Giuseppe Garibaldi è conosciuto come l’Eroe dei Due Mondi per i suoi exploit in America Latina e in Europa. Forse non tutti sanno che il buon Giuseppe avrebbe potuto diventare l’Eroe dei Tre Mondi, aggiungendo il Nordamerica al suo palmares.
Manifesto delle Garibaldi Guards
La Guerra Civile americana (1861-1865) scoppiò pochi mesi dopo la proclamazione del Regno d’Italia, e le sue vicende furono popolate sia di italiani che di ex garibaldini. Si va dal generale nordista Francis Barretto Spinola, discendente da un ramo della famiglia genovese a lungo stabilitosi alle Canarie prima di approdare a metà ’700 a New York; al maggiore sudista Chatham Roberdeau Wheat, un eccentrico e coraggioso avventuriero che aveva girato le rivoluzioni di mezzo mondo, spedizione garibaldina compresa, e che guidava in battaglia i suoi Louisiana Tigers indossando la camicia rossa; al conte Luigi Palma di Cesnola, un veterano della guerra di Crimea che aprì un’accademia militare privata a New York e si mise poi al servizio dell’Unione. Ci furono anche intere unità militari composte da italo-americani: ad esempio il 39° reggimento di fanteria di New York, i cui appartenenti erano soprannominato Garibaldi Guards e avevano in dotazione come parte integrante della propria uniforme la famosa camicia.
Il mito di Garibaldi era ben presente dunque nell’immaginario dei nordamericani impegnati nella guerra. Proprio in questo contesto va letta la stramba vicenda dell’offerta al generale nizzardo del comando in capo dell’esercito nordista.
Tutto ha inizio quando il console americano a Bruxelles, tale J. W. Quiggle, senza alcuna autorizzazione scrive l’8 giugno del 1861 all’Italian Washington (come lo chiama lui). Nella lettera, Quiggle racconta di come i giornali del Nord parlino di un imminente ritorno di Garibaldi in America, e che nel caso il governo federale lo accoglierebbe a braccia aperte. Un sorpreso Garibaldi, da Caprera, risponde il 27 giugno dicendo che sarebbe contento di accogliere l’invito, ma vorrebbe sapere se il fine della guerra nordista sia la liberazione degli schiavi o meno (la futura emancipazione sarà annunciata ufficialmente solo nel 1863). Il console Quiggle risponde che non lo è al momento, ma fiutando l’interesse del generale per la questione della schiavitù aggiunge con una discreta faccia di bronzo che sicuramente l’emancipazione sarà tra i risultati di una vittoria nordista. Dopodiché trasmette tutto l’incartamento al ministero degli esteri americano (che solo ora viene a sapere della cosa), e prima di lasciare l’incarico consolare cala il carico da undici: scrive di nuovo (e di nuovo senza autorizzazione) a Garibaldi che il presidente Lincoln in persona vuole affidargli il comando supremo delle forze armate unioniste.
Di conseguenza, quando qualche settimana dopo due diplomatici seri, gli ambasciatori Sanford e Marsh, faranno un’offerta ufficiale a Garibaldi, offerta che prevedeva la carica di generale in uno degli eserciti nordisti, si sentiranno rispondere dall’Uomo di Caprera che avrebbe accettato a due condizioni: la carica di comandante in capo, e una dichiarazione ufficiale di abolizione della schiavitù. Ovvero ciò che gli aveva bellamente promesso quel furbo di Quiggle.
Per quanto il presidente Lincoln fosse scontento del comandante in capo nordista (George Brinton McClellan, un trentacinquenne straordinariamente basso e ottuso che adorava farsi chiamare The Young Napoleon avendo in comune con l’Old solo la statura), non era certo pronto ad affidare la carica a uno straniero; né era pronto a dichiarare l’emancipazione degli schiavi (nel Nord c’erano fortissime lobby contrarie alla liberazione, tanto che in molti stati “di confine” sotto governo nordista la schiavitù era tranquillamente tollerata).
Insomma, niente Terzo mondo per Giuseppe Garibaldi.
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- R. Luraghi, Storia della Guerra Civile Americana, Rizzoli, Milano 1998 (1985).
- M. Duffy, Giuseppe Garibaldi, A Blue Shirt?, militaryhistoryonline.com, consultato il 16/6/2011.