzialità concettuali.
Questa è la tua prima curatela. Com’è stato lavorare con tanti testi di autori differenti? Quanto è durato complessivamente il lavoro di editing?
La differenza dalle esperienze precedenti è che mi sono ritrovato ad affiancare autori maturi e pienamente consapevoli. Prima conseguenza: una certa ansia da prestazione. Poi è cominciato il dialogo con Paolo Zardi e il suo garbo, la sua umiltà e la sua dialettica hanno fornito un’accordatura ottimale per poter interagire con gli altri. In verità, proprio in virtù del loro spessore, si è trattato di dare qualche suggerimento, ma nulla di sostanziale. Il lavoro interessante è stato a priori: Rossano e io abbiamo infatti cercato di circoscrivere il campo d’azione, onde evitare derive catastrofiste o specifiche, anche se credo che le intenzioni fossero chiare fin da subito anche agli autori.

Come sei arrivato a collaborare con Hacca e quali sono i tuoi prossimi progetti con questa casa editrice?
Ho conosciuto Francesca Chiappa quattro anni fa al Salone di Torino. Ai tempi scrivevo qualche recensione, ma il mio lavoro era un altro. Poi una serie di circostanze mi hanno portato a fare uno stage presso la sua casa editrice, un’ottima occasione per conoscersi meglio. Dopo qualche piccola collaborazione, è stata la proposta del progetto ESC a cambiare le carte in tavola. Tutto, comunque, molto graduale. Adesso mi occupo dell’editing sulla narrativa contemporanea, poi vedremo.


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