Michele Lupo è uno scrittore avveduto con uno sguardo pungente, acuto, intelligente, ma anche intenso, affilato, penetrante.
Mi ha decisamente colpito L’onda sulla pellicola, il suo romanzo d’esordio (Besa, 2004) incentrato sulla figura di Livio Viola, un uomo multiforme dei nostri tempi, libertino impenitente, che affronta il presente in una ricerca che lo porterà a prendere atto dell’incoerenza e delle stravaganze dell’esistenza, forse del senso stesso di una società che è la copia in carta carbone di quella attuale.
Un avvincente e graffiante romanzo che ha al centro delle proprie vicende la scuola e il precariato, la superficialità e il narcisismo, la spudoratezza e la miseria intellettuale. In un crescendo di elucubrazioni taglienti e di avventure picaresche dall’incessante e alacre movimento.
Un libro da leggere, insomma.
Ho intrattenuto una breve chiacchierata virtuale con Michele Lupo e intendo condividerla coi lettori di Libereditor’s Blog.
(L.B. sta per Libereditor’s Blog, M.L. per Michele Lupo)
(L.B.) : Il protagonista, Livio Viola, sceglie di non scegliere e così facendo mantiene sempre aperte tante possibilità… E’ un libertino dei nostri giorni per cui il futuro non c’è, un Don Giovanni infantile e prepotente che passa da una donna all’altra senza legarsi a nessuna (anche se il suo cambiar donne rischia di cadere nella temuta e inevitabile noia degli eventi).
C’è qualcosa in Livio Viola dell’esuberante Augie March di Saul Bellow…
(M.L.): Già qualcun altro, recensendo L’onda sulla pellicola, ha parlato del libro da lei citato, ma debbo dire che se Bellow è stato per il mio romanzo un modello imprescindibile, è successo per via di Herzog, soprattutto. Almeno, così pensavo, avendolo amato molto più di Augie March.
(L.B.): L’onda sulla pellicola può essere definito un affresco dell’egoismo e dell’individualismo feroce che caratterizza la nostra società attuale. Ma è solo una visione pessimistica e cinica?
(M.L.): Non saprei. Il bisogno di Livio Viola, il protagonista del romanzo, di cercare il fondo delle cose, non può essere appagato. Deve fare il viaggio sino alla fine per capire che, con Kafka, dietro una maschera c’è solo un’altra maschera. Questo non è estraneo al fatto che si lasci andare a una vita di piaceri immediati e molto ego-riferiti. La stessa rabbia di fondo non trova sbocchi che non siano estemporanei. In un’ottica sociale, teniamo conto che il romanzo è ambientato a metà degli anni Novanta, inizi del Berlusconi politico: Viola vede bene cosa significa. Quasi vent’anni dopo non è facile dargli torto.
(L.B.): Solo Malerba non si fa impressionare dal professor Viola… Chi o che cosa rappresenta la proprietaria del diplomificio con la sua odiosa sfrontatezza?
(M.L.): L’italiano nella sua specie peggiore, dominante in questi anni. La scuola che gestisce è un microcosmo esemplare del nostro paese. Denaro che può tutto contro le regole, corruzione, sfrontatezza e volgarità da arricchiti e disprezzo del sapere. Viola è a suo modo un mascalzone, ma di tutt’altro genere – da punto di vista civile, non del tutto italiano. Della nostra antropologia culturale invece condivide la teatralità, talché vive come se fosse sempre in scena. Non è tanto che la signora Malerba non si lasci impressionare, è abbastanza intelligente da capire quanto lo sia lui, ma il principio economico nella sua vita è tutto: uno come Livio Viola non le serve.
(L.B.): Ma perché il cinema e la scrittura non riescono a indurre un tipo come Viola a riflettere e a reagire?
(M.L.): Riflettere riflette eccome. Non progetta, non crede nel futuro, un po’ perché l’erotizzazione della vita lo trattiene sempre nel qui e ora, un po’ perché storicamente il clima e le concrete possibilità materiali favoriscono il disincanto che a lui per temperamento viene già facile di suo.
(L.B.): Posso chiederle come è nato nella sua mente un racconto come Congedo dell’ultima sua raccolta I Fuoriusciti?
(M.L.): La genealogia di un racconto a volte può essere molto complessa. In sintesi, come spesso mi accade, due nuclei narrativi, due immagini, due ipotesi di storie si sono incrociate. C’era questa donna, una poetessa, che non ne poteva più della recita del mondo, e non trovava più nella lingua un rifugio, un rimedio. E c’era un uomo che invece non riusciva a togliersela dalla testa. A questo mondo, ognuno sragiona a modo suo.