Garage Olimpo – Marco Bechis #Lunedìfilm

Creato il 23 febbraio 2015 da Povna @povna

Continua il percorso si conoscenza della storia dei desaparecidos con le Giovani Marmotte. Passato il giorno della memoria (in margine al quale si sono guardati un bel po’ di filmati di RaiStoria, sui golpe in Sud America), adesso i Marmottini hanno in lettura Kamchatka (“Mhm, se è alto, prof., lo dobbiamo leggere tutto?” – butta lì speranzoso Gringo; “Solo le dispari” – la ‘povna replica serissima; ma a quel punto interviene Onesto a ricordare che il libro in realtà “Scorre” più che bene). Nel frattempo, la ‘povna ha provveduto a leggere loro dei passi delle Irregolari. Buenos Ayres Horror Tour di Massimo Carlotto (personaggio irritante, ma il libro è funzionale, e utile) e ora, a conclusione di tutto, arriva anche (perché i film a scuola non si possono buttare lì, a sostituzione di una lezione, a cavolo) un po’ di cineforum. Dopo attenta meditazione, la ‘povna ha deciso per due titoli (che vedranno piano piano, il sabato): questo e Garage Olimpo appunto. Faline – la ‘povna non ha fatto in tempo a enunciare il suo progetto – che già li aveva presi in prestito, alla biblioteca di Montaldo: “Ecco qua, professoressa, sono quelli che voleva, giusto?”.
E la ‘povna – sollevata una volta di più dalla partecipazione, emotiva, intellettuale, pratica, di questa classe giudiziosa ed entusiasta – prima ha sorriso, complice, e poi non ha dovuto fare altro che confermare. La scorsa settimana, dunque – ciascuno sistemato comodamente (le sedie che si avvicinano alla LIM, qualcuno sopra il banco; le finestre oscurate, la luce spenta da Interventista – hanno visto il film di Bechis, che li ha colpiti molto. E proprio per questo la ‘povna decide di parlarne, oggi, per il settimanale appuntamento da Iome.
Parliamoci chiaro, Garage Olimpo non è un capolavoro, sarebbe eccessivo sostenerlo. E tuttavia il film, uscito nel 1999, resta un testo che vale la pena di guardare attentamente. Per quello di cui parla (e di cui troppo poco si sa; ma i sacri protettori del regime erano tanti); per come lo si racconta (con uno stile nitido, durissimo senza cedere alla violenza voyristica); per una sapiente capacità – la ‘povna lo ha sperimentato all’opera coi Marmottini, in classe – di coinvolgere lo spettatore in un vortice di dubbi che ricalca il senso di sperdutezza voluto, nell’applicare la sua politica di morte, dal regime. Per tutti questi motivi, la ‘povna pensa che questo non-capolavoro sia tuttavia un film civico e onesto. E dunque, a suo modo, violentemente necessario.


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