Per chi risiede in Friuli Venezia Giulia segnalo il sondaggio lanciato dal Comitato TPL (di cui faccio parte) sul trasporto pubblico in regione. Abbiamo bisogno di raccogliere opinioni, per cui vi prego di dedicare cinque minuti alla sua compilazione.
Sempre a proposito della mia regione, forse qualcuno si sarà accorto del caso del tunisino morto mentre cercava di rubare rame e dei commenti esultanti e aggressivi comparsi sotto all’articolo del MV che ne dava la notizia, puntualmente sia condannati che reiterati. Non ho avuto tempo e coraggio di leggerli tutti, ma da una lettura a campione me ne sono fatta un’idea. È stato un caso talmente eclatante che il quotidiano per una volta ha pubblicato un articolo equilibrato in cui spiegava il contesto e dava spazio a entrambi i punti di vista.
La mia personale opinione è come segue. Innanzitutto, non si esulta per una morte. Posso capire l’esultanza per la morte di un dittatore sanguinario in un momento di guerra che inasprisce gli animi, ma anche qui, secondo me che però non sono mai stata testimone diretta di un evento del genere e spero di non esserlo mai, la reazione più giusta è il silenzio, un silenzio che comprenda la complessità di questi fenomeni e la consapevolezza che comunque non si esauriscono con una morte. E poi, anche i peggiori mostri sono comunque persone.
Se a morire è semplicemente un ladro, la reazione di esultanza e cattiveria è ingiustificabile, anche se il furto è un reato odioso che mina la fiducia tra le persone e svilisce il lavoro altrui. Se chi ruba l’ha fatto per disperazione, merita almeno un tentativo di comprensione. Io ho paura, perché esistono tanti sentimenti mostruosi tra la mia gente, in tutta Italia, e se scoppieranno saranno tremendi. Non solo in questo caso ma anche in altri ho notato sotto articoli online commenti veramente agghiaccianti, che incitavano alla tortura, all’ergastolo, e a ogni genere di risposta violenta – e solitamente inutile – a comportamenti devianti o considerati pericolosi. Commenti, tra l’altro, presumibilmente scritti da persone che conducono vite normali e hanno ancora abbastanza tempo e soldi per mettersi al computer a esporre reiteratamente il proprio pensiero. Non certo combattenti per un mondo migliore.
Bisogna però anche ammettere che questa esasperazione degli “italiani” – categoria non tanto nitida e scontata, ed è interessante che parte dei commentatori anti-immigrati sembrano risiedere all’estero – nasce anche dalla mancanza di risposte a quelli che sono problemi reali. L’immigrazione porta in Italia centinaia di migliaia di persone in più ogni anno, in un paese sovrappopolato (anche se pochi ne hanno la percezione), devastato e teso, in difficoltà economiche, in crisi di identità e con enormi problemi di diseguaglianze di classe e geografiche, di corruzione, di crisi di valori. Esiste una relazione effettiva, per quanto complessa, tra immigrazione e delinquenza, una relazione che non viene quasi mai analizzata pacatamente, ma solitamente o esasperata dalla destra o completamente negata dalla sinistra. Parte di questa delinquenza tra l’altro è in malafede, cioè condotta da persone che di mestiere parassitano sul lavoro altrui a proprio esclusivo beneficio. C’è una percezione di impunità nei confronti di chi si comporta così – una percezione che andrebbe affrontata con dati e risposte. Esiste anche una concorrenza sleale, per quanto di sopravvivenza, tra lavoratori immigrati e lavoratori nativi che vedono erose conquiste fatte dai loro nonni e genitori e ormai date per scontate. Infine, in un’era esasperatamente individualista e familista non si ha il coraggio di mettere sullo stesso piano l’egoismo degli “italiani” e l’egoismo degli “immigrati”: gli uni che non vogliono rinunciare a benessere e pace sociale o percezione di essa, gli altri che vogliono migliorare la propria vita, in moltissimi casi, solo nel senso di non dover lottare per migliorare le cose nel proprio paese di provenienza ma di poter beneficiare di conquiste fatte da altri – che rischiano cioè la vita per guadagnare di più, ma quasi mai per dare alla propria terra un futuro migliore. Questo nessuno lo sottolinea mai: l’eroismo è un dovere? Il senso di appartenenza è un valore? Se sì, a chi o a cosa?
Ho avuto più volte la netta percezione di questo sistema di due pesi e due misure tarato in maniera opposta a destra e sinistra: nel primo caso gli italiani hanno diritto a tutto, e gli altri a niente; nel secondo caso non si può criticare gli immigrati singolarmente o come gruppo che si viene tacciati di razzismo.
Io penso che vadano recuperati due valori. Uno è il senso di umanità, che tante persone hanno ad esempio per gli immigrati ma non per i poliziotti (ho sentito giovani, in val Susa, probabilmente non del posto, esultare quando un poliziotto si era fatto male), e tante altre hanno per i poliziotti ma non per gli immigrati. L’altra cosa, dando per scontato il senso di umanità senza il quale è tutto inutile, è aprire un dibattito serio su questioni fondamentali. Chi abita su un territorio da molto tempo o ha dei legami profondi e quotidiani con esso ha sì o no più diritto di decidere come governarlo e chi far entrare e chi no? Sono accettabili le diseguaglianze globali? Se no, possiamo identificarne le cause senza tabù? Possiamo smetterla di dividere il mondo in vittime e carnefici?
Chi segue questo blog sa come la penso. È una posizione di mezzo tra i due estremi ed estremamente solitaria.