Gabriel Garcia Marquez: sesso, violenza ma anche estrema dolcezza.
Ci ha lasciato all’età di 87 uno dei grandi scrittori di questo secolo. Colombiano di nascita, con il suo modo di raccontare ha scavalcato le Ande e ha fatto sognare uomini e donne di ogni età e da ogni angolo del mondo.
Trascorre parte della sua giovinezza con i nonni materni e sarà proprio la nonna la sua musa ispiratrice.
Comincia a lavorare come giornalista e fa frequenti soggiorni a Roma, Parigi ed in Venezuela. Scrive bene il giovane Gabriel ma sente che qualcosa manca, vuole tornare alle origini e cerca un ispirazione, brama quel lampo di ispirazione che tanti scrittori prima e dopo di lui agognano.
Ripensa alla sua infanzia, lo immagino piccolo, lontano dai genitori, forse un pochino spaventato che viene consolato dalla sua ‘abuela’ la nonna. Una donna che deve essere stata eccezionale, che nei caldi pomeriggi estivi forse prendeva il piccolo Gabriel e seduta – la immagino a ricamare sotto un fresco pergolato – distrae il nipotino con racconti di fantasmi, di magie, di lotte contadine, di usurpazioni, di violenze ma anche di amore. Una donna che riesce a mescolare la realtà e la fantasia creando un mondo parallelo al nostro dove le violenze quotidiane vengono vissute ma dove la forza della magia e del surreale prepotentemente vigilano. Dove la forza unificante della famiglia – intesa nel senso più allargato possibile – permette a semplici uomini e donne di compiere gesti di eroicità quotidiana.
Lo stile giornalistico, dicevo, non lo soddisfa più ed è proprio ricordando quei caldi pomeriggi estivi che Gabriel riesce finalmente a trovare il suo registro di scrittura e mette su carta uno di quei romanzi che una volta letti faranno parte della nostra vita per sempre: Cent’anni di solitudine.
Lo lessi a 15 anni e posso dire che mi ha cambiata. Inventò un paese, Macondo, che usò spesso in altre sue opere. Macondo cominciò a fare parte della mia vita. La forza delle sue parole mi accompagnò notte e giorno in tutta quella settimana che impiegai a leggere il libro. E ancora mi accompagna. E’ un libro che letto in età matura forse non dà quella scossa interiore che nell’adolescenza sconvolge e turba, una scossa che apre gli occhi su un mondo di violenza, di sesso, di lotte contro il potere e di amore infinito.
Nessun altro libro, tranne il Dr Zivago di Pasternak mi ha più dato quel pugno allo stomaco, duro da sentire ma così necessario per una crescita interiore. Le azioni, i pensieri di Aureliano Buendia sconvolsero la mia giovane mente: un personaggio dalle mille sfaccettature capace di violenza e di amore. Le parole, le frasi di Marquez aprirono per la prima volta – forse un po’ troppo tardi rispetto ai miei coetanei – i miei occhi ad una vita fatta di grigi dove non c’è solo il bianco – buono e giusto – ed il nero – cattivo ed usurpatore – ma anche mille sfaccettature che permettono ad ogni essere umano di avere in sé il diavolo e l’angelo.
Scrisse moltissimo e ‘Cronaca di una morte annunciata’ così come ‘L’amore ai tempi del colera’ sono, a mio parere, tra le sue opere migliori. Libri in cui la vita quotidiana viene vissuta appieno dove la forza delle convinzioni e dei sentimenti vanno oltre la brutale forza di chi ci vuole controllare e scavalcano i limiti del nostro breve vivere.
Uno scrittore che è riuscito a penetrare nelle menti di molti e a cui venne assegnato il Premio Nobel per la letteratura per aver creato opere letterarie in ‘cui il fantastico ed il realistico sono uniti in un ricco mondo immaginifico che riflette i conflitti e la vita di un continente’. Lui stesso parlando alla cerimonia di consegna del Premio a Stoccolma dichiarò di avere dipinto un continente pieno di ‘immensurabile violenza e pena che nutre una creatività insaziabile, piena di dolore e bellezza’.
Ci lascia ed è un peccato sapere che il mondo di Macondo è sparito ma siamo pronti ad accogliere, a breve si spera, chi saprà – come Gabriel – unire realtà e fantasia con la sola forza delle parole.
Le foto di questo articolo sono di Hannes Wallrafen, Un giorno a Macondo, 1992.