Torna Gab De La Vega con la sua chitarra a raccontare storie di chi non si arrende e continua ad andare controcorrente, un po’ Don Quijote, un po’ ribelle con una missione, soprattutto musicista carico di ricordi e di esperienze raccolte tra viaggi e tour. Come scritto anche riguardo il suo album precedente, questa è musica semplice eppure in grado di essere emozionante, proprio per la genuinità che la voce di Gab riesce a comunicare, lontana anni luce dalle pose e dalla voglia di apparire maledetto. Qui c’è più lo Springsteen di Nebraska che non di Dylan, il che vuol dire tutto o nulla, ma a chi scrive fa venire in mente paesaggi rurali e gente che lavora sodo, piuttosto che i salotti dell’intellighenzia in cui si fa a gara per citare questo o quell’autore. Insomma, Never Look Back ribadisce come la forza di questo moderno menestrello stia proprio nella sua indole di cantastorie, sempre in cerca di orecchie attente da radunare intorno al camino alla ricerca di qualcosa da condividere piuttosto che per indottrinare o insegnare. Sarà per questo che, a fine corsa, l’ascolto dell’album lascia una sensazione di tepore, piacevole come quando s’incontra un amico che non si vede da un po’. Magari dal punto di vista musicale non conterà molto, ma da quello umano dice a voce alte da dove viene Gab e di come il suo portato hardcore sia ancora tutto lì, nella voglia di abbattere palchi e ruoli, nel seguire i propri ideali per quanto questi possano apparire fuori tempo massimo e lontani dalla sensibilità imperante. Visto però che si sta parlando di un disco acustico in cui a regnare incontrastate sono la voce e la chitarra, è il caso di dire che questo è tutto ciò che conta e che fa la differenza. Nessuna pretesa di successo e una buona dose di umiltà, sei corde sulla spalla e una lunga strada da percorrere.
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