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F.v.

Creato il 05 febbraio 2014 da Idispacci @IDispacci

F.V. si sveglia. C'è una ragazza nel suo letto. Ci sono due strisce di polvere su un vassoio abbandonato sopra il comodino.
Poggia i piedi scalzi in terra, il parquet è tiepido. Adoro il parquet, pensa F.V. alzandosi.
Arriva in bagno, lì il pavimento è più freddo, ma non troppo, la casa è ben riscaldata. Comunque i piedi protestano, si sono abituati ad essere trattati da signori, non vedono perché debbano soffrire.
F.V. si infila delle ciabatte, la donna delle pulizie le ha sapientemente messe lì vicino. Entra e chiude la porta, si decide a guardare il proprio orologio, un oggetto di valore ma sportivo.
E' presto, molto presto, si dice. La sera prima c'ha dato dentro, l'assistente alla regia di quel promo è cascata nella trappola. Hanno scopato, si sono stonati, hanno fatto tardi. F.V. sperava che tutto ciò lo aiutasse a dormire, ma non ha funzionato. Apre l'avvolgibile automatico della finestra, la luce fuori è ancora tenue, è uno spettacolo già visto. Gli capita spesso di non dormire, le varianti sono due: o passa la notte insonne, o si sveglia prima del sole.
Vorrebbe incazzarsi, spaccare qualcosa, il solito insomma. Ma di là c'è lei, questo pensiero, insieme al torpore per il mancato sonno, lo convincono a lasciar perdere.
Già, lei.
Adesso non ci vuole pensare. Apre la doccia. La casa è abbastanza grande da evitare che il rumore dell'acqua disturbi la ragazza nel letto.
Il vapore riempie il bagno, lui si mette sotto il getto e china la testa.
Resta in catalessi per alcuni minuti. La magia dura poco, il vuoto nella mente viene riempito dall'idea della noia. F.V. si annoia, si annoia molto. Si annoia sempre.
Chiude l'acqua ed esce dal grande box che fa anche da vasca, lo lascia aperto. Si asciuga davanti allo specchio, passa il telo di spugna sui capelli cortissimi e la barba tenuta alla stessa lunghezza. E' in forma, il suo personal trainer sta facendo un buon lavoro. Pochi secondi ed è pronto.
Torna nella camera da letto. Prende un cambio pulito, una delle tantissime paia di pantaloni informali, della marca giusta, stessa cosa per t-shirt, felpa e scarpe. Tutto informale, tutto scelto con cura.
Guarda la ragazza, dorme supina, le lenzuola lasciano scoperti i piedi, una gamba e una natica. F.V. riflette un attimo.
Va in salotto, prende una penna e un pezzo di carta. Inizia con "Buongiorno", si ferma. Non si ricorda il nome della ragazza. Sono quelle cose che fanno stare bene F.V., è lei che si ricorderà il suo nome, non certo il contrario, si sente il re della giungla. La sua giungla si chiama Italia. Gli alberi della giungla sono la televisione, i suoi torrenti sono i film, i cespugli sono i libri, il vento che l'accarezza è la radio e poi c'è l'aria, internet e i social networks, l'aria che, volenti o nolenti, tutti respirano.
F.V. sa di essere il re, forse non il solo re, nel suo mondo ci sono più re che regni, ma è comunque un re, e gli altri animaletti che abitano la giungla, come quella tipa nel letto della quale non sa il nome, adorano i re.
F.V. si piace, si ama. Sentirsi un dritto glielo fa diventare dritto. Posa carta e penna, rientra in bagno, si sbottona i pantaloni e si masturba sulla tazza. Il seme del re non tarda a schizzare. Si pulisce. Ora può scrivere il biglietto. Non cerca di ricordare il nome di lei, lui è il re. Scrive qualcosa di simpatico, sa essere simpatico, usa "tesoro": simpatico e gentile.
Scrive che deve uscire perché ha un'intervista, senza specificare che ce l'ha alle undici. Sono le otto e dieci. Scrive che non tornerà a casa, forse nemmeno per la sera, che ha un impegno fuori città. Scrive che è stato bello, le chiede di lasciargli il suo numero di telefono, nel dubbio le lascia il suo. Scrive il numero di un cellulare, di quello che usa per quelle ragazze e che spesso è staccato.
Posa il biglietto sul tavolo del salotto, accanto ad un vassoio da colazione sul quale ha messo un succo di frutta e buttato una merendina.
Il re è magnanimo, si dice F.V. ed è fiero di sé.
Una volta ho letto qualcosa sugli imperatori romani e sui riti seguiti per la loro proclamazione, pensa F.V., o forse era circa i dittatori, di sicuro era l'antica Roma.

Ha letto, ma non se lo ricorda bene, non sa se da un libro o da una rivista. Quello che sa è che i futuri imperatori, o dittatori, si fingevano disinteressati, facevano tutta una manfrina dicendosi non all'altezza, una volta in carica si definivano servi di Roma, nonostante in realtà fosse il contrario. Il re della giungla, si dice F.V., deve fare lo stesso: sembrare umile, "uno di noi", poi condire questa falsa modestia con dimostrazioni delle proprie qualità, fingendo che siano spontanee, non intenzionali, che non mirino a nulla.

Ha letto tutto questo, sa che il discorso era più complesso, più lungo e articolato. Ma non importa, ciò che conta è che, quando servirà, potrà dire qualcosa sull'antica Roma, lo farà in modo rapido e vago, per far capire quanto lui sia una persona interessante che però non vuole farlo pesare, lo farà giusto prima di passare ad altro: l'importante e abbagliare, anche se in realtà non si dice nulla di illuminante, un fulmine senza tempesta.
Sono le otto e venti. F.V. esce di casa. Cammina verso un bar lì vicino. E' un bar che serve solo roba di qualità. Fuori è ancora fresco, ma la primavera sta già mitigando le temperature dell'inverno.
F.V. fa il suo ingresso, splende di normalità e fermezza, saluta il ragazzo alla cassa, ordina cappuccino e cornetto alla crema.
Un paio di clienti lo riconoscono. Sorride agli animaletti della giungla. Sorride ai plebei romani.
Finisce di mangiare, paga e da un'occhiata al giornale. Le notizie non lo appassionano. Si annoia. Si annoia e sa che sono solo le otto e mezzo. Chiude il giornale ed esce.
Fa giusto pochi metri, arriva dove la strada principale fa angolo con un vicolo di servizio che s'infila tra due grandi palazzi. E' la zona buona della città, lì anche i vicoli sono puliti.
Si trova davanti un tizio che lo fissa.
"Scusa, devo andare" dice F.V., senza sorridere.
"Scusa, devo andare" mi dice F.V., senza sorridere.
Non spiego nulla, gli do un destro fulmineo, lo prendo in pieno sul naso. Le mie nocche sono sporche di sangue già al primo colpo.
Lui è sorpreso. Lo afferro per il collo della felpa e lo trascino dentro il vicolo, sbattendolo dietro un cassonetto con la furia di un gorilla. F.V. è in terra, spalle al muro, prova ad urlare ma gli do un calcio nello stomaco che gli toglie il fiato.
Continuo per alcuni minuti.
Poi me ne vado.
Tutto questo a F.V. non è successo. E' solo un racconto, scritto come mi veniva. Una storia frutto della mia fantasia.
F.V. è il re della foresta, l'imperatore di Roma. Ma sulla mia fantasia non regna nessuno.


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