“Ogni uomo ha il suo distintivo. Mickey Cohen, ad esempio, aveva giurato fedeltà al proprio Potere”. Sergente John O’Hara
Los Angeles, 1949.
Meyer Harris “Mickey” Cohen (il Premio Oscar Sean Penn) , ex pugile ebreo assetato di potere con la volontà incrollabile e decisa di conquistare a qualunque costo la Città degli Angeli, è il Boss spietato ed incontrastato della più importante metropoli della West Coast.
Assicuratosi la protezione e la fiducia dei cugini “mangiaspaghetti” italiani, Mickey, sfidando la “concorrenza” del Cartello di Chicago, corre a vele spiegate, con irrefrenabili smanie di ambizione e vero e proprio delirio di onnipotenza, verso il dominio assoluto, eliminando senza pietà tutti i rivali che osano mettersi contro di lui e lasciando cosi dietro di sè una lunga fila di cadaveri e fiumi di rosso sangue, sangue amaro, spesso di innocenti, assai rumoroso, che tuttavia sembra non riuscire a scatenare il coraggio delle Forze di Polizia della città, tenute in pugno come un succulento Full a Poker.
Si, perché Mickey non si fa mancare niente, e controlla tutto, o meglio tutti.
Politici, giudici, poliziotti, ispettori, negozianti, e soprattutto i racket della droga, della prostituzione, delle scommesse e del gioco d’azzardo, sui quali il proprio impero è oramai definitivamente affermato e su cui nessuno, civile o agente che sia, si azzarda lontanamente mettere bocca.
Sembra non esserci speranza in una città dove omicidio, corruzione ed estorsione appaiono praticamente come le tre parole chiave di ogni cosa : Mickey è un dio, addirittura Dio stesso in persona fattosi uomo, come arriva nientedimeno a pronunciare terrificando un proprio scagnozzo prima della sua efferata esecuzione, e chiunque prova ad ostacolarlo o diventa cosa sua, o diventa concime per la terra.
“Tutti hanno un prezzo, e se un poliziotto non si fa corrompere allora questi è come un cane affetto dalla rabbia : non c’è cura, non c’è soluzione, occorre solamente abbatterlo!” Mickey Cohen
Ma forse non tutto è perduto.
Sarà infatti il Capitano della Polizia Bill Parker (un invecchiato ma sempre affascinante Nick Nolte) ad alzare la testa contro il sanguinario criminale ebreo e ad affidare al sergente John O’Hara (il bello e vigoroso Josh Brolin), ex veterano della Seconda Guerra Mondiale ed orgoglioso poliziotto tutto d’un pezzo che predilige le “maniere forti”, il compito di formare una squadra d’elite segreta di agenti speciali incorruttibili e pronti a tutto con la quale porre fine alla violenza, alla ferocia ed alla crudeltà dello strapotere di Mickey Cohen.
La maggior parte della Critica sembra aver voluto massacrare, quasi senza un valido motivo, questa divertente, esplosiva, ben studiata ed in ultima analisi vincente pellicola, tutt’altro che arrogante, che cerca di fare allegramente la cresta al mitico “Gli Intoccabili” di Brian de Palma, storico poliziesco, come tutti ricorderanno, con cui Kevin Costner conquistò il cuore di tutte le donne del mondo nell’oramai lontano 1987.
Ed il lavoro di Ruben Fleischer sembra raggiungere in maniera più che degna l’obiettivo, ovverosia quello di collocarsi con fierezza e senza alcuna paura tra le pellicole a metà tra il genere del “Gangster Movie” e quello del Poliziesco, senza poi dimenticare le pennellate di Noir che il neo-regista riesce sapientemente ad imprimere, sia con le ambientazioni del film, con una scenografia accuratamente elaborata e dettagliata, sia con il complesso gioco della Fotografia (affidato qui al battezzato Dion Beebe), che ricordano un’atmosfera di fondo simile a quelle dei più celebri “Sin City” e “Collateral”.
E la storia e le strade della vecchia Los Angeles del post-Proibizionismo, nonché i suoi celebri club e locali, sono riproposte e ricreate con estrema accortezza e manierata attenzione anche per il più piccolo dettaglio. Ci sono infatti, in un simpatico mix avvincente e che allieta assai lo Spettatore, tutti i leggendari clichès della America Anni ’40 : completi gessati e doppiopetto, bretelle, fedore, scarpe lucide in bi-color e soprattutto le immancabili bottiglie di vecchio whiskey, gli infiammati mitra Thompson e le super pupe femme-fatale, che hanno qui il volto candido e tagliente della incantevole dark-lady Emma Stone, la cui bellezza ed il cui fascino porteranno a far perdere la testa all’altro grande componente di questo cast stellare che è il giovane e convincente Ryan Gosling.
Questi infatti (che interpreta il poliziotto don Giovanni Jerry Wooters), rifiutando in un primo momento l’invito di O’Hara ad unirsi alla gruppo anti-crimine, cambierà drasticamente idea quando vedrà cadere sotto i suoi stessi occhi un giovane ragazzo di quartiere assassinato brutalmente per mano di uno dei tirapiedi di Cohen.
Insomma, sebbene la pellicola sia lontana dal rischio di riuscire a superare l’intramontabile capolavoro di De Palma, cosa che tra l’altro i nostalgici degli anni che furono non permetteranno mai e poi mai, “Gangster Squad” ha tutte le carte in tavola per essere considerato un prodotto più che accettabile per passione, scenografia, colonna sonora e soprattutto cast.
Il pezzo forte, che riserviamo per ultimo, è infatti la morbosa ed agghiacciante interpretazione di Sean Penn nei panni dell’ex lottatore di Brooklyn . Il pluripremiato artista di Hollywood dà qui, con grande eleganza, lezioni di stile allo Spettatore, debordando appositamente, con una espressività quasi da far rabbrividire (che ricorda a tratti il ruolo svolto in Carlito’s Way), e con parole, modi e forme che fanno di Mickey Cohen un vera e propria maschera capace di suscitare la paura ed il terrore anche nell’uomo più freddo e solido. Ne viene fuori un personaggio naturalmente malvagio, fittiziamente educato, che tenta in tutti modi di apparire come un uomo ripulito e di classe e di accrescere socialmente, rimanendo tuttavia ed al fine solamente un burino, spesso sleale, pieno di denaro.
Pregi del film : sparatorie, scazzottate, azione, cast d’eccezione e tanto divertimento che tengono lo Spettatore freneticamente incollato allo schermo per quasi due ore.
Difetti : trama non eccessivamente brillante, leggera brevità della pellicola ed incapacità di sganciarsi in maniera del tutto originale ed autonoma dai predecessori del Genere.
Voto finale : 7 e mezzo, con un sorriso.
Jack Forrest Sabella
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