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Music To Light Your Joints To #14

Creato il 23 giugno 2015 da Cicciorusso

keep-calm-and-w-la-drogaTorna con il consueto ritardo la rubrica che ha fatto dell’invito alla devianza la sua principale ragione di esistenza; evitiamo di perderci nei meandri della mente e partiamo diretti con la nostra rassegna stampa dedicata alla musica drogata.
Dopo un decennio di esplorazione ininterrotta dell’emisfero destro i White Hills da NYC decidono di modificare parzialmente il proprio sound. Essendo tra i pochi veri maestri odierni in ambito heavy psych, non è che un cambiamento fosse davvero necessario o dovuto, il problema è semmai che nel loro ambito specifico hanno da tempo raggiunto un livello tale che rende loro difficile eguagliare o superare quanto espresso in precedenza. Gli ultimi dischi, per quanto qualitativamente buoni, mancavano della compattezza dell’omonimo o di lavori quali Glitter Glamour Atrocity. Walks For Motorists (Thrill Jockey), oltre che per la copertina orrenda, si farà ricordare come il disco più sperimentale della loro carriera: elementi di new wave sintetica (alla Devo diciamo), struttura dei brani più asciutta, assenza della chitarra a tratti e un umore un po’ più scuro si innestano ed alternano a quelle che sono le loro tipiche divagazioni lisergiche. Il risultato è un po’confuso ma sicuramente interessante, il classico album di transizione, pur nella sua incostanza (o forse proprio in virtù di essa) lo preferisco agli ultimi due.

Gli Spidergawd sono una band di Trondheim formata dalla sezione ritmica dei Motorpsycho e due tipi più o meno noti della scena norvegese. Già nel 2014 avevano fatto uscire un album che avevamo colpevolmente perso, per fortuna i benemeriti Walter e Jurgen del Roadburn ce li hanno piazzati al festival e abbiamo così avuto modo di recuperare. Da qualche mese è uscito Spidergawd II (Stickman) che al momento è uno dei migliori album ascoltati quest’anno, un disco di rock and roll all’antica, nessun filler, molto melodico e a tratti energicamente detroitiano (ogni tanto compare pure il sax). Tutto piuttosto semplice e nessuna elucubrazione richiesta. Eccezionali anche dal vivo, come chiunque abbia presenziato le recenti date italiche vi potrà confermare.

Restiamo in area di pesante revisionismo settantiano con i sempre ottimi Elder, che ad inizio anno hanno fatto uscire un album per qualche verso assimilabile a quello di cui si parlava poco sopra (e che esce per la stessa etichetta). Lore (Stickman) ripropone quello che già si era visto con Dead Roots Stirring e regala discrete soddisfazioni a chi saprà entrarci. È necessaria un po’ di applicazione perché la struttura dei pezzi è piuttosto lunga e la forma canzone viene dilatata e resa più complessa. Listen without distraction ci stava scritto sulle note di un disco che qui abbiamo amato in tanti; vale anche per questo. Da ascoltare in cuffia.

Finiamo con quegli instancabili stakanovisti dell’acufene che rispondono al nome di Bong. Dopo neanche un’anno da Stoner Rock il combo di Newcastle torna a far friggere amplificatori e neuroni. In genere ‘sta roba del drone non è che mi faccia impazzire ma questi tizi ancora una volta riescono a sorprendere. I Bong hanno una capacità non da poco: riescono a tirare fuori cose dal nulla apparente, costruiscono album interi su mezze idee e eppure in qualche maniera riescono sempre ad essere intriganti. Rispetto a gruppi dalle sonorità simili la differenza la fa il drumming che, sebbene scarno e minimale, riesce a dare coesione e struttura ai pezzi, riuscendo lì dove molti altri falliscono. We Are, We Were And We Will Have Been (citazione proustiana, pare) è ancora una volta composto da due soli brani, questa volta però la durata dei pezzi è di soli 18 minuti (contro i 35 del precedente). Anche stavolta il meglio viene serbato per il lato b, se Time Regained è una buona variazione sul tema svarione elettrico da fattanza, la successiva Find Your Own Gods sposta il sound su una sorta di scoppiatissimo ambient ultraterreno in cui c’è meno feedback del solito e l’esplorazione da cosmica diventa anche interiore. Brano perfetto per dare la buonanotte alla parte conscia del proprio cervello.



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