Gabriel Garcia Marquez è uno degli scrittori del Novecento più amati e ammirati e la sua dipartita, qualche giorno fa (il 17 aprile), ha lasciato tutti disorientati e sconvolti.
È lui quello che ha creato la città immaginaria di Macondo, che tanta parte ha avuto nella sua letteratura e che ha portato al successo la sua opera più maestosa: Cent’anni di solitudine.
È lui che ha raccontato con fervida immaginazione e schietta realtà l’America Latina del secolo scorso.
Ed è sempre lui che ha vinto, nel 1982, il Nobel per la Letteratura “per i suoi romanzi e racconti, nei quali il fantastico e il realistico sono combinati in un mondo riccamente composto che riflette la vita e i conflitti di un continente”.
Scrittore e giornalista colombiano, da tutti soprannominato Gabo, è considerato il maggior esponente del realismo magico e il più grande autore della letteratura latinoamericana. Il suo stile, scorrevole e umoristico, è un continuo intrecciarsi di realtà e immaginazione, storia e leggenda, con analessi e allegorie ricorrenti.
Definita come la seconda opera in lingua spagnola più importante, dopo il Don Chisciotte di Cervantes, Cent’anni di solitudine ha influenzato scrittori come Paulo Coelho e Isabel Allende, e ha portato nelle case dei suoi lettori la narrativa fantastica del romance europeo, lo stile caro alla mitologia e le figure tipiche del Settecento letterario.
Amico di Castro, sostenitore di Salvador Allende e simpatizzante di Hugo Chàvez, Gabriel Garcia Marquez ha alternato momenti di grande produzione a periodi di assoluto silenzio letterario. Complice il cancro linfatico che lo ha colpito a fine anni Novanta, è tornato a scrivere pubblicando nel 2002 la prima parte della sua autobiografia Vivere per raccontarla.
Tra le sue opere più famose ricordiamo anche L’amore al tempo del colera (1985), Cronaca di una morte annunciata (1981) e Dell’amore e di altri demoni (1994).