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Garibaldi: rappresentazione di un mito (parte seconda)

Creato il 16 luglio 2011 da Ilcasos @ilcasos

Leggi anche la parte prima.

Medaglia commemorativa

Medaglia commemorativa

1. E poi un giorno si disse… Penny press!

Come è stato possibile catalizzare un simile interesse sulla vicenda umana e politica di un patriota italiano? In quale maniera questo eroe di terre lontane (quelle sudamericane) ed apostolo dell’unità di una nazione storicamente disunita (la penisola italiana) riuscì ad imporsi così radicalmente nel discorso culturale delle élites internazionali?

Occorre subito specificare che un simile successo del brand Garibaldi – una popolarità che trascendeva sia i confini nazionali che le barriere di classe – non sarebbe stato possibile se non in un’epoca massificata. La democratizzazione delle notizie conferì, infatti, un nuovo risalto agli eventi bellici e politici: così come la guerra di Crimea del ’55-56, primo conflitto a chiamare in causa i fotoreporter, anche il conflitto italiano del ’59 poté godere di un forte coinvolgimento del pubblico internazionale. La quotidianità resa possibile dallo sviluppo del telegrafo e la riproducibilità delle fonti resero poi possibile l’amplificazione della notizia, irrobustendo il dibattito generale[1].

Quella icona che si è cercato di descrivere nella prima parte di questo contributo ebbe modo di sussistere in virtù della diffusione dei giornali, che diedero spazio e diffusione non solo alle descrizioni, ma soprattutto al repertorio visivo, in primis riproducendo il ritratto ufficiale di Montevideo[2].

Il nostro buon Garibaldi, quindi, fu prima di tutto un eroe d’appendice. I tratti stravaganti ed esotici del bel bandito di Montevideo, suffragati dalla retorica quarantottesca, calzano infatti i termini del feuilleton, una moda editoriale che proprio allora si stava diffondendo in Europa ed in Nord America[3].

Non sarà poi troppo lontano dal vero dire che attraverso i giornali venne “commercializzato” (gli editori capirono sin dalle prime battute che l’informazione poteva essere una merce molto fruttuosa!). Così che le diverse testate straniere plasmarono una pluralità di “Garibaldi”, ognuno tratteggiato ad hoc per il proprio pubblico: c’è un Garibaldi americano che incarna le fattezze dell’individualismo del nuovo mondo, uno padre della nazione italiana che personifica le qualità del bravo italiano, e poi c’è il Garibaldi delle signore, il bel bandito forgiato dalle penne romantiche francesi, tedesche ed inglesi[4]. Eh già, «il medium è il messaggio»: Così è per il campione umile del biennio rivoluzionario ’48-49, la cui immagine venne sbandierata dalle maggiori testate della penisola italiana (giornali che svolsero un ruolo centrale nel processo di affiliazione popolare al sogno rivoluzionario[5]). Apostolo della patria per una stampa patriottica. Così per il bel Garibaldi incontrato dalla Fuller a Roma, un nostalgico eroe trasognato tinteggiato da frequenti articoli di colore. Un personaggio affascinante per tenere vivo il pubblico della cronaca mondana:

si è trattato [la celebrazione del Dittatore Garibaldi a Palermo nel 1860] di uno di quei trionfi che sembrano essere quasi eccessivi per un uomo […] l’idolo popolare, Garibaldi, nella sua camicia di flanella rossa, con un fazzoletto colorato annodato ampio attorno al collo, e il suo consunto cappello a larghe tese, camminava in mezzo a migliaia di persone impazzite che gridavano e ridevano […]. La gente si spingeva verso di lui per baciargli le mai, o almeno toccare un lembo dei suoi vestiti, come se contenessero la panacea per tutte le loro passate sofferenze e forse anche per le future. I bambini venivano tenuti sollevati e le madri chiedevano in ginocchio che lui li benedicesse; e tutto questo mentre l’oggetto di una simile idolatria si manteneva calmo e sorridente com’era sotto il più mortale dei fuochi, afferrando i bambini o baciandoli, e cercando di calmare la folla, fermandosi ad ogni momento per ascoltare lunghe lamentele …[6]

La stampa inglese e il mito di Garibaldi

La stampa inglese e il mito di Garibaldi

Le moderne tecniche produssero, in definitiva, una democratizzazione dell’informazione, alla quale un più alto tasso di alfabetizzazione non fece che beneficiare. Nell’insieme, un ruolo fondamentale venne giocato dalla possibilità di riprodurre le immagini: nel caso di Garibaldi, fu proprio grazie alla diffusione di copie economiche dei suoi ritratti “ufficiali”[7] ed alla riproduzione di questi nei quotidiani che si poté fissare nella memoria collettiva una precisa idea dell’esotico patriota. Al contempo, la spettacolarizzazione degli avvenimenti bellici proiettò il conflitto italiano ed i suoi protagonisti sul panorama internazionale, in una maniera e con una partecipazione tali che non si erano mai registrati prima.

Il “mito Garibaldi”, vale a dire la sua creazione, promozione e narrazione, offrono da questo punto di vista un ottimo spunto di riflessione; ripercorrendo lo sviluppo di questo personaggio all’interno della stampa periodica degli anni cruciali del Risorgimento, sarà infatti possibile estrapolare l’uso cosciente che di queste nuove tecniche fece la politica risorgimentale[8].

Ancor di più, negli esiti della parabola mitografica garibaldina, si rispecchia l’andamento generale del profilo dell’eroe nazionale ottocentesco. Nel passaggio da “capo dei banditi” a “capo militare” sta infatti la trasformazione da ribelle sudamericano all’uomo dell’ «Obbedisco» che, per quanto sempre percepito estraneo al dibattito squisitamente politico, passò da un radicale repubblicanesimo al sostegno delle istituzioni del regno sabaudo. In questo senso Garibaldi rappresenta tutti quegli

eroi delle narrazioni primo ottocentesche <che sono> dei ribelli, che non sanno più sopportare le angherie che tiranni o popoli stranieri infliggono alla propria comunità, quando anzi non sono, […] degli irriducibili dropout, senza più terra, né bandiera. […] Ma nel corso dell’Ottocento, lentamente, gli eroi, da uomini che combattono una guerra partigiana, si trasformano in uomini d’ordine, in combattenti pronti a sfidare la morte nei ranghi degli eserciti regolari, fedeli ai sovrani o alle Istituzioni dello Stato[9].

2. L’Italia prima di tutto!

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Sembrerà pleonastico, ma non si può parlare di Garibaldi senza parlare di Italia. Senza parlare del Risorgimento. Non vi preoccupate, non ci metteremo a riproporvi qui history & facts delle guerre d’Unità d’Italia (per quello potete sempre affidarvi al buon vecchio manuale di storia generale[10]!), ma ci limiteremo a trattare del Risorgimento “culturale”, quello che produsse il mito di fondazione dell’Italia unita, base di quella «religione civile» che ammantò di un’aurea sacra lo Stato, le sue effigi ed i suoi santi[11]. Un Risorgimento «ideologico-culturale» che propugnò lo «spirito eroico» dei suoi campioni e si presentò agli occhi del pubblico europeo come unica soluzione moralmente giusta fronte alla falsità del regime «de’ barbari pie’».

È sul suolo italiano che meglio si realizza la fusione fra mito e realtà nella persona fisica ed in quella pubblica di Giuseppe Garibaldi. È fra le fila dei volontari in casacca rossa che, seguendo la pista di Lucy Riall, il capo spontaneo politico e militare arriva a personificare l’idealtipo weberiano di leader carismatico[12]. Soprattutto è sul suolo ideale della nazione per la quale combatté che Garibaldi diviene un’antonomasia, un simbolo, quello dell’italianità buona e pura, presunta o desiderata[13].

Il successo di Garibaldi, e di chi contribuì più o meno volontariamente all’edificazione di questo idolo, fu di proiettare l’innamoramento sociale della patria – entità a-temporale ed immateriale[14] – verso delle possibilità concrete; in altre parole, fu quello di dare un senso euristico ad una produzione culturale (concorsa principalmente dalla letteratura, dall’informazione e dalle arti visive e pittorie), antecedentemente intesa come mero intrattenimento pedagogico.

Nell’alveo di questo trionfo mediatico, di grande interesse è la posizione di Mazzini, tanto che pur volendo prendere le distanze da quanti lo vogliono proporre come una sorta di “fantasma dell’Opera”, un demiurgo che da dietro le quinte londinesi macchinò la bolla mediatica garibaldina; qui bisognerà comunque riconoscere al buon genovese l’attenzione che attribuì nel vestire il romanticismo italiano con i panni della politica, connettendo le idee sentimentali di Italia a quelle del socialismo utopico. Un’attenzione che, grazie all’esperienza inglese del vincente connubio Politica-Stampa, gli fece intuire il potenziale del giovane Garibaldi sin dai suoi esordi sudamericani[15].

Giunto sul suolo natio nella fase crescente della sua celebrità, fu nel biennio ’48 – 49 che Garibaldi si adoperò maggiormente per accrescere la propria Macht carismatica, riempiendo le campagne di reclutamento con la retorica romantica di un servizio generoso e disinteressato verso la patria in pericolo[16]. Dalla fine degli anni ’40 fino ai trionfi delle campagne del ’60, l’affiliazione italiana al «Dittatore» contò su questa capacità contagiosa di Garibaldi di comunicare con le folle, ed alla propagazione attraverso i canali della tradizione orale delle sue gesta.

Lucy Riall,

Lucy Riall, "Garibaldi: invention of a hero"

Abbiamo già detto prima che gli anni ’50 dell’Ottocento comportarono un profondo mutamento nella persona privata e politica di Garibaldi, questo ovviamente si riflesse sul suo discorso pubblico nella nascente Italia: per quanto in questo lasso di tempo (dall’insuccesso romano del ’49 fino al ritorno glorioso dell’impresa dei Mille nel 1860, con in mezzo gli “esili” volontari in America ed a Caprera) il desiderio di ritirarsi a vita privata da un lato e l’incapacità politica dall’altro potessero minare il ruolo ed il prestigio di Garibaldi presso i «fratelli» italiani; il peso schiacciante della sua fama non accennò a diminuire, alimentandosi della leggenda che gli era stata costruita attorno. Quando nel ’60 il maturo eroe nizzardo tornerà in sella al suo cavallo bianco, il canone garibaldino costruito negli anni ’40 entrerà in gioco esercitando il suo fascino sul popolo italiano e raggiungendo così «l’apogeo della retorica nazionalista[17]».

Per farsi un’idea dell’utilità della fama costruita vent’anni prima per l’azione politica degli anni ’60, basti pensare che per dare un’impalcatura all’”immagine positiva” dei Mille, a Garibaldi bastò mandare un appello alla patria attraverso i giornali onde «procurare di far capire agl’Italiani che … ovunque vi sono italiani che combattono oppressori[18]» e radunare attorno a sé i volontari amanti della libertà. Queste ed altre corrispondenze di Garibaldi che apparvero sulla stampa avevano l’obiettivo, peraltro conseguito, di «garantire alla spedizione un vasto sostegno materiale e morale» elaborandone «una narrazione incentrata sui temi del coraggio disinteressato e dell’audacia militare[19]».

Tanto abbagliante era il ricordo del Garibaldi a cavallo del ’49 che quando tre anni dopo si trattò di riparare al disastro dell’Aspromonte – un episodio che si ripercosse sulla stampa di tutto il mondo come una «netta sconfitta di Garibaldi» – questo venne rielaborato alla luce delle virtù garibaldine, in un simbolo che nessuna disfatta poteva scalfire[20].

Dunque, in Italia il caso politico-mediatico garibaldino si gonfiò in più momenti: inizialmente «il romanticismo popolare produsse ‘canti patriottici, tempestosi melodrammi, romanzi gotici e storie nazionali’», quindi, «attraverso questi strumenti letterari e drammatici … Garibaldi poté raggiungere un vasto pubblico[21]», un pubblico che la vis politica mazziniana e garibaldina riuscirono a convogliare in una mobilitazione nazionale di successo; quando in ultimo i tempi furono maturi per lavorare ad una vera unificazione del paese, abbandonati gli iniziali slanci radicali, Garibaldi rimase comunque agli occhi del pubblico un leader entusiasmante, svincolato dai giochi della politica, animato solo dai più alti ideali[22].

Infine, per essere tanto celebrativi quanto funebri, in morte Garibaldi arrivò a sancire il rito e la tradizione del nascente stato, consacrando i canoni della «morte laica», e così suggellando quell’intrinseco legame che con lui identifica la storia patria del Risorgimento[23].

3.  …we’re glad to present Mr. Garibaldi!

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Il risultato richiesto verso il pubblico internazionale non era certamente lo stesso che quello italiano.

Se in Italia abbiamo visto Garibaldi proporsi come leader carismatico, roboante mito vivente che si diffondeva dalle Alpi a Messina grazie ai veicoli tradizionali dell’oralità; in Europa ed in nord America guarderemo compiersi il miracolo della Stampa e Garibaldi guadagnarsi dei lettori affezionati.

Sebbene manchino fonti certe sui tassi di diffusione della lettura in Italia ed in ambiente europeo, data la generale arretratezza della penisola nei confronti del resto del continente è possibile concludere che questa differenza di atteggiamento sia dovuta primariamente ad un basso tasso di alfabetizzazione del popolo italiano, nonché alla sua frammentazione linguistica[24].

Sicuramente, poi, per quanto il pubblico “straniero” potesse immedesimarsi in un eroe le cui gesta venivano cantate in ogni parte, il risultato atteso presso questo era diverso che nel caso del popolo italiano, dal quale si demandava una partecipazione alla causa dell’unità: L’apostolo della patria che guadagnava proseliti per le coste italiane diventa ora un topos letterario, onnipresente nella retorica romantica di tutto il secolo XIX.

Si è detto, uomo dei giornali e protagonista del romanzo, precisamente entrambi già che, la medesima enfasi romantica, si risolse in due differenti approcci: la stampa e l’informazione in genere, più frequente nel caso inglese, e gli «scritti di artisti, poeti, e accademici che viaggiavano nella penisola e ne studiavano la storia[25]», tipici dell’esperienza francese e statutinitense.

Pensiamo agli americani, che attraverso i racconti della loro prima corrispondente estera, Margaret Fuller, si immaginavo le folle romane invadere la città eterna suonando «tutte le campane» al passaggio dei “men of Garibaldi”, ragazzi sprezzanti del pericolo le cui «tuniche rosse li rendono naturale bersaglio per il nemico[26]», (una scelta di stile che la femminista americana non sembra proprio apprezzare, tanto dal dichiarare “folle” l’idea di Garibaldi, le cui ferite riporta minuziosamente al lettore americano)[27].

Un pubblico attentissimo, soprattutto per le cose d’Italia, madre putativa della cultura occidentale nell’immaginario collettivo, arcadia degli intellettuali, eden per i nouveau riches anglosassoni che nell’Ottocento colonizzano le coste del belpaese, tanto che Garibaldi non si inventò niente di nuovo, visto che l’occhio e l’orecchio anglosassoni (magari anche qualche dito) erano già rivolti verso le nostre spiagge:

Senza esprimere alcuna opinione su una questione di tale importanza, possiamo tranquillamente dichiarare che l’Italia ci richiama grande attenzione … nei tempi remoti così come al giorno d’oggi[28].

Al di qua dell’Atlantico, invece, francesi ed inglesi se ne inventarono di tutti i colori per suggellare i legami personali di Garibaldi con i propri paesi:

da un lato in Francia si tentò di depoliticizzare il nizzardo per cancellare con un colpo di spugna quel “piccolo” episodio romano lo aveva visto come nemico della patrie nel ’49 , tanto da arrivare a presentarlo come un eroe “ingenuo”, un buono tout court senza credo politici[29].

Dall’altro in Inghilterra, probabilmente per un certo «orientamento radicale» dei suoi lettori, l’”effetto Garibaldi” fece da cassa di risonanza per il discorso nazionalista «e produsse un evidente effetto sul dibattito politico», tanto che l’accoglienza inglese al patriota italiano – certamente fra gli episodi più documentati della carriera politica di Garibaldi – diventò un «segno della superiorità inglese»[30], e suggellò l’epidemia garibaldina:

non ho grande inclinazione per il culto degli eroi […], ma ho appena percorso 150 miglia per stringere la mano a Garibaldi […] Fra le migliaia di busti, litografie, fotografie ecc. che lo ritraggono e si vendono ovunque in Italia e in Europa non ve n’è una che renda neppur lentamente l’idea dell’espressione di quel nobile volto [...] Niente può eguagliare la dolcezza, la libertà e la naturalezza del suo eloquio. […] Garibaldi è veramente uno dei re e dei capi che la natura stessa ha donato agli uomini[31]

Garibaldi nel suo studio

Garibaldi nel suo studio

Ancora in Inghilterra, certamente la più entusiasta, la sosta che fece a Liverpool nel 1850 prima di imbarcarsi per gli Stati Uniti in cerca di fortuna, fece scrosciare sulla sua percezione pubblica una pioggia di dettagli caratteriali, in maniera che il pubblico inglese venne informato della sua cultura, della sua abilità nel maneggiare lingue straniere, galanteria con le dame; nonché venne pressato da leve più sentimentali, come quell’aria «seria e grave» che nei modi gentili e nell’aspetto militare celava il dolore per la scomparsa dell’amata Anita, le preoccupazioni finanziarie ed i molti affanni vissuti in quella giovane vita. Al contempo gli inglesi si lasciavano contagiare dalla “mania garibaldina”, dedicando all’italiano composizioni musicali, incisioni, varie elegie pubbliche che lo paragonavano ai grandi personaggi della tradizione inglese, ma anche, curiosamente, soprabiti à la mode[32].

Settimane dopo, Garibaldi venne accolto con tutti gli onori a New York, dove era stato preposto un comitato di accoglienza fra i repubblicani italo-americani che si occupò di organizzare una parata, manifestazione che Garibaldi, con la solita modestia che abbiamo già visto nel carteggio con Rivera, rifiutò con cortesia. Non ci stancheremo mai di ripetere che all’epoca del soggiorno americano (di cui abbiamo memoria grazie alla Casa Garibaldi di Staten Island, in realtà proprietà del meno illustre compatriota e suo ospite, Antonio Meucci), Garibaldi fece i primi tentativi di allontanamento dalla vita pubblica, sforzi che i cugini americani si preoccuparono di reprimere facendo un costante pressing morale affinché Giuseppe tornasse a suonarle agli oppressori di turno, americani o europei che essi fossero.

Di questo periodo, per farsi un’idea dello spirito anglosassone, è il primo racconto della repubblica romana che Theodore Dwight ricompose proprio ispirato dall’incontro con Garibaldi, vero protagonista della sua ricostruzione[33].

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Note   (↵ returns to text)
  1. L. RIALL, Garibaldi. Invenzione di un eroe, trad. it. Davide Scaffei, Bari, Laterza, 2007, p. 221.↵
  2. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 94.↵
  3. Con feuillettons ci si riferisce al romanzo a puntate, un genere la cui circolazione fu veicolata proprio dalla diffusione di giornali a basso costo e che ebbe particolare esito nel secondo Ottocento. Cfr. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 148.↵
  4. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. XXXIII.↵
  5. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 79.↵
  6. «The Times», 15 giugno 1860 cit. in RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 277.↵
  7. Nei primi dell’Ottocento, sull’onda dell’invenzione del dagherrotipo e della fotografia, si diffuse la moda dei ritratti dei personaggi famosi. Questi “santini” danno prova dell’attecchimento di un personaggio pubblico, nel caso di Garibaldi, ad esempio, i dagherrotipi sono frequenti nelle case di ogni ceto della seconda metà dell’Ottocento. Vd. Introduzione A. DUMAS, Garibaldi
  8. Cfr. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 473.↵
  9. BANTI, L’onore della nazione, op. cit. p. 228.↵
  10. i.e. G. SABBATUCCI, V. VIDOTTO, Storia Contemporanea. L’Ottocento, Roma – Bari, Laterza, 2009.↵
  11. L’idea di una «religione civile» è debitrice al lavoro di Mosse, fra le cui opere citeremo G. MOSSE, The nationalization of the masses: political symbolism and mass movements in Germany from the Napoleonic wars through the Third Reich, Cornell University Press, 1991.↵
  12. Di Garibaldi, a confronto degli altri protagonisti di questo lungo processo di unificazione, viene infatti detto: «Nessun re può commuovere il cuore del popolo come Garibaldi, e il carattere e la vita dell’attuale monarca raffreddano l’ardore nazionale». («Harper’s Weekly» 9 novembre 1867). Un paragone che può agilmente ricondursi nelle cifre della triade weberiana; Garibaldi non riuscì mai, infatti, a tramutare la sua macht verso un potere razionale-legale; cosa che al contrario furono in grado di fare i piemontesi. Cfr. RIALL, Garibaldi, op. cit.
    Brevemente: Max Weber distingue tre idealtipi – ovvero modelli ideali ma basati su istanze pratiche, storiche – di macht (potere) e tre corrispondenti “capit”, il potere carismatico, basato sulle personali capacità del leader; il potere razionale-legale, basato sulla forza coercitiva delle leggi; ed infine il potere tradizionale, che poggia sulla ripetizione costante delle pratiche. Per fare un unico esempio, questi tre poteri si rifletto nella parabola instaurativa della religione cristiana: il fascino di Cristo prima, leggi di Paolo e Pietro poi la religione dei padri tramandata ai figli infine.↵
  13. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 38.↵
  14. Cfr. l’ideale di «comunità immaginata» in Benedict Anderson.↵
  15. RIALL, Garibaldi, op. cit., pp. 16, 26.↵
  16. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 75.↵
  17. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 303.↵
  18. 5 Maggio in Epistolario cit. in RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 287.↵
  19. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 290.↵
  20. V. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 393.↵
  21. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 151.↵
  22. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 245.↵
  23. In proposito è interessare notare la differenza fra l’attenzione data al funerale solenne dell’eroe e quello celebrato quattro anni prima in occasione della morte di Vittorio Emanuele II. Il confronto fra il pathos dei due riti evidenzia ancora una volta il trasporto con il quale l’Italia ha inneggiato al suo martire. Questo divario ripropone in mortem quanto già apprezzato nelle figure pubbliche e politiche del Generale e del sovrano, così come in nota 20. V. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 457.↵
  24. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 155.↵
  25. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 163.↵
  26. Originale «red tunic makes them the natural mark of the enemy», M. FULLER, Things and thoughts in America and Europe, by Margaret Fuller Ossoli, p. 397.↵
  27. Things and thoughts in America and Europe, By Margaret Fuller Ossoli p. 357.↵
  28. Originale «Without expressing any opinion on this question, important as it is, we may safely declare, that Italy presents great claims to our attention … in later years, down to the present day», T. DWIGHT, The Roman republic of 1849; with accounts of the inquisition, and the siege of Rome, and biographical sketchesp, p. V.↵
  29. Cfr. RIALL, Garibaldi, op. cit., pp. 226-227.↵
  30. In Gran Bretagna furono solo due personalità politiche a dimostrare indifferenza verso il patriota italiano, il Primo Ministro Benjamin Disraeli e Karl Marx, che arrivò addirittura ad apostrofarlo come un «pietoso … asino», v. RIALL, Garibaldi, op. cit., pp. 163, 407, 410.↵
  31. «The Times», 20 giugno 1859 cit. in RIALL, Garibaldi, op. cit., pp. 229, 230.↵
  32. RIALL, Garibaldi, op. cit., p. 115, 403.↵
  33. RIALL, Garibaldi, op. cit., pp. 121-122.↵

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