Cortona
I.
O Cortona, l’eroe tuo combattente
non è già quel gagliardo che s’accampa
giuso in Inferno alla penace vampa
ove si torce la perduta gente?
Pur le Vergini crea la man possente
e i Chèrubi, usa all’affocata stampa,
come l’Etrusco orna la dolce lampa
e di macigni alza la porta ingente.
Chiusa virtù d’antiche primavere,
urbe di Giano, irrompe nel tuo Luca.
Maravigliosamente in lui tu vigi.
Forza del mondo è il tuo robusto artiere.
Sparvero come in vortice festuca
i tuoi tiranni Uguccio ed Aloigi.
II.
O Corito, perché la Lampa è priva
di nutrimento? Io vidi messaggera,
grande come Calliope, leggera
come Aglaia, recar l’olio d’oliva.
Ecco, nel bronzo la Gorgóne è viva;
nuota il delfino, corre la pantera;
segue le melodíe di primavera
Sileno su la fistola giuliva.
Bacco e gli aspetti delle Essenze ascose
fan di fecondità ricco il metallo.
Or versa nel suo cavo l’olio puro!
La vital Lampa in cui l’arte compose
tra mostri e iddii l’Onda marina e il Phallo,
tu sospendila accesa al dio futuro.
III.
Dirompendo col vomere l’antica
gleba etrusca il bifolco, a Sepoltaglia,
all’Ossaia, la spada e la medaglia
scopre laddove ondeggerà la spica.
Chi sa, nell’ansia della sua fatica
sotto l’ignea fersa, non l’assaglia
un sùbito furore di battaglia
a trionfar la sorte sua nemica!
Muzio Attèndolo Sforza nella rovere
di Cotignola gitta il suo marrello
e ferrato cavalca al gran destino.
Sono le glebe tue fatte sì povere,
o Italia, che non sórgavi un novello
Eroe dall’aspro sangue contadino?
(Gabriele D’Annunzio, “Cortona” da Laudi – Le città del Silenzio)