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Gabriele MarchettiSei inediti

Da Ennioabate

tempesta giorgione

Il temporale
Scricchiola il bosco, poi subito tace.
La vitalba s’abbranca ai vecchi tronchi
con lunghe dita sottili; ma attorno
non dura la calma, è tenebra il giorno,
il silenzio si sfaglia
e mette ben presto alla nuvolaglia.Si svuota la strada: il lauro presago
suonato da un vento che sa di lago,
e un nero di pioggia che riempie il cielo.

Fredda burrasca inargenta le cime
mentre spossata già bubbola l’aria,
la rondine dalle piume azzurrine
svelta ritrova il nido. Goccia grosso:
vibra la parietaria,
le foglie lucide del nuovo bosso.
Dal fienile il gatto ascolta gli sgraffi
del fulmine che esplode, ma i suoi baffi
e la sua coda penzolano a noia.

Nelle pozzanghere ingrigisce il mondo,
ma in questo giardino staremo bene
dentro al gazebo che pare una grotta,
tra le statue invecchiate dal lichene,
guardando la gavotta
degli alberi che dondolano i rami
(non tremo più, se mi prendi le mani).
L’erba scolora, mentre sta annegando,
e il tuo collo nudo ha un brivido stanco.

Quasi non parliamo: e intorno il rumore
sembra durare da sempre. Slavato
dall’acquivento, il prato è largo mare
cosparso di relitti e di battelli
che vanno ad incagliare.
Ma sgocciola più debole, ormai spiove:
riprende la gazzarra degli uccelli,
lontano all’orizzonte già si smuove
l’oro vivido del pallido aprile.

Settembre

Le luci sparse lontano, per caso
disegnano il sorriso alle colline -
falena accecata, ci sbatte il muso
la notte che profuma di cantine.

Settembre non dura mai quel che basta
ad essere felici con le donne,
distesi tra bosco e prato, la testa
che rimbomba del nostro cuore insonne.

Un’altra estate, un’altra lunga corsa
nell’odore della pioggia striata
sopra il fieno che rifermenta, e l’Orsa
che ci osserva dal cielo, inosservata.

Il Fauno

La tua pelle perlea che piano prostra
nella calura estiva,
come spenta, è il dolore che si mostra.

Al riparo dei rami, la cascata
punteggiata di viva
ruggine si smagrisce, disseccata.

Nell’ombra cerula dei vecchi ontani
ho visto il Fauno nudo
rincorso come per gioco dai cani.

Il cielo è stroscio di luce che annera
(perché ancora m’illudo?)
buttato come straccio sulla sera.

Prima che il tempo

Il vento strazia le nebbie tra i boschi esausti di neve -
questa vita che c’ingombra e su cui lascia Morte un’ombra,
io credo, passerà, stanca di arrancare verso il nulla
e di durare nella stagione che si sfascia breve.

Tutto fuoriesce dal cerchio perfetto che ora frammenta,
i ricordi dell’estate (fredda, la sera di giugno
ammassava i temporali dietro le colline magre,
e del sapore dell’aria smossa eri quasi contenta),

la risata che tentavi ma che nessuno ha raccolta,
annuncio della fine che ingemma sul vecchio giardino -
prima che il tempo dissolva la polvere di quest’ora
il verso lungo del merlo, come voce di una scolta.

Di te rimane il nome che chiamo
Di te rimane il nome che chiamo,
tra stelle più grandi nell’inverno
che fumiga, che nevica sul piano -
riflesse dall’acqua nera, fonda,
come occhi che piangono lontano,
dita bianche che cercano aiuto
ma non trovano nessuna mano.

Puella

Le vecchie scale, dolce penombra,
nascondono il segreto dei bambini,
canzoni tra il cancello e l’altalena
e il verde simulacro dei giardini -
queste ore di calma, l’aria di vetro,
a richiamare i cani dal canneto.

Per i ragazzi, seduti alla chiesa,
le bende sfatte sui magri ginocchi,
la morte ha l’odore di fiori rossi -
dal quadro di cielo della finestra
(son candide mani le margherite)
una ragazza con le ali ferite.


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