“Assurdo” è l’ottavo album dei Garden Wall, gruppo friulano di lungo corso.
Il percorso di questa band inizia a fine anni ’80 ed è lastricato da esperienze, avventure, cambi di line up e di etichette discografiche, progetti a volontà. Un’importante storia pregressa quindi, che al momento non conosco nei dettagli musicali, ma mi sono fatto l’idea che questo nuovo lavoro discografico sia un po’ la fermatura del cerchio, una sorta di apice a cui si è arrivati step by step, con sudore e lacrime, ma idee chiare e talento da vendere.
Occorre come sempre dare indicazioni sul genere proposto, e nel corso dell’intervista a seguire ci si trova in pieno accordo sul disagio della catalogazione a tutti i costi, ma il termine “Progressive Metal”, è quello che normalmente viene incollato alla band.
Dieci tracce dove è preponderante la lingua inglese, ma è caratteristica espressiva del gruppo l’utilizzo di una miscela linguistica che sconfina nella cultura locale, toccando idiomi più conosciuti, ma lontani dalle normali proposte, soprattutto se si considera la loro mescolanza.
Amo la musica progressiva e amo il rock più tradizionale, e trovo che “Assurdo” rientri bene in queste grandi macro famiglie, all’interno delle quali potrebbe sembrare inutile tentare qualche discorso innovativo, ma è proprio l’originalità la vera sfida, vinta, dei Garden Wall. Le linee “metalliche”, la voce “metallica” sono effettivamente presenti, ma vivono in un contesto di atmosfere rarefatte e climi sognanti, con una sezione ritmica in bilico tra “hammer” e “tocco lieve”.
La dolcezza di alcune melodie controbilancia la durezza strumentale che ha come punto terminale una voce che penetra nel profondo e conduce a stati di inquietudine.
Le note didascaliche di Alessandro Serravalle, presenti nella prima risposta, sono tecniche e complete, e danno esaustiva spiegazione della proposta musicale del gruppo, ma anche un feeling“esterno” come il mio può essere un piccolo aiuto sulla strada dell’avvicinamento verso un nuovo, interessante e piacevole album di buona musica, di impegno, ma non di nicchia, e quindi accessibile per chiunque.
Da ascoltare.
L’INTERVISTA
Avere realizzato otto album significa avere una storia musicale importante. Che tipo di cultura musicale avete alle spalle, e come siete arrivati ad elaborare l’attuale progetto?
In realtà ogni membro della band ha il proprio retaggio, se poi consideri che abbiamo subito diversi cambi di formazione capisci quanto diventi complesso rispondere alla domanda. Dando per acquisito il fondamentale contributo di ogni musicista del gruppo(e quindi anche delle sue personali influenze) mi devo obbligatoriamente limitare ad indicare qual è il mio background musicale che, in qualità di compositore, si fa sentire con una certa forza nel sound finale dei Garden Wall. Io vengo dal rock progressivo, dalla grande epopea dei seventies; accanto a questo tuttavia nutro una profonda passione per la musica colta del XX secolo (versante schönberghiano e filiazioni se vogliamo tenere per buona la dicotomia proposta da Adorno), per lamusica elettronica e il jazz d’avanguardia. A dire il vero sono molto onnivoro in fatto di ascolti (come, credo, ogni compositore che faccia della contaminazione la propria cifra stilistica dovrebbe essere). L’attuale progetto nasce in modo quasi alchemico: abbiamo fatto interagire in una sorta di paradossale calderone ogni sorta di elemento musicale. In questo senso l’approdo all’utilizzo dell’elettronica in senso strutturale rispetto alle composizioni è stato decisivo. le possibilità timbrico-espressive sono enormemente dilatate rispetto a quelle di una formazione rock classica. Questa è la novità sostanziale più importante rispetto al passato che va ad affiancarsi alla nostra peculiare ricerca ritmico-armonica e all’uso in chiave iper-espressionista della voce iniziatasi con Forget the Colours. È mia convinzione che il risultato sia qualcosa di davvero inaudito in precedenza, senza falsa modestia mi sento di affermare che abbiamo raggiunto un livello significativo di originalità.
Se non sbaglio avete siglato Il vostro primo contratto nel 1993 con un’etichetta straniera. Come è nato il contatto col produttore tedesco Peter Wustmann? Che bilancio vi sentite di fare a distanza di tempo?
Il contatto con Peter Wustmann è stato facilitato dalla prog-band trevigiana Asgard che ha passato un nostro demo al boss della Music is Intelligence. Tutto sommato il bilancio è più che positivo, ci è stata data la possibilità di registrare (in un momento in cui l’home-recording che impazza ai nostri giorni era ancora fantascienza) e di avere una distribuzione, per quanto di nicchia, quindi la mia gratitudine verso Peter sarà sempre considerevole. Abbiamo fatto quattro dischi con lui, siamo maturati, abbiamo visto il nostro sound modificarsi disco dopo disco.
Non mi trovo molto a mio agio nel dedalo rappresentato dai nomi attribuiti a differenti categorie musicali, anche se ne comprendo l’utilità. Cosa significa dire che “Garden Wall propone un genere Progressive Metal?”.
Anche io sono a disagio con le etichette, e francamente non so se sottoscriverei ancora quell’affermazione. Il problema con l’etichetta prog-metal è che vengono subito alla mente certe sonorità (diciamo quelle di derivazione Dream Theater) dalle quali noi siamo davvero molto lontani. E tuttavia è certamente innegabile che nella nostra musica si possano ritrovare istanze metal, ma esse sono soltanto parte dei tantissimi ingredientigettati nel calderone di cui sopra, probabilmente nemmeno le più importanti.
Se doveste scegliere una band straniera ed una italiana che più vi hanno soddisfatto, dagli anni ’70 ad oggi, su chi puntereste il dito?
Impossibile rispondere con un solo nome, e di certo ognuno di noi cinque darebbe risposte completamente diverse ad esemplificare la profonda diversità di ascolti che ci contraddistingue; per quanto mi riguarda in questo preciso momento (tra cinque minuti cambierei certamente idea) ti dico Genesis, Van Der Graaf Generator, Area e Pholas Dactylus.
Cosa significa per voi esibirsi dal vivo? Che tipo di interattività riuscite a stabilire col vostro pubblico?
Suonare dal vivo è un grosso problema, l’imperio delle cover-band è ormai totale, la musica è diventata tappezzeria, le persone vogliono essere rassicurate rifugiandosi nel già sentito. Sotto questo profilo ritengo esistano delle cover band dissimulate, ovvero gruppi che nominalmente propongono musica propria ma che in realtà ricalcano pedissequamente gli stilemi più logori del genere che propongono; onestamente non sento molta originalità in giro, comunque dal vivo esce il lato più fisico dei Garden Wall. Stabilire un contatto non è facile vista la difficoltà della proposta, ma quando ciò accade si verifica qualcosa di straordinario, il cerchio si chiude, una sorta di loop energetico che parte dal palco, passa attraverso il pubblico e ritorna sul palcoscenico enormemente amplificato.
Cosa vuol dire per voi lavorare con Lizard Records? Quali le differenze rispetto alle esperienze passate?
I Garden Wall e Lizard dovevano finire per collaborare, era scritto; l’approccio di Lizard è sostanzialmente identico al nostro e può essere riassunto nella parola “ricerca”, una ricerca che non è solo musicale, ma è anche quella che tende a una connessione di anime e di intenti, qualcosa che ha a che vedere con una forma di gnosi, la musica come mezzo conoscitivo, fuori dalla gabbia della razionalità e ritorno (qualcosa che ha a che fare con il concetto di “rimpatrio” tanto caro a Jacques Derrida), qualcosa di magico. La principale differenza rispeto al passato è rappresentata dallo straordinario rapporto che si è da subito creato con Loris Furlan col quale gozzovigliamo parlando d’arte, di musica, di calcio (!!!), di qualunque cosa. Lizard è una famiglia a cui siamo orgogliosi di appartenere.
La scelta di presentare liriche in lingua inglese ha solo a che fare con la migliore musicalità, rispetto a quella italiana, o c’è dell’altro?
Diciamo che l’inglese va ormai imponendosi come una lingua universale, il che consente di raggiungere più persone, tuttavia è certamente vero che è lingua molto più malleabile rispetto ad altre. In realtà già da qualche tempo è possibile assistere ad una sorta di interpolazione nei miei cantati; certamente la lingua inglese fa la parte del leone, ma spesso ci sono parti in italiano e, allo scopo di recuperarne alcune peculiarità sonore, anche altre lingue (il friulano, il tedesco, il rumeno, il latino, il francese…). Questa specie di melting pot linguistico è molto stimolante sia sotto il profilo del suono che da quello semantico. Un’altra area di ricerca per l’universo espressivo dei Garden Wall.
Cosa si può dire, nel bene e nel male, delle opportunità date dal web a chi è attivo come musicista?
Il web offre la chance di diffondere le proprie produzioni in modo relativamente semplice, la difficoltà principale è quella della visibilità. Il web è un vero e proprio oceano e si rischia di naufragare in mezzo a milioni di altre proposte.
Pensate che la vostra musica e le vostre scelte possano essere state “guidate” dalla cultura del luogo in cui vivete o siete nati?
Difficile non tenere conto della presenza del villaggio globale. Credo però che la nostra musica sia in qualche modo profondamente europea. Il mio amore per il rock britannico dei 70’s, per il prog italiano, per la grande lezione del krautrock e dei Kosmische Kurriere tedeschi e, in ambito “colto”, per l’espressionismo musicale e il successivo sviluppo dodecafonico e iperstrutturalista viennese (l’Austria è ad un centinaio di chilometri da dove vivo) alla fine esercita qualche sotterraneo influsso. Il Friuli è lo spazio dove le mie influenze coagulano, in fondo è qui che vivo, soffro, godo, mi faccio domande, cerco, sebbene non immediatamente rintracciabile una qualche forma di influenza profonda dei “miei luoghi “deve pur esserci.
Provate ad esprime un desiderio musicale, da esaurirsi nello spazio temporale di 3 anni.
È ovvio che ogni musicista aspira ad avere un pubblico sempre più grande e ad entrare in relazione con quanti più spiriti sia possibile, tuttavia, realisticamente, il mio desiderio è di continuare nella nostra ricerca musicale e gnoseologica. Scrivo moltissima musica, quella che ho effettivamente registrato non arriva al 20% di quella che ho scritto; vorrei avere la possibilità di incrementare questa percentuale, provare più di frequente la gioia di assistere al passaggio delle mie composizioni attraverso le anime dei grandi musicisti coi quali ho la fortuna di collaborare. Un altro obiettivo è aumentare il tasso di multimedialità dell’azione dei Garden Wall, stiamo già pianificando un video con il regista Simone Vrech e la cosa è davvero stimolante. E poi… aspettati l’inaspettato, come diceva Eraclito.
Tracklist:
01 Iperbole 6:21
02 Butterfly Song 8:31
03 Trasfiguratofunky 7:31
04 Negative 7:03
05 Just Cannot Forget 2:25
06 Flash 5:23
07 Clamores Horrendos Ad Sidera Tollit 6:49
08 Vacuum Fluctuation 8:04
09 Re-Awakening 8:03
10 Isterectomia 7:26
Band:
Alessandro Seravalle - Vocals, Guitars, Keyboards (Burnin' Dolls, Jackhammer, ex-Karnak)
Raffaello Indri - Guitars (Burnin' Dolls, Elvenking)
William Toson - Bass
Ivan Moni Bidin - Drums (Last Warning, Pathosray)
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