La nazionale italiana di ciclismo al Campionato Mondiale su strada ha spesso dimostrato d’essere una squadra molto compatta offrendo prove egregie, difatti nell’albo d’oro della manifestazione conta 19 successi individuali, venti medaglie d’argento e 16 medaglie di bronzo. In questo palmares di tutto rispetto, secondo solo al Belgio, spicca una vittoria ineguagliabile maturata il 6 agosto 1972 sul circuito di Gap, nella Savoia francese, forse la più rocambolesca, ma anche la più crudele. L’Italia schierava in quella circostanza una formazione tra le migliori con ciclisti del calibro di Felice Gimondi, Gianni Motta, Franco Bitossi, Davide Boifava, Michele Dancelli, Wladimiro Panizza, Giancarlo Polidori, Giovanni Cavalcanti, Wilmo Francioni e il velocista Marino Basso, di contro c’erano gli avversari come il “Cannibale” Eddy Merckx, l’altro belga, sontuoso nelle classiche, Roger de Vlaeminck, l’olandese Sepp Zoetemelk, i francesi Cyrille Guimard, Raymond Poulidor e Bernard Thevenet, lo spagnolo José Manuel Fuente. Il percorso prevedeva un circuito non proprio pianeggiante di Km 15,143 da ripetere 18 volte, con due salite in località Embeyracs di 1900 e 400 m, pendenze sul 7% circa e un arrivo in ascesa. Il ct azzurro Mario Ricci aveva faticato per mettere su la squadra e difendersi dalle critiche di chi lo accusava di aver escluso Giacinto Santambrogio dai dieci titolari, togliendo a Gimondi un gregario prezioso, nonché d’aver inserito un “individualista” Marino Basso, sprinter di valore reduce però da una stagione disastrosa. Senza entrare nel merito di ogni singola tornata dell’intera gara [1], partita alle ore 10 con 89 corridori di 13 paesi diversi, limitiamoci a sottolineare l’inizio di quella che fu la parte conclusiva e decisiva della corsa, ossia il 14° giro con l’allungo del francese Guimard seguito a ruota da Bitossi, De Vlaemink e da un plotoncino, leggermente distanziato, composto da sette atleti: Mortensen, Dancelli, Verbeeck, Zoetemelk, Panizza, Merckx e Basso. Di questi dieci protagonisti non faceva parte Gimondi, rimasto attardato a oltre due minuti con il grosso del gruppo e senza un gregario di sua fiducia. Nel caldo di quella domenica d’inizio agosto Merckx sembrava indiavolato, tutto teso ad accelerare per prender la testa e sfiancare gli avversari, però non aveva fatto i conti con gli italiani, quanto mai agguerriti, con Zoetemelk e Guimard. Al penultimo giro il “Cannibale” sferrò l’attacco sperando nell’effetto sorpresa, ma Bitossi e Zoetemelk lo raggiunsero trascinandosi poi dietro gli altri, che approfittarono di un mancato accordo tra i primi tre. Alla campana dell’ultimo giro passarono il traguardo i dieci battistrada tutti insieme. Guimard e Dancelli animarono subito la tornata finale tentando un allungo, senza ottenere un distacco significativo, ma mettendo in seria difficoltà De Vlaeminck, Verbeeck e Panizza, che non riuscirono più a mantenere il ritmo dei sette al comando staccandosi. Mancavano circa 4 Km all’arrivo e Cyrille Guimard infiammò i suoi connazionali con una panache dal sapore iridato… malauguratamente per lui non si era accorto di avere in “Cuore matto” Bitossi l’avversario della giornata. Infatti sul falsopiano il ciclista toscano rinvenne, raggiunse l’atleta transalpino, ormai convinto di avercela fatta, e lo sopravanzò subito dopo con uno scatto secco. Adesso per il trentaduenne di Carmignano esisteva davvero la possibilità di giocarsi la gara della vita, non dimenticando che poco tempo prima della partenza al Mondiale la squadra in cui aveva militato per sei anni (la Filotex della sua Prato, guidata da Waldemaro Bartolozzi) gli aveva dato il benservito lasciandolo deluso e mortificato. Un uomo solo al comando: Franco Bitossi. Adesso gli avversari erano a 200 metri circa, Guimard raggiunto da Merckx, Zoetemelk, Dancelli, Mortensen e Basso inseguivano imperterriti e imboccavano il lungo rettilineo finale alla rincorsa di quella maglia azzurra che caracollava sulla destra… Già, Bitossi si scoprì ormai esaurito, le poche energie rimaste si erano estinte, i vani tentativi di aiutarsi con il cambio per trovare un rapporto adeguato gli rubarono attimi preziosi, e il vento che soffiava contro non poteva essere un suo alleato… Gli inseguitori era prossimi, viaggiavano a una velocità doppia, Merckx si catapultò come una belva affamata consapevole delle difficoltà del ciclista toscano, inopinatamente al centro del rettilineo con il muro eolico delle Alpi a far da barriera… E qui il “Cannibale” commise l’errore marchiano di trascurare Marino Basso, che non aveva mai smesso di stare alle calcagna del belga e conservava le forze necessarie per “aiutare” Bitossi ancora in testa al centro della strada e disperamente sui pedali per raggiungere il traguardo. Basso volò, lasciò di stucco sia Merckx che un mai domo Guimard, si precipitò dritto come un fuso verso Bitossi scavalcandolo sulla sinistra a due o tre metri dalla linea di arrivo. In un attimo il trionfo del velocista veneto di Caldogno, il riscatto di una stagione deludente, la gioia per i colori italiani a quattro anni dalla vittoria di Vittorio Adorni sul circuito di Imola; ma nello stesso istante il sogno infranto di una carriera, la delusione profonda per esser stato “tradito” da un connazionale, da quello che fino in fondo doveva essere suo alleato e proteggerlo dall’attacco degli avversari… Nel dopo gara le immagini della tv mostrarono due pianti contrapposti ai microfoni di Adriano De Zan: le lacrime di gioia di Marino Basso, felice e al contempo arrabbiato per esser stato sottovalutato dai giornalisti, dagli stessi ciclisti che non lo vedevano adatto per un percorso del genere; il singhiozzo di Franco Bitossi, un uomo defraudato, mortificato per un secondo posto che avrebbe sottoscritto alla vigilia ma che adesso considerava un’autentica beffa e un ulteriore smacco dopo il licenziamento dalla sua squadra. E così una doppietta azzurra dal sapore storico, che mancava all’Italia dal lontano 1932 (vittoria di Alfredo Binda e secondo posto di Remo Bertoni sul circuito di Roma), divenne dolce, dolcissima per il campione iridato Marino Basso e disumana, amara come il fiele per il “Cuore matto” Franco Bitossi.
© Marco Vignolo Gargini
[1] http://www.museodelciclismo.it/home/component/content/article/1/107-il-mondiale-di-gap-di-fiorenzo-mangano.html